Io non ho ancora capito se in Dio ci credo o no. Ci credevo da piccola, più o meno fino ai quattordici anni. Penso che il mio allontanamento, almeno in parte, sia stato causato dall’essermi sentita abbandonata da mio padre: ho rifiutato ogni figura paterna, anche quella di Dio.
Ma Dio è solo padre?
A quattordici anni lə immaginavo maschio, uomo: in tutte le figure del libro di religione aveva una lunga barba, e non a caso. Per le persone credenti Dio rappresenta il Bene, per cui viene dettə, immaginatə e dipintə secondo le convenzioni associate alla positività. E in una società patriarcale questo significa che viene dettə, immaginatə e dipintə maschio.

Ma in realtà è la Bibbia stessa a dire E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò (Genesi 1,26). Allora dov’è andato a finire quell’ e femmina in tutti questi secoli? Il Coordinamento Teologhe Italiane si è costituito proprio per sostenere e dare visibilità agli studi teologici in prospettiva di genere. Il fondamento dei loro studi si concentra sull’idea che qualunque essere umano sia a immagine di Dio. Che non esiste una gerarchia. E se è vero che Gesù lə chiama padre, è anche vero che in un passaggio del Libro di Isaia Dio viene paragonatə a una madre: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai (Is 49,14-16).

Fu addirittura un pontefice, Papa Giovanni Paolo I, che durante un angelus del 1978 disse: Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile: è papà e più ancora è madre, e che così ruppe il tabù. Ma se questo preconcetto è stato superato più di quarant’anni fa, perché nei miei quattordici anni di messe domenicali nessunə mi hai mai parlato di un Dio non binariə, di un Dio sia maschio sia femmina? Forse sarebbe necessario pensare a una revisione linguistica dei testi. Ipotizzare che termini come Padre e Re contribuiscono a creare un’immagine di Dio che semplicemente non è esaustiva.

Questo tipo di operazione è già stata messa in pratica negli Stati Uniti da alcune Chiese Protestanti, storicamente meno sessiste di quella Cattolica – pensiamo anche solo alla questione del sacerdozio femminile, possibile per le Chiese della Riforma dal 1900 –. In questi testi revisionati Dio dei
nostri padri
è diventato Dio dei nostri antenati. A Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe è stato aggiunto Dio di Sara, Dio di Rebecca e Dio di Rachele. La reverenda Ruth Meyers, insegnante di liturgia alla Church Divinity School of the Pacific di Berkeley in California, suggerisce che con una revisione di questo tipo si andrebbe a espandere il linguaggio di Dio in modo che ogni persona possa vedere e comprendere di essere fatta a immagine di Dio.

Questo genere di riflessioni esiste anche nel femminismo islamico, movimento che lotta per valorizzare il ruolo delle donne nell’Islam. La tesi di un Allah sia maschio sia femmina corrisponde alla nozione di
dualismo della creazione enunciata dal Corano: “Di ogni cosa noi abbiamo creato uno zawj, una coppia” (LI, 49). E secondo una delle più recenti esegesi coraniche anche questa stessa entità primordiale che crea
appunto ogni cosa, ingloba i due sessi, maschio e femmina, e si evolve, in un secondo tempo, per dar luogo ai due congiunti.

È difficile pensare questa entità; forse addirittura è impossibile immaginare un dio senza cedere al compromesso di uno stereotipo. Magari proprio per questo in alcune fasi della vita, anche per le persone
più credenti, è faticoso sentirlə vicinə. Ma come può una ragazza di quattordici anni pensare di poter costruire un percorso di fede se le viene detto che ciò che è santissimo nell’universo è esclusivamente maschile? A prescindere dal credo religioso, abbiamo bisogno di immaginare un Dio che stia al di fuori di ogni gerarchia; di avere un’idea della Perfezione che non coincida con il genere maschile, ma che travalichi ogni binario prestabilito.
Abbiamo bisogno di un Dio che sia non binary.

Giulia Viola Pacilli

Redazione

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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