Vite parallele: Anna Karenina in “Run River” di Joan Didion

“Esiste mai nella vita di qualcuno un punto, slegato dal tempo, privo di memoria, un punto in cui la scelta è più della somma di tutte le scelte compiute prima?” si chiede Joan Didion nel suo romanzo d’esordio Run River, pubblicato nel 1963. Esiste una risposta? Forse sì, se si ha il coraggio e la pazienza di addentrarsi nella vita di Lily Knight, la fragile protagonista dell’intera vicenda, e di contrapporla alla ben più nota esistenza di Anna Karenina. Vediamo perché.

Distese di sole, ghiaccio e vento

Un ranch bruciato dal sole e l’immensa campagna russa: cosa mai avranno in comune? L’ineluttabilità delle storie che si nutrono della loro terra, diciamo. L’ineluttabilità delle esistenze dei loro protagonisti. In particolare, di Anna e di Lily. Ma chi sono veramente queste donne? Rappresentano due facce della stessa medaglia? Potrebbero o non potrebbero sostituirsi l’una all’altra nel nostro solito gioco letterario? Come funzionerebbe Run River se al posto della debole e abulica Lily trovassimo catapultata tra le sue pagine l’affascinante e volitiva Anna?

Fragilità a confronto

Questi due splendidi romanzi – il capolavoro assoluto Anna Karenina e, per l’appunto, il già citato Run River – sono per certi aspetti simili e per altri speculari. Entrambi si concentrano – quanto meno a prima vista, anche se il respiro di entrambi poi si farà più ampio, soprattutto per quanto riguarda il capolavoro di Tolstoj – sul melodramma familiare. Siamo di fronte in entrambi i casi ad un matrimonio distrutto dal tradimento, cui seguiranno altre sventure: il suicidio in Anna Karenina e l’omicidio in Run River. Ma facciamo un passo indietro e riassumiamo le due trame.

La ribellione di Anna

Pubblicato nel 1877, Anna Karenina è uno dei romanzi più noti di Lev Tolstoj. Il romanzo è ambientato nel mondo dell’aristocrazia russa e ci racconta con estrema profondità e acutezza le dinamiche sociali proprie di quell’ambiente. Certo, il tema principale appare essere l’adulterio, ma chi ha letto il romanzo sa bene che non è così. Il tema principale è in realtà il rapporto tra individuo e società, con una specifica declinazione intorno ai concetti di libertà individuale, colpa, punizione e salvezza/redenzione. Il romanzo è corale e lungo le numerose pagine che lo compongono si snodano sempre in preciso equilibrio le vicende contrapposte delle coppie Anna/Vronskij e Levin/Kitty.


A ben vedere, ciò che conta – per Tolstoj – non è solo o tanto mostrarci le antinomie tra l’amore adulterino e tragico e la felicità matrimoniale, piuttosto è il confronto serrato di personalità tra Anna e Levin. O per meglio dire, il confronto tra la capacità di farsi uno nella molteplicità (Levin) e l’impossibilità ad accettare un destino collettivo nella propria esistenza specifica (Anna). E sappiamo già chi sarà costretto a perdere, annichilito ed annullato dalla capacità di potenza che è in grado di esprimere (talvolta crudelmente, anche se in modo non sempre volontario) la società nel suo insieme.

Ma concentriamoci sul preciso punto che ci interessa: il personaggio di Anna. La protagonista – descritta fin da subito con caratteristiche socialmente vincenti – giovane, bella, spigliata e altolocata – è in realtà infelice, colma di un’afflizione stridente con il suo essere perfettamente in linea con le regole del gioco dell’alta società. È infatti insoddisfatta a causa di una formalità ben riconosciuta ed accettata nel suo mondo, e cioè perché costretta – come tante – in un matrimonio senza amore. La differenza, però, rispetto alle altre donne malmaritate come lei, emerge fin da subito dal suo Io autentico e traboccante: la sua esuberanza sentimentale non può essere tenuta a freno dagli obblighi sociali.

Da qui nasce la sventura della sua esistenza. Il perdere – cioè – il proprio posto nel mondo. Quel mondo che l’ha forgiata e nel quale si è sempre mossa con eleganza e leggerezza, che ora si fa macigno e le impedisce persino di respirare. E così fugge, si svela, viene additata, rifiutata. Abbandona persino gli obblighi più profondi di madre, tanto è vittima del suo destino. E infine – come unica, possibile conclusione – finisce per uccidersi. Da donna perfettamente integrata nella società di cui fa parte, brillante e fascinosa, Anna si ritrova a rinunciare a tutto (matrimonio, figlio e soprattutto posizione sociale) in nome della sua passione, sfidando ogni convenzione. E il mondo che l’aveva fino a quel momento adorata, ora è lo stesso che ferocemente la emargina.


Chi è dunque Anna? Una donna forte che si ribella alle regole sociali, rigide e misogine, di un mondo miope e antiquato, oppure è una donna debole, capricciosa, vittima delle sue stesse passioni? Ma soprattutto: poteva esistere un finale alternativo? L‘ineluttabilità del destino – o delle proprie scelte –, di cui parlavamo al principio, esiste davvero? Avrebbe la storia potuto portarci da qualche altra parte o solo e soltanto sulle rotaie di quel treno? Si sa, Tolstoj sembra dirci che la scelta era già stata fatta. Da subito. Dalla prima riga. Da quanto ci ha presentato Anna e veniamo subito a conoscenza di quell’incidente premonitore. La scelta (ma si tratta proprio di una scelta?) era già stata fatta nel suo cuore, perché faceva parte della sua stessa essenza. Il destino tragico era dal principio dentro di lei ma l’indimenticabile affresco della sua personalità si manifesta ancora al lettore di oggi nel disperato tentativo di opporvi resistenza.

La sottomissione di Lily

Lily Knight – invece – fin da subito appare diversa. Diversa dagli altri. Non in linea con le aspettative sociali. Tutto il contrario di Anna, insomma. Il mondo in cui è inserita e le sue regole non fanno per lei. Nel romanzo – a un certo punto – viene proprio descritta così: “…Lily non riesce a dire cose semplici come ‘preferirei di no’ o ‘potrei avere altro caffè’…”, intendendo dire che anche le convenzioni più banali si presentano ai suoi occhi come enigmi da risolvere o situazioni socialmente insopportabili. È infelice, profondamente infelice, e non sa perché. A nulla servono l’affetto del padre, il matrimonio con Everett McClellan, i figli, il benessere economico. Lily si sente sempre e perennemente intrappolata in quella anonima vita, borghese e decadente. Si sente smarrita. Ma non riesce a opporsi. Cullata dalla corrente come un’alga addormentata, scorre lungo la propria esistenza senza un fremito, colma solo di abulia. Persino la soluzione dell’intreccio amoroso la vedrà spettatrice inerme: rimarrà in attesa addirittura di un secondo sparo, dopo che il marito Everett avrà colpito con un primo proiettile l’amante Ryder Channing.


Dentro di sé, però, Lily alterna fiamme a lacrime. Ma esteriormente non si coglie nulla di quel tumulto. Prendete, per esempio, l’immagine di copertina di Run River. C’è una donna. Pallida, delicata, vestita in modo piuttosto scialbo e con lo sguardo perso nel vuoto. È perfetta. È Lily. Non avrebbe potuto essere più diversa da Anna Karenina.

La scelta


Tolstoj sta alla campagna russa come Didion sta alla California. E la conoscenza territoriale nella quale immergono le loro storie e i dilemmi dei loro personaggi crea quel meraviglioso e brutale scollamento tra il radicamento culturale e lo straniamento personale. Entrambi – poi – scrivono splendidamente di donne. Scrivono splendidamente in generale, ma in particolare riescono a restituire un’insieme di immagini, pensieri, decisioni, dubbi che compongono nella mente del lettore degli affreschi davvero evocativi. E allora ecco Lily e Anna, le loro fragilità a confronto. Perché in nessuno dei due casi siamo di fronte a una catena di eventi che non si può spezzare. Ma il punto centrale è che alle donne fragili sembra sempre troppo tardi per poter scegliere.

Il finale alternativo

Immaginiamoci allora Anna in un ranch polveroso della California. Immaginiamola padrona assoluta della socialità locale. Feste in piscina, balli campagnoli, chiacchiere e biscotti. Noioso, troppo noioso per Anna. Che andrebbe in cerca di un fremito, di uno scandalo, di un amore. Ryder Channing sarebbe perfetto. Ma è nella sua natura di essere sopraffatta e dunque non riuscirebbe a viverlo di nascosto, a tenere custodito il proprio peccaminoso segreto. E allora il marito – ricordiamoci che non si tratta più di un dignitoso ufficiale governativo, ma di un latifondista che sonnecchia sotto al sole ambrato della California – sarebbe costretto a sbrigare la faccenda a modo suo. E cioè in modo spiccio. Come se Karenin sparasse a Vronkij. Ma – attenzione – non serve a nulla. Perché Anna non è lì ad ascoltare inerte il secco suono del secondo sparo. Anna è già morta, annegata nel fiume dove tante volte ha giocato da bambina e che spesso – chissà perché – ha presagito racchiudesse il suo tragico destino.

Anna Pietroboni

Milanese, laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Neurologia, lavora in un grande ospedale pubblico. Appassionata di musica e tennis, impegna il poco tempo libero a leggere e scrivere. Di recente ha pubblicato tre romanzi, All'ombra dei giorni (O.G.E., 2014), Le immagini ibride (A&B, 2017) e Il dolce domani (A&B, 2019). Nel 2018 ha vinto il premio internazionale “Letteratura” con il racconto inedito Un segreto.

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