Arriva Disney +, e la televisione cambia ancora

Prima è venuta la Pixar. Dopo è toccato alla Marvel Entertainment. Poi è stata la volta della Lucasfilm. Tutto a intervalli di tre anni. L’ultima in ordine di arrivo nella famiglia allargata Disney è stata la Fox, con annessi e connessi – vale a dire gli studi cinematografici e televisivi del gruppo, con l’aggiunta di FX e National Geographic, ma non i canali di informazione. E ora tutto questo intrattenimento è confluito nella nuova piattaforma Disney + (si scrive “più”, ma si legge “plus”), immessa nei nostri circuiti – e in quelli di molti altri paesi europei – il 24 marzo, quando il nostro modo di guardare la televisione è cambiato ancora. E diciamo ancora perché guardare la tv era cambiato già con Sky, e dopo Netflix non è più stato lo stesso.

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Se avete la sensazione che questo possa essere un articolo dai toni apocalittici e volete sapere da subito se il vostro intuito vi ha detto giusto, allora eccovi la conferma: ci avete preso. Forse non proprio apocalittici, non esageriamo, ma un filino preoccupati sì. Non di quell’allarmismo che tende all’ammonimento, capiamoci. I cambiamenti sono quasi sempre una cosa positiva, e nel campo delle telecomunicazioni corrispondono in molti casi a un progresso, un miglioramento, un aumento dell’offerta e un innalzamento della qualità. Vi ricordate cosa accadde quando arrivò il sonoro al cinema? I peggiori presagi si abbatterono sulla fabbrica dei sogni per eccellenza, tutti poi sconfessati dall’evidenza dei fatti. D’accordo, si può dire che per un decennio Hollywood abbia sfornato tante commediole di bassa qualità, la cui produzione si reggeva in piedi unicamente sul pretesto che “tanto la gente sarebbe andata a vederle comunque”, attratta dalla curiosità di sentir parlare gli attori. Ma poi il livello è ripreso a salire. Vogliamo metterci noi quasi un secolo dopo a preoccuparci di cosa avverrà dopo che Disney + sarà entrato nelle nostre case? No di certo. Però.

Però c’è da dire che di questo cambiamento probabilmente non abbiamo intuito appieno la portata. Per chi è nato non oltre i primi anni Novanta, potrebbe costituire l’addio definitivo al modo in cui ha sempre conosciuto la tv. Chi ha un po’ più di anni, invece, potrebbe obiettare che la tv si è sempre trasformata, per esempio con l’avvento del colore o con la moltiplicazione dei canali. Vero, ma lì si trattava di evoluzioni che aggiungevano, mentre i cambiamenti attuali differenziano e – per alcuni, forse per molti – sottraggono.

Per farla breve, non tutti i prodotti targati Disney sono di proprietà esclusiva del colosso californiano, nel senso che al momento esistono anche altre emittenti che ne detengono i diritti per la messa in onda. Verrà il giorno in cui quei diritti scadranno e tutto il catalogo Disney sarà visibile soltanto sulla sua piattaforma. Adesso pensate a quanto ha fatto la Rai negli ultimi anni, regalandoci la visione dei classici Disney nel periodo natalizio. A memoria di chi scrive, è almeno dal 2010 che Rai 1 manda in onda, in prima serata, a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, La bella addormentata nel bosco, Biancaneve, Cenerentola e così via. Ebbene, potrebbe non accadere più. Facciamo un altro esempio: i fan dei Simpson hanno già ingoiato la rimozione della famiglia più famosa dei cartoon dal palinsesto Sky, e fino a pochi giorni fa bisognava confidare in Italia 1 e nella sua (peraltro massiccia, va detto) programmazione. Ma cosa accadrà quando, presumibilmente, gli accordi con Mediaset volgeranno al termine?
Se consideriamo che i prossimi live action Disney, dopo il naturale periodo di permanenza nelle sale, sbarcheranno direttamente (e soltanto) su Disney +, l’ipotesi non sembra tanto impossibile, e francamente nemmeno lontana.

L’unica soluzione, per tutti gli amanti di Grey’s Anatomy – altro show destinato a confluire in esclusiva negli inventari disneyani – è quella di mettere mano al portafoglio. E chi non se lo può permettere? Bella domanda. Al di là del fatto che ci sarebbe da chiedersi che fine faranno tutte quelle migliaia di potenziali spettatori affezionati alla tv in chiaro o impossibilitati a sottoscrivere un abbonamento, ma il discorso andrebbe rimandato a un’altra occasione. La questione non riguarda semplicemente se entrare o meno nella famiglia Disney +, ma se disdire l‘abbonamento a tutte le altre piattaforme di cui già siamo utenti. Chi se la sente di rinunciare a Prime, o a Sky, a TimVision e simili? E quand’anche confermassimo la nostra fedeltà alle suddette, finiremmo col privilegiarne una a scapito delle altre. Con la conseguente sensazione di godere uno spettacolo di ottima qualità mentre ti stai perdendo qualcosa di valido da qualche altra parte.

Certo è che c’è un sacco di concorrenza in giro, e in qualche modo bisogna pur di difendersi. Anche se la strategia messa in atto dalla Disney assomiglia più a un piano d’attacco che a una difesa, ma tant’è. Intanto, i vantaggi per noi utenti son ben evidenti, primo fra tutti la possibilità di scaricare i contenuti sul dispositivo di utilizzo senza l’angoscia di vederli sparire da un momento all’altro – avete presente quell’indicatore che vi dice quante ore avete ancora a disposizione prima che saranno rimossi dal vostro tablet? Ecco, con Disney + non succede. E per forza, perché l’intero catalogo è di sua proprietà e la questione dei diritti che scadono non li riguarda per niente.

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Altro vantaggio: la programmazione settimanale degli episodi delle serie di nuova produzione. Chi ha vissuto abbastanza da ricordare l’era pre-streaming ricorderà sicuramente com’era bella l’attesa di una nuova puntata. Quando dovevano passare esattamente sette giorni tra un appuntamento e un altro. Poi è arrivato Netflix, con le sue stagioni intere a disposizione degli spettatori, e via al binge watching. Niente più attesa, che rincara l’affetto e aumenta la curiosità. Via agli spoiler, perché c’è sempre qualcuno che finisce una serie prima di te. Niente più riti collettivi, giacché l’opportunità di consumare una serie quando vuoi interrompe il cerimoniale della sintonizzazione simultanea, con un’intera comunità accomodata davanti alla tv nello stesso momento. Voi non avete percepito quanto era bello quando tutto il mondo guardava in contemporanea Il trono di spade, per poi parlarne insieme il giorno dopo?

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C’è dell’altro. L’ingorda abbuffata di stagioni televisive tutte in una volta rischia di annientare le nostre capacità critiche. Consumiamo ore e ore di una storia che poi non abbiamo il tempo di analizzare. L’intervallo tra una puntata e l’altra consente di metabolizzare e di riflettere sulle singole parti del racconto che altrimenti, a volte, non riusciamo neanche più a ricordare. In altre parole, non ci resta niente se non l’intrattenimento – che non è poco, va bene, ma non è neanche tutto. Sta a vedere che non sia proprio Disney + a trascinare Netflix verso questo modello di programmazione. Sarebbe un bel cambiamento. L’ennesimo, in verità, anche se sarebbe meglio parlare di un ritorno alle origini.

E ciononostante ci abitueremmo ancora. Parlando dei trentenni di oggi, sono quelli che hanno vissuto il maggior numero di rivoluzioni in campo televisivo, e si sono sempre adattati. Forse non era il caso di essere così pessimistici, all’inizio. Dopotutto, stiamo pagando il prezzo per godere di uno spettacolo di qualità. L’importante è avere la consapevolezza di che cosa si paga, e che non siamo sempre noi, davvero, a scegliere cosa guardare sui nostri schermi.

Andrea Vitale

Andrea Vitale nasce a Napoli nel 1990. Frequenta il liceo classico A. Genovesi, e nel 2016 si laurea in Filologia moderna alla Federico II. Ama la musica e la nobile arte dei telefilm, ma il cinema è la sua vera passione. Qualunque cosa verrà in futuro, spera ci sia un film di mezzo. Magari, in giro per il mondo. Attualmente frequenta un Master in Cinema e Televisione.

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