Osmosi e apodissi in “Inattuali” di Gilda Policastro

Inattuali di Gilda Policastro (Transeuropa, 2016) è un libro “ricettivo”, che espone il luogo della poesia alla corrente del linguaggio quotidiano. Ne emerge non solo una lingua “labile” – depistata continuamente da salti di registro e materiali eterogenei – ma soprattutto, attraverso quella, una slogatura della verità, che si manifesta non nell’asserzione, bensì nell’inclinazione del linguaggio.

Lingua labile

Ciò che colpisce di Inattuali è innanzitutto la lingua-serbatoio, mossa e instabile, in cui si offrono le poesie. Da un punto di vista lessicale, possiamo individuare principalmente tre sfere, che si accostano ed entrano in frizione: quella tecnologica, dei media e dei social network («byte», «ps vita», «wii», «switchando», «Wikipedia»…); quella del dialetto romanesco («je so’ saliti sopra»…); quella del mondo letterario e accademico («ellissi», «ipotassi», «metanarrativo», ma anche innesti in greco, sigle, citazioni più o meno dirette – tra «Cortegiano», «Leopardi» e «bisbidis» sanguinetiano).

Marcate diatopicamente la seconda e diafasicamente le altre, le sfere sono centrate nella loro specificità e, interagendo, ottengono l’effetto di evidenziare lo scarto che le separa. In questa direzione opera anche la sintassi, tesa verso la propria dissoluzione: lo strumento preferito da Policastro è quello dell’asindeto, e le poesie si offrono come lunghe accumulazioni asindetiche, rapidi passaggi da un codice all’altro, che sono allo stesso tempo – come vedremo – mimesi di un caos linguistico e inquietudini psichiche.

La lingua di Inattuali è dunque una lingua labile, che non si presenta come struttura in senso forte, ma come arco, flusso di una significazione che viene dalla mobilità; tanto per gli squilibri di registro appena descritti, quanto per la costruzione del verso libero, che si allarga e restringe continuamente, racimola, isola particelle attraverso gli a capo (n. 13), l’elenco numerato (n. 4) o l’acrostico (n. 7).

Ascolto, auscultazione, osmosi

Tale labilità, tuttavia, non è semplicemente un risultato: deve essere colta nella sua potenza di matrice. Le tre sfere gergali indicate sopra sono infatti registrate dall’esterno (si legge nella nota che chiude il libro: «Annoto perciò le frasi a orecchio ai tavolini del bar vicino casa come sull’autobus o sui treni») ma contemporaneamente rielaborate da un soggetto che le riceve («la poesia è sempre e comunque uno sguardo: obliquo, trasversale, certo, ma di fatto una sezione dell’esperibile, dunque l’espressione di una soggettività che seleziona»).

Il “contemporaneamente” di questa operazione va preso inoltre nel suo significato più profondo: non c’è un intervallo tra la ricezione e la rielaborazione, i due momenti sono dialetticamente interni a uno stesso atto di (ri)produzione poetica, che sussiste proprio in quanto amalgama estetico di una ricezione linguistica e di una selezione psichica. Le tredici Inattuali – che richiamano Nietzsche nel titolo – con la loro asettica numerazione (cioè, senza titolo), con la loro lingua labile, si configurano dunque come singoli laboratori (e sempre nella nota, infatti, si parla di «poesia come campo di ricerca»), come spazi simbolici fotosensibili che vengono impressionati da codici e sottocodici specifici (del social, di Roma, dell’accademia), ma di cui noi lettori vediamo soprattutto i salti da una materia all’altra, da un linguaggio all’altro, che sono i salti intenzionali di una psiche.

Qui dunque è il nocciolo della natura esterno-interna (del «dentrintorno») del libro, che vive in quanto ascolto (delle «condizioni esterne», come le chiamava Sanguineti) e in quanto auscultazione (interiore), con le due dimensioni che però si scambiano l’una con l’altra. Nell’era dell’ipertrofia verbale di cui Inattuali è traccia, la poesia è l’impressione linguistica dell’osmosi tra i linguaggi del mondo e i montaggi dell’io.

Apodissi e verità

Non bisogna tuttavia limitarsi a riconoscere il fatto espressivo della struttura mossa, aerea, di questi testi. L’aspetto più interessante di Inattuali, secondo chi scrive, è il rapporto che viene a crearsi, all’interno del linguaggio, tra labilità e verità. Un nodo centrale dell’opera è infatti proprio la possibilità di esistenza di un «finto deposito gnomico», che è composto da quelle asserzioni e convinzioni individuali che il soggetto-ricettore coglie dall’esterno (tra cui, l’incipit: «La verità è che i quattro salti in padella / non so’ cattivi»). Certamente la sfera del dialetto romano è quella che in maniera più evidente fa emergere questo aspetto («Nun se dovrebbe lavorà pe’ llegge quanno fa freddo»), ma a ben guardare anche gli altri due campi ruotano attorno a dei centri gnomici che, proprio se esposti, possono mostrare la loro caducità e leggerezza, il loro essere oggetti (linguistici) tra gli oggetti, prima che teorie o verità. Lavorano in questo senso, ad esempio, le accumulazioni di cifre (come in n. 12: il conteggio mediatico delle catastrofi che finisce per annullare la loro realtà materiale) e le sigle («ES», «LP»…) poste accanto alle citazioni, come a relativizzare (o a sostanziare per auctoritas, che è uguale) la “verità” appena posta.

Ecco dunque che la verità in Inattuali gioca contro l’apodissi. Proprio perché tentano di porla o di afferrarla frontalmente, il sillogismo, il proverbiale, la citazione, la convinzione, il “si dice”, svelano la loro incapacità di cogliere la verità e sono riproposti – tramite collage – nella loro smascherata natura linguistica, come tic e come tentativi apodittici forzati. Al contrario, proprio la labilità e obliquità di questa lingua riesce a far emergere una verità, ci riesce performativamente e non referenzialmente o gnomicamente, a partire dal pastiche: la verità come caos onto-socio-linguistico, da una parte, e come mistero indicibile, dall’altra. Questo mistero è la morte, sottofondo impossibile da dire soprattutto quando vengono evocati più esplicitamente i «morti» – ad esempio nell’elenco di violenze di n. 12 – che sono la spettacolarizzazione mediatica della morte, non la sua cruda realtà.

L’inattualità di Inattuali si dà allora in questa differenza, nello scambio che si compie tra referenziale e performativo, tra affermazione e verità; una verità che è inattuale (non in atto) proprio all’interno dell’“attualità” dei temi e dei linguaggi scelti, e si concretizza invece solo nella trasversalità dello sguardo, cioè della poesia.

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