Grease sott’esame, quarant’anni dopo

Per chi ha dai trent’anni in su – ma forse anche qualcuno in meno – Grease è certamente un must dell’educazione audiovisiva e un pezzo immancabile nel proprio bagaglio culturale. Uno di quei film che ogni anno rispuntava nei palinsesti televisivi e che puntualmente rivedevi ogni volta, perché non c’erano le piattaforme e ci si accontentava di quel che passava il convento. Ma lo si rivedeva anche volentieri, perché Grease è come l’amico che ritorna con piacere ogni estate, e in cui ritrovi la stessa gioia e la stessa energia di quando l’hai lasciato. È un film il cui ricordo della prima visione si perde nel tempo, come se ci fosse sempre stato, fin da quando eravamo bambini, non importa che fosse vero o meno. E chissà che non abbia influito anche sulla nostra formazione sentimentale e sessuale. Probabilmente, avrete sognato tante volte di essere una Sandy che incontra il suo Danny Zuko. E se lo avete fatto, avete completamente sbagliato.

La protagonista femminile

La storia la conosciamo tutti: lei, Sandy Olsson, durante le vacanze estive si innamora di lui, Danny Zuko. I due credono che non si rivedranno mai più, e invece il destino vuole che lei si trasferisca nella stessa scuola di lui per l’ultimo anno scolastico. Sorpresa sorpresa: lui non era quello che lei immaginava. Nonostante John Travolta e Olivia Newton-John siano diventati una delle coppie più iconiche dello schermo, forse meriterebbero di essere ricordati più per i loro look e le loro performance che per i loro personaggi. C’è qualcosa di sonoramente stonato, infatti, nel personaggio di Sandy e nella sua evoluzione – ovvero, nella sua mancata evoluzione.

Sandy, infatti, non evolve. Semplicemente si trasforma, di punto in bianco. Per tutto il film ci viene presentata una ragazza pudica, virginale, ferma nei suoi principi morali, e poi negli ultimi cinque minuti diventa tutt’altro. All’improvviso Sandy non è più Sandy. Da nessuna parte esiste una sola spia di questo cambiamento, qualcosa che ci faccia presagire, o anche solo sperare, che lei stia per smettere i suoi abiti (e non solo metaforicamente). Ma quel che è peggio è il motivo della trasformazione.

Sandy cambia per essere ciò che in fondo Danny vorrebbe da lei: una ragazza più (sessualmente) disinibita. Eppure è sempre stato Danny, e solo Danny, quello che avrebbe meritato un’evoluzione. Dall’inizio alla fine, è lui che dovrebbe redimersi. Quando rincontra Sandy a scuola finge di non aver mai provato nulla per lei, per non rovinarsi lo status di sciupafemmine. Quando sono al drive in e lui allunga le mani su di lei, dimostra di averle regalato l’anello solo per poterci provare. E quando, nel bel mezzo della gara di ballo, Sandy viene portata via di peso dai suoi amici, lui resta in pista con un’altra ragazza anziché correrle dietro. Insomma, è il caso di dirlo: Danny è un vero e proprio stronzo.

L’immaginario di genere

Eppure a lui non viene chiesto di cambiare per lei, non più di tanto almeno. Il lieto fine sta nell’immagine di Sandy che indossa un completo di pelle attillato e tiene una sigaretta in bocca. Ma volete sapere una cosa? Sandy e Danny non sono per niente fatti l’uno per l’altra. Nella realtà, quei due capirebbero di essere troppo diversi e che il loro non poteva che essere un flirt estivo. In una sceneggiatura ben scritta, magari, sarebbero scesi a compromessi. Invece è soltanto lei a dover mutare, che poi sarebbe a dire che deve omologarsi. Diventare come tutti quanti gli altri. Come i suoi compagni di liceo. Come le Pink Ladies, che fumano e parlano spudoratamente di sesso. Il che va anche bene, non che ci sia qualcosa di sbagliato in loro ma, ecco, non c’era nulla di sbagliato neanche nella vecchia Sandy.

Tutto questo ha molto a che fare con la costruzione di un’identità di genere, maschile e femminile, attuata senza sosta per l’intera durata del film. Da una parte, si avverte il senso di condanna morale che grava su un personaggio come Rizzo, così sfacciata, così poco per bene, una ragazza facile che incarna l’emblema dell’immoralità dell’epoca. All’altro capo del filo, c’è Sandy, immagine di una figura femminile che sembrerebbe approvabile, e invece non lo è: perché Sandy incarna l’estremo opposto, quello della vergine inoppugnabile che, alla fine, non è abbastanza desiderabile. La versione giusta – quella che merita l’happy ending – è la versione in cui è sessualmente disponibile. Una via di mezzo, insomma, né verginella né puttana. Disinvolta, ma non con tutti.

Questo immaginario viene costruito minuziosamente con tanti, piccoli riferimenti, disseminati qua e là anche nel mezzo delle canzoni, le stesse che abbiamo allegramente e inconsciamente cantato tutta la vita. Per esempio, nella famosa Summer Loving iniziale, le ragazze chiedono a Sandy se questo suo amore estivo avesse una macchina e quanti soldi abbia speso per lei. I ragazzi dei T-Birds, il gruppo di cui fa parte anche Danny, sono letteralmente ossessionati dall’idea di avere un’automobile, perché rappresenta una chance in più per far colpo sul gentil sesso. Come dimostrazione ultima di machismo, ingaggiano una sfida automobilistica con la gang rivale senza esclusione di colpi. L’idea di mascolinità propugnata da Grease, insomma, è quella di essere duri, impassibili, cinici, restii a qualunque dimostrazione d’affetto, ed essere sempre alla moda, con un’auto per scarrozzare la propria tipa e un po’ di pezzi di carta nel portafogli. Il classico uomo che deve prendersi cura della sua donna.

Una mentalità fuori moda

Non sarebbe finita qui, se ci fermassimo a sottolineare tutte gli stridori che arrivano alle orecchie, passando inosservati solo perché la colonna sonora è più gradevole. Per esempio, ancora in quella Summer Nights, c’è un verso che suona pericolosamente rapey: è quando gli amici chiedono a Danny, tra un sorrisetto e un passo di danza, se lei abbia opposto resistenza. Come se fosse una cosa divertente, o comunque normale. Oppure la costante derisione e umiliazione dei “secchioni” come se la loro esistenza servisse solo e unicamente al nostro trattenimento. O ancora l’annuncio delle regole del ballo scolastico, che impediscono la formazione di coppie dello stesso sesso.

Passino pure i liceali interpretati da ultraventenni poco credibili nel ruolo di adolescenti – una pratica che, comunque, sarebbe resistita ancora per decenni nei teen drama americani – ma una donna che rinuncia a sé stessa per un uomo, no. Non dopo Rossella O’Hara, Margo Channing, Foxy Brown e Jeanne Dielman. E a chi viene a dirci che Grease è un film ambientato negli anni Cinquanta, risponderemo che però è stato realizzato vent’anni dopo, che sono abbastanza per prendere le distanze da certe mentalità. Che poi, è dove risiede il fulcro della questione: il tempo che passa ci consente di scegliere sotto quale luce osservare gli anni che ci siamo lasciati alle spalle, cosa conservare e cosa condannare, come interpretarli e rappresentarli. Forse, quando guardavamo Grease alla tv, poteva sembrarci ancora tutto esilarante. Ma oggi che disponiamo di nuove lenti per osservarlo, possiamo guardarlo meglio da ogni angolazione. E capire che, se togli le canzoni – formidabili, tra le migliori di tutti i tempi – resta poco altro a cui applaudire.

Andrea Vitale

Andrea Vitale nasce a Napoli nel 1990. Frequenta il liceo classico A. Genovesi, e nel 2016 si laurea in Filologia moderna alla Federico II. Ama la musica e la nobile arte dei telefilm, ma il cinema è la sua vera passione. Qualunque cosa verrà in futuro, spera ci sia un film di mezzo. Magari, in giro per il mondo. Attualmente frequenta un Master in Cinema e Televisione.

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