Perché dovremmo fare pace con la musica pop

Esiste un inveterato pregiudizio nei confronti della musica pop che la riduce a qualcosa di indegno, artefatto e superficiale. Chiedetelo a Ally Campana, la protagonista dell’ultimo remake di A Star Is Born, che per far decollare la sua carriera ha dovuto appendere al chiodo ogni velleità da cantautrice. “Why do you look so good in those jeans? / Why’d you come around me with an ass like that?”, canta alla sua esibizione al Saturday Night Live, alla faccia di ogni spessore testuale. Sensualità marcata, movimenti ammiccanti, niente look acqua e sapone, fa tutto parte del pacchetto di una perfetta popstar. La reazione di Jack – e in sostanza tutto il film – dà voce a quello che molti di noi pensano, di Ally, la sua canzone e della musica pop in generale, e cioè che sia solo un mercimonio di note che niente hanno da dire, e dove il talento è nullo.

Lady Gaga in A Star Is Born

Un popolo di detrattori

Da tanto tempo la musica pop non vanta una buona reputazione, probabilmente più tra i comuni ascoltatori che tra gli addetti ai lavori. Il problema è che la stima di cui gode un genere musicale presso il pubblico è difficilmente quantificabile – attenzione, stiamo parlando dell’atteggiamento che una massa di individui assume verso un’intera categoria, non dell’apprezzamento effettivo di questo cantante o di quella canzone, misurabile invece tramite i dati di vendita. Ma se vogliamo un indizio, una spia, allora guardate sul web: prendete Quora, la piattaforma su cui gli utenti possono pubblicare domande su qualsiasi argomento, che pullula di quesiti del tipo “perché la gente odia la musica pop?”. Al netto delle risposte (c’è chi critica l’uso di sintetizzatori, chi contesta il talento dei suoi esponenti, chi rimpiange i grandi miti del passato), ci si trova di fronte a un oceano profondissimo, migliaia e migliaia di commenti che danno la misura di quanto il pop sia avverso a numerose persone là fuori.

Sì, la ascolto, ma non mi piace mica

Un altro sensore è rappresentato dall’esperienza comune. Pensateci: quante volte vi è capitato di sentire che la musica pop è robaccia, magari in confronto ai grandi artisti del rock o ai maestri del jazz? Probabilmente voi stessi, qualche volta, vi siete vergognati di ammettere che un tormentone estivo vi piace davvero, nascondendovi dietro la scusa che lo ascoltate solo perché la stagione lo richiede, ma non vi sognereste mai di aggiungerlo alle vostre playlist su Spotify. E forse vi rispecchierete in un commento del genere: [Pop music is] Complete trash. All we get from this genre is a bunch of untalented “artists” that rarely create anything regarding their music. It’s not even about music when it comes to this genre, people only care about the celebrities, che comunque non è lontano dal punto cui vogliamo arrivare.

Beyoncé durante una performance

Una definizione di pop

Ma che cos’è davvero la musica pop? Domanda banale, ma in fondo anche no. Perché la musica pop è uno di quei prodotti mediali che tutti noi sappiamo riconoscere, ma darne una definizione poi diventa un altro paio di maniche. D’accordo con il Macmillan Dictionary, la musica pop è quel tipo di musica caratterizzata da una struttura semplice, con strofe sempre uguali, ripetibile e d’immediata assimilazione. In soldoni, il pop è il genere di più facile “accesso” alle masse, radiofonico, commerciale e gradito da un largo pubblico. Ma pop ha anche a che fare con popular, con cui sovente si confonde. Difatti, non sorprende poi che sulle riviste di settore spesso passino sotto l’accezione di pop anche artisti che attengono molto più ad altri generi, come Drake, Kanye West e Beyoncé.

L’atteggiamento della critica

I critici musicali, negli ultimi anni, sono stati particolarmente favorevoli verso questi big winners, i re e le reginette delle classifiche, campioni di popolarità ben oltre la loro musica. Lorde, Lana Del Rey, Ariana Grande, Billie Eilish, Ed Sheeran, sono solo alcuni dei grandi nomi pop che hanno raccolto entusiastiche recensioni (e a volte fatto incetta di premi belli grossi). Per contro, c’è ancora una grandissima fetta di popstar che faticano a raggiungere quel grado di riconoscimento ufficiale, per non parlare poi delle hit da spiaggia e le canzoni da discoteca, puah!, che schifo. È vero, la musica pop è fatta di talmente tanta di quella roba da restituircene un’immagine tutt’altro che omogenea, e da renderci ancora più difficile riappacificarci con questo genere: come si può dire di amare la musica pop se oltre ad Adele, Sam Smith e Michael Jackson ne fanno parte anche Justin Bieber, Miley Cyrus e i OneDirection?

Agli ultimi Grammy Awards, la cantante Billie Eilish si è aggiudicata tutti i premi principali

Controindicazioni della popolarità

Sapete, a volte è proprio la popolarità connessa alla pop music a costituirne un deterrente. Il concetto di popstar è strettamente legato a quello di popolarità, tanto da farne un tutt’uno, e la popolarità non necessariamente deriva dalla musica che fai. È una questione (anche) di estetica, di immaginario, di sensazioni visive oltre che uditive, che accompagnano gli artisti sul palco delle loro performance o nei loro costosi videoclip. Chi scrive ricorda che una volta si trovò a parlare di musica con degli amici all’università, e per non farla troppo lunga il discorso cadde su Britney Spears; ebbene tutti i presenti sapevano chi fosse, ma solo uno (al di fuori del sottoscritto) era in grado di citare i titoli delle sue canzoni. Le popstar sono argomento costante di conversazione: quanto guadagnano, con chi hanno una relazione, se dimagriscono o mettono peso. Tutti sanno chi sono, ma ciò non vuol dire che conoscano la loro musica. E questa attenzione mediatica, a volte concentrata ossessivamente sulle loro misure o su un taglio di capelli, ha l’effetto di farci credere che una popstar non vada confusa con un artista, e che tutto ciò che abbia da venderci sia il suo corpo.

Lizzo, cantante e rapper

Esporsi per una giusta causa

Che poi, se il problema fosse la sovraesposizione fisica delle popstar, ci sarebbe anche qui il lato buono della medaglia. Un solo nome: Lizzo. La cantante oversize che ha fatto della body positivity la sua bandiera, e che anziché coprire il suo corpo ha deciso di mostrarlo generosamente. Sia benedetta sempre Lizzo, per aver contribuito a cambiare il modo di raccontare le donne come lei, e come tante altre. In precedenza, altri ancora lo hanno fatto, tramite il loro lavoro, di parlare dell’accettazione di sé anche al di là del proprio corpo: ricordate Beautiful di Christina Aguilera e il suo potentissimo video? Ora voi riderete, probabilmente, ma persino le Spice Girls hanno rappresentato sul fronte culturale un incoraggiamento al girl power notevole. E prima e dopo di loro, Madonna ha legittimato la sessualità femminile e perorato la causa della donna moderna, da Justify My Love a What It Feels Like for a Girl, in modi che Kesha, Halsey e Beyoncé poi hanno appreso.

Britney Spears durante l’esibizione agli MTV Video Music Awards del 2007

Questione di parole

Tanto per restare in tema, chiunque ricorda che Britney Spears è stata protagonista delle cronache scandalistiche nel biennio 2006/07, a suon di diatribe coniugali, teste rasate ed esibizioni sbagliate. In pochi forse si sono presi la briga di andare a vedere che i sintomi di un disagio crescente erano già tutti lì, nei suoi testi. Certo, non era facile accorgersi che cantava di sentirsi intrappolata in una gabbia mentre ballavamo le sue canzoni, né ci verrebbe in mente di sostenere che fosse la candidata ideale per l’Ivor Novello; semplicemente, mentre ci invitava a muoverci sulla pista da ballo stava anche dicendoci qualcosa, seppur in modo assai ordinario.

È un brutto vizio, quello di sottovalutare ciò che una canzone e un cantante pop (o dance, o di qualunque altro genere da riproducibilità radiofonica e danzereccia) hanno da dirci. Con una intramontabile hit da discoteca come Relax, i Frankie Goes to Hollywood hanno fatto la loro parte per sdoganare un argomento tabù come l’omosessualità in un momento storico in cui le vittime di AIDS morivano senza destare attenzione. Non immaginereste quante volte avrete cantato e ballato musica pop senza sapere che, sotto sotto, c’era un messaggio contro la guerra o antirazzista.

Amy Winehouse nel videoclip di Rehab

Le hit radiofoniche possono parlarci?

“They tried to make me go to rehab / But I said, “No, no, no”, cantava Amy Winehouse nel 2006 nel suo singolo di maggior successo. I fatti sono noti: non c’è stato rehab che abbia tenuto per la cantante inglese scomparsa a 27 anni, iconica voce del nuovo soul bianco. Permettetemi di chiudere con questa citazione d’una artista che appartiene molto più all’R&B che al pop, ma che ci ha lasciato una delle canzoni più orecchiabili dello scorso decennio, così tanto orecchiabile da far passare inosservato il grido d’aiuto celato tra le sue note. Quando Amy morì, per abuso di alcol, sentii dire da più parti che se l’era cercata. Sul finale, Rehab proseguiva così: “I don’t ever wanna drink again / I just, oh, I just need a friend”. Non so voi, ma a me non sembrano le parole di qualcuno che voglia farla finita. Mi è sembrata tutt’al più molto sola, e triste. A sottostimare una canzone perché diviene un tormentone radiofonico a volte si può commettere un grave errore di valutazione.

Andrea Vitale

Andrea Vitale nasce a Napoli nel 1990. Frequenta il liceo classico A. Genovesi, e nel 2016 si laurea in Filologia moderna alla Federico II. Ama la musica e la nobile arte dei telefilm, ma il cinema è la sua vera passione. Qualunque cosa verrà in futuro, spera ci sia un film di mezzo. Magari, in giro per il mondo. Attualmente frequenta un Master in Cinema e Televisione.

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