Un posto nel mondo. Popoff di Graziano Gala
“Se qualcuno fosse in cielo è scusarsi che dovrebbe”.
(Popoff)
Quando un bambino soffre, tutto un paese piange.
Anche gli abitanti di questo strambo paese non stanno con le mani in mano. Persa la loro guida, orfani di colui che era stato per loro una luce, si mischiano e si immischiano nella vicenda di Popoff (minimum fax). Sono vite modeste le loro, quasi irrilevanti: vecchi giocattoli dimenticati in una scatola di latta, i personaggi di Graziano Gala girano come trottole su sé stessi. Alcuni stanno nascosti dentro un’intercapedine, altri sbraitano in piazza; c’è chi prega nel buio di una sacrestia, chi sta appostato, pronto a male cose, in luridi bagni, chi serve in sala mensa, chi impasta farina acqua e sale per cuocere il pane per tutti.
Anche il bambino ha la sua consegna: cerca la sua famiglia.
Dapprima il padre, in seguito la madre, il suo viaggio è la scoperta della vita stessa, come in ogni romanzo di formazione.
“La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi”, scrive Gianni Rodari in La freccia azzurra, perché “le fiabe sono alleate dell’utopia”. Ma per Popoff non esiste utopia. Lui, che parla appena e a modo suo, non sa neanche cosa voglia dire.
Una cosa senza nome non esiste; così, benedetto dall’infanzia e da un suggestivo battesimo nell’olio, Popoff riceve un nome, nasce di nuovo e parte la sua ricerca.
Si sa: chi cerca trova, ma andar per l’avventura è pericoloso, sulla strada si possono incontrare i mostri, e, “se ti scoprono pauroso fanno tana nella bocca”.
Siamo stati tutti bambini e, come ogni bambino abbiamo avuto paura del buio. “Smacchiare tutto il buio non è cosa di due giorni”, abbiamo tutti bisogno di Liu-cce. Alcuni la cercano in chiesa, altri nella politica, chi nel calcio, chi in una qualche vocazione, noi lettori la cerchiamo in una storia, la piccola fiammiferaia nei suoi umidi zolfanelli, Dorothy e i suoi amici Leone, Omino di latta e Spaventapasseri con coraggio, cuore e cervello, Pinocchio voleva diventare un bambino vero. Cercare è trovare, trovare è diventare sé stessi.
A modo suo, anche il nostro protagonista, prima di essere Popoff, in un certo senso non c’è. “Fa per dire una parola, per portarsi testimone, ma gli manca pure il nome, non ha senso che lui parli”. La lingua è identità, nasce insieme a noi e con noi cresce, si fa.
Organizzato il romanzo in brevi capitoli, Gala li dissemina di personaggi e annaffia la lingua per farla fiorire. L’autore, come Collodi o Boccaccio, correda ogni capitolo di un sommario che ne anticipa il contenuto.
Qui in paese piove. Piovono olio, acqua, lacrime, farina. Piovono filastrocche, ritornelli, allitterazioni, metonimie, lingue derivate o inventate di sana pianta. Nascono fanciulli dai semi dei padri, dalla pena delle madri. Sbocciano amici, nemici e un cagno-lillo. Con questi ingredienti l’autore cucina la sua storia, la fa fiorire.
Ne scaturisce un romanzo di atmosfera fiabesca, di fiabe vere, antiche, dove l’orrore non è stato ripulito dal cinema o dalla televisione. L’andamento che ne deriva è giocoso, il ritmo serrato, Gala è un prestidigitatore della lingua e della prosodia, scandita dall’inizio alla fine in ottonari accoppiati (senari nel capitolo introduttivo), metro parisillabo che dà alla narrazione una ricercata cadenza di filastrocca; sa tenere i suoi lettori incollati alle pagine, che finiscono per scorrere leggere, con qualche breve sosta di commozione.
Difficile non pensare a Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, il romanzo vincitore del Premio Campiello 2020, dove Remo Rapino racconta la storia del cocciamatte Liborio che, con la sua lingua sgarbugliata, lingua di risulta tra l’italiano e l’abruzzese, racconta la propria parabola sulla Terra, con commovente tragicomica semplicità.
Anche Gala porta in scena un dialetto, quello salentino (l’autore è originario di Tricase in provincia di Lecce), alleggerito dalle asperità che potrebbero renderlo di difficile comprensione.
Ma la sua invenzione linguistica non finisce qui. Se scrivere è inventare una nuova lingua, la lingua di Popoff ne ha una tutta sua, la lingua dell’infanzia per il bambino, un latino peculiare per Don Ato, un italiano mescidato con l’inglese per il Professore: ogni bocca ha lingua sua, per alcuni nata dal forte legame con il proprio ruolo, per altri frutto dell’esperienza maturata in vita. Graziano Gala trasforma i sostantivi in verbi, piegando il significante al significato e viceversa. Libera la lingua, la confonde, la lavora con acqua, sale e farina, per farne il pane da offrire ai suoi lettori.
“We’re Off to See the Wizard, The Wonderful Wizard of Oz”, cantano andando per via gli amici di Dorothy nel film di Victor Fleming The Wizard of Oz (1939). A modo suo, il personaggio del Dir-Ettore, la cui importanza capiremo alla fine, rimanda a quello del vecchio Oz, sovrano dell’omonimo regno. È un pusillanime, nient’altro che un piccolo uomo, misura di sé stesso, del proprio egoismo e tornaconto.
Alla luce delle prove precedenti – Sangue di Giuda (minimum fax) e il breve racconto Ciabatteria Maffei (Tetra-) – Popoff ci assicura delle qualità di Graziano Gala, che sa raccontare la vita a modo suo e per come la vita è: comica, tragica, reale eppure fantastica, disarmando i cuori dei lettori, abile nel farci divertire, commuovere, indignare, capace di affrontare anche temi come la pedofilia e lo stupro con delicatezza, pur senza nasconderne l’orrore.
La vita accade e non lascia molte scelte, “ma una cosa è ben sicura: chi il dolore ha già patito non vorrebbe altrui dolore”.
Chi rimane è un superstite; rimanere o andarsene, una scelta. E raccontare? Leggere storie e raccontarle che posto ha nella nostra vita? “Crocià, chistu non è cacciare. Chistu è salvare, mai friend”, chioserebbe il Professore.
Beh, caro Popoff, siamo alla fine del nostro viaggio… ora tocca rimboccarsi le maniche e diventare grandi. Senza crescere mai, si intende. Attenzione, però: per farcela ce la si può fare, ma serve qualcosa che non tutti hanno.
Tienilo bene a mente, caro lettore, perché “non risolvi questa storia se non metti dentro il cuore”.
Un bambino senza nome cerca un padre in adozione. Col giubbotto ed un cappello, solo è un povero orfanello. Gira gira per la piazza, dalla chiesa alla terrazza; butta tutto a ferro e fuoco, lo vedrete: non è un gioco! Spietatezze, poi carezze, e un cagnino fatto e pezze. Cerca il bene, trova il male, ma ci attende il gran finale.
(Regalino per Popoff)
“Somewhere Over the Rainbow
Skies are blue
And the dreams that you dare to dream
Really do come true”
(Il Mago di Oz, Victor Fleming, 1939)
Sarah Majocchi