
Geografia di un silenzio – Virginia Veronesi
Nella stanza mansardata si accede con una porta bianca a scorrimento. All’ingresso uno specchio fissato sul fianco dell’armadio riflette il profilo sinistro di chi entra, creando – assieme alla sua parete opposta – una specie di minuscola anti-camera. Chi è pratico dell’ambiente sa: un mezzo passo in avanti basta alla visione completa della stanza. Il piede sinistro fa il suo ingresso per primo, così che il successivo superi agilmente il pianoforte digitale Yamaha posizionato sulla parete di destra, proprio oltrepassata la porta scorrevole. Non di rado, capita di invertire l’ordine e ritrovarsi in punta di piedi a strizzare glutei e bacino, in un disequilibrio per evitare una collisione certa con lo strumento. Esso, infatti, giace instabile su un supporto di metallo ad assi incrociate, così scarne e sottili che non ne permettono il fissaggio; di conseguenza è esposto quotidianamente al rischio di urti e tonfi dolorosi.
Lungo il perimetro, un susseguirsi di mobili, scaffali, scatoloni dell’Ikea soffocano le pareti e non lasciano spazio che alla polvere. Al centro troneggia un letto matrimoniale di stile orientale sorvegliato da due imponenti comodini di legno nero. Una geografia della stanza che non porta il mio nome. Centimetro più, centimetro meno, corrisponderà a quindici mq.
Da otto mesi il nuovo pianoforte digitale Yamaha staziona silente all’ingresso. La spina d’alimentazione è staccata dal muro. Lo spartito ingiallito è rimasto aperto su Per Elisa: un discorso che dura da troppi anni e non ha ancora voltato pagina. Una stuoia di cotone ricopre leggera la superficie piana della tastiera e ne disegna i contorni. Un desiderio pulsante è nascosto sotto il telo, i tasti ora muti si avvicendano seguendo la teoria delle scale. Ricorda un Cristo velato nel suo eterno riposo: una leggera incrinatura sul volto mostra la sua sofferenza impalpabile, la vita potenziale non sa come mostrarsi. Immobile, smaniosa, in attesa di una mano: delle dita sicure per comporre la sua confessione. Data la posizione sacrificale, non c’è neppure una sedia al suo cospetto. Sarebbe d’intralcio ai movimenti giornalieri, una media di quindici volte tra avanti e indietro; dentro e fuori; sinistra, destra in entrata; destra, sinistra in uscita. Se mi soffermassi a fare un calcolo sono circa tremilaseicento incontri, in meno di un anno. Tremilaseicento occasioni: un numero imprecisato di canzoni senza autore.
Una volta a settimana spolvero: scopro il pianoforte, sbatto la stuoia fuori dalla finestra, passo con cura lo Swiffer sulla superficie, tasto per tasto, neri e bianchi nessuna differenza. Ogni tanto attacco la spina e ne verifico il funzionamento. In piedi una gamba si distende in avanti verso il pedale di sostegno, come a indicare con l’alluce una briciola di pane rimasta a terra. Suono qualche nota qui e là, dissonante, casuale. Il nascituro ha una voce inconfondibile, potente. Insopportabile. Tutto avviene in pochi scomodi secondi, quanto basta perché la stanza perda i suoi contorni geometrici, la visione periferica dei miei occhi si oscuri e io diventi l’oggetto più ingombrante. Così spengo e ricopro rapidamente la tastiera. Se si è in odore di temporale, scollego tutti i cavi elettrici.
Qualche sera, sul ciglio della porta la vista si fa acuta, ossessiva. Un fascio di luce taglia in due la sagoma dormiente. Le palpebre non cedono al ritmo dei battiti. Gli occhi fissi sulla preda si fanno aridi, dolenti. Non vedo altro che corpi senz’anima al suo capezzale. Stracci di indumenti, fazzoletti sporchi e secchi ricoprono la superficie del pianoforte. Il veleno mi fa la bocca amara. Con un gesto rapido, sbatto gli oggetti a terra. Ho le mani umide. Stiro il tessuto e lo riporto ben teso, non più una piega che disturbi il sonno di un uomo in pace. Volto le spalle ed esco. Piede destro, piede sinistro.
Virginia Veronesi ha da poco pubblicato il suo primo album, Gusci: una raccolta di dieci brani inediti che raccontano la fine dei vent’anni. Resterai ragazza è il brano che le assomiglia di più.
L’illustrazione è di Adele Bilotta.