Lezioni bonnensi #4 – Il reame di Instagram

Per l’ultimo saggio del semestre ho scelto un argomento che in qualche modo tocca più da vicino gli studenti, a prescindere dalla loro nazionalità: i social, con particolare riferimento a Instagram. Abbiamo iniziato la discussione con l’episodio (e relative polemiche) della visita di Chiara Ferragni agli Uffizi leggendo il post del museo su Instagram; successivamente, abbiamo letto due articoli a riguardo: uno sul Corriere e uno su Forbes (e comunque è stato molto divertente: anche dopo aver letto gli articoli, le studentesse non di madrelingua italiana non capivano quale fosse la natura della polemica).

https://www.instagram.com/p/CCu_l3JIvFn/?utm_source=ig_embed&ig_rid=9f525ce5-3d7e-46a8-9cf7-9b8f3f443800

Infine, abbiamo allargato la nostra indagine in generale sull’uso di Instagram nella nostra quotidianità e abbiamo letto alcune pagine del saggio di Paolo Landi Instagram al tramonto, edito la Nave di Teseo.

Quarto tema: Quante stories posti al giorno?

La traccia era la seguente:

Quanto usi i social media? Hanno influenzato in passato o influenzano attualmente la tua vita? Credi che possano distorcere la nostra percezione della realtà? Rispondendo a queste domande, esprimi la tua opinione sull’utilizzo dei social media oggigiorno facendo riferimento al caso Instagram discusso a lezione.

Il tema è della studentessa Marina Manzoni.

Svolgimento

La generazione a cui appartengo, i Millennials, in quanto nata a fine anni ’90, ancora non si può definire “nativa digitale”. Il mio primo telefono è stato uno di quei Nokia che dopo essere caduto dal balcone al primo piano aveva solo un graffio sulla “cover”. Abbiamo vissuto poi l’avvento di Facebook e Instagram e il declino di MSN e dei suoi trilli. Ad oggi, Instagram in particolare è una presenza costante nelle nostre giornate, prende gran parte del nostro tempo, forse anche troppo per quanto mi riguarda. 

I social network possono essere definiti come “Fluch und Segen”, maledizione e benedizione insieme: da un lato della medaglia c’è il fatto che sono un mezzo per connettere persone lontane, amici di vecchia data e, soprattutto in questo particolare frangente storico che stiamo vivendo, si sono rivelati un aiuto quasi indispensabile per superare i periodi di lockdown e quarantene varie; dall’altro lato, possiamo davvero affermare che quella virtuale sia un’effettiva comunicazione? Gli effetti sul lungo periodo dell’uso di Zoom durante la pandemia, per citare un esempio, si stanno mostrando inesorabilmente già da ora: con il fine di mantenere i rapporti che avevamo siamo rimasti connessi 24 ore su 24; inoltre, nel momento in cui è stato possibile riprendere a vedersi in presenza, si è avvertito un sentimento di quasi estraneità. In una società già di per sé individualista, siamo rimasti ancora più soli. 

Per quanto riguarda Instagram, di cui abbiamo discusso a lungo, la situazione è forse ancora più complessa: il rischio di vivere una vita che in realtà non ci appartiene è sempre in agguato e il desiderio di apparire (che a ben vedere viene dal desiderio di per sé buono – ma in questo caso spesso distorto – di essere riconosciuti, di essere voluti bene) a volte prevale sulla verità delle cose. Così come il rischio di vivere alcune cose solo in funzione dei social, andare in quel determinato posto “instagrammabile” per postare la foto e ricevere quanti like possibili, oppure fare alcune attività solo per mettere una storia e far vedere ai nostri follower che abbiamo una vita per niente noiosa. Per mostrare a tutti che siamo felici anche quando non lo siamo e che, parafrasando Shakespeare, tutto ciò che luccica è davvero oro e non un filtro con le stelline. Penso per questo a volte con tenerezza alla vita degli influencer, alla presenza costante di uno schermo nella loro quotidianità, persino nei momenti più intimi (Paola Turani che allatta il suo bambino ad esempio, o le foto postate da Chrissy Teigen in ospedale, mostrando tutto il dolore di un aborto). Quasi come se spesso si perdesse quel confine tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, perdendo a volte anche la consapevolezza che non tutto può essere mostrato sui social. Poi, come tutte le cose, non è saggio generalizzare. 

Esistono difatti anche utilizzi buoni di un social come Instagram, penso ad esempio – oltre al caso di Chiara Ferragni agli Uffizi citato a lezione – alle dirette maratona di Stefano Guerrera in collaborazione con Oxfam durante la quarantena (per raccogliere fondi per comprare tablet destinati agli alunni in DAD), o alla presenza di pagine di informazione: quotidiani, pagine di rassegna stampa, personaggi e profili come Marco Cartasegna o Will, che si impegnano a chiarire anche ai “non addetti ai lavori” cosa succede nel mondo della politica e delle relazioni internazionali.

In conclusione, pur davanti ad un pericolo effettivo, la responsabilità di come usiamo i mezzi di cui disponiamo è pur sempre la nostra, tutto sta nella nostra libertà di chi seguire e chi no, di cosa mostrare e cosa no, ricordandoci sempre però che la vita dev’essere vissuta altrimenti il tempo ce la ruba. 

Marina Manzoni

Giovanni Palilla

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