Dimenticati nel cassetto: “Giorni di luglio” di Hermann Hesse
Esiste – tra i romanzi di formazione – una tipologia tutta particolare che potremmo chiamare del primo amore. Di regola, l’intreccio è semplice, il tono è lirico e l’ambientazione è bucolica. Soprattutto se il protagonista è un giovane maschio socialmente elitario. Se – invece – l’io narrante è una fanciulla, più probabilmente il racconto sarà metropolitano, drammatico e si concluderà con qualche sorta di colpo di scena. Ma se il protagonista è un giovane sognatore, no. Non avremo quasi mai tragedie, terribili ingiustizie, sangue e violenti rimorsi. Avremo soltanto un dolce senso di rimpianto.
I luoghi comuni del romanzo di formazione
Questa tipologia di romanzo di formazione ci immerge – di solito – in una villa di campagna elegante ma decadente, dove un precettore bonario cerca di ricondurre ad Omero il giovane innamorato, mentre i suoi genitori distratti – padre severo e distante, madre dolce ma svagata – sono occupati a ferirsi sottilmente tra loro. Presto compariranno un’affascinante zia che vuole allontanarsi da un amore sbagliato, o una collegiale inesperta che il protagonista ha conosciuto durante l’infanzia ma che non ha mai del tutto dimenticato, o ancora una giovane donna sull’orlo della disapprovazione sociale che irrompe nella trama per scandalizzare il protagonista, sognatore e con entrambi i piedi ben piantati dentro al quadrato delle regole. Ma perché questi cliché?
Non sempre e solo Werther
Giorni di luglio di Hermann Hesse è esattamente tutto questo. C’è una casa di campagna. C’è l’estate, colma nel suo splendore. Ci sono un padre (forse un po’ più indulgente del solito) e una madre (meno affascinante ed eterea della norma) sempre distratti e appena abbozzati sullo sfondo. C’è un educatore. Ci sono due giovani donne ospiti, in antitesi tra loro. C’è uno spazio sconfinato che è la fantasia del protagonista. Una fantasia che ci avvolge tra le sue spire di sogni, dubbi e pensieri per la prima volta passionali. C’è una descrizione delicata e lirica del primo amore. Delicata e leggera come solo possono essere i primi amori maschili. Innocui, cioè. Da ricordare ma con un sorriso di superiorità. Perché il protagonista ha la consapevolezza o il senso – forse – di essere al di sopra di preoccupazioni tipicamente ricondotte al mondo interiore femminile.
Primo amore
L’intensità del sentimento è ardente. Il giovane sognatore è paralizzato. Perde interesse verso i propri studi e i propri amici. Conosce finalmente l’amor terreno. Sta diventando un uomo, cioè. E pertanto è felice, realizzato, nonostante la frustrazione della segretezza dei propri sentimenti e la conclusione in nulla dell’esperienza appena vissuta. Perché l’uomo resiste alle tentazioni del primo amore. O se non resiste, non ne ha conseguenze. Mentre la donna si strugge, perde l’approvazione sociale, compie errori che non potrà mai più riparare, il giovane innamorato è assorto, si eleva verso l’empireo, trae forza e fascino dall’esperienza amorosa, accresce la propria cultura e il proprio bagaglio esistenziale . E soprattutto, se ne libera con nostalgia – sì – ma molto, molto agilmente.
Luna di fieno
Paul – il giovane protagonista di Giorni di luglio – è tutto questo. In pagine piene di lirismo, lo troviamo sdraiato all’ombra di un vecchio faggio a fantasticare intorno al primo amore. In uno spazio tutto maschile di solitudine e pensieri, ci imbattiamo nei suoi dubbi amorosi. L’ambientazione agreste altro non è che lo specchio dell’interiorità del protagonista. Persino il titolo – letteralmente luna di fieno, e cioè luna estiva – evoca giorni di turbamenti ma delicati, di pomeriggi vuoti, trascorsi sotto le fresche fronde di un albero, di accenni, di sottili sofferenze e curiosità.
Non c’è altro da dire, forse. Perché Giorni di luglio è un romanzo breve e semplice. Poetico. Intimo nella sua ricerca delle sfumature dei sentimenti. Profondo nella sua assenza di pretenziosità. Non ci costringe ad imbatterci in dilemmi esistenziali che la storia non prevede. In carature di ragionamenti, in tematiche sofferenti o eccessivamente elevate. Lo si deve leggere – cioè – per quello che è. Un piccolo gioiello di stile e semplicità. Un po’ arcaico nella rappresentazione del sentimento amoroso maschile, come abbiamo già accennato – ma poi qualcuno ha davvero sovvertito questo cliché oppure l’ha solo barattato con altri? –, un po’ infiocchettato – forse – nella bellezza immobile di una natura estiva elegante e suggestiva.
È il racconto del primo amore per antonomasia. Il primo amore colto, però. Quasi letterario, verrebbe da dire. Garbato e tenue. Estivo. Per certi versi già dimenticato. Un primo amore sbiadito nel quale la luna di fieno diventa la vera protagonista.
A parità di eleganza, c’è Schnitzler per esempio. Ma Giorni di luglio non ha nulla a che vedere con le pulsioni violente, torbide e complesse dell’autore viennese. Giorni di luglio è un’altra storia. Come la spuma del mare, è tutto già in superficie. Splendente, affascinante, ben visibile, delicato e impalpabile, ma presto deposto a riva e abbandonato. Non è l’onda di Schnitzler, potente, avvolgente, che trascina verso il fondo dei desideri nascosti. È il lento sciabordio, il sale che si scioglie, il profumo di salmastro che lascia sulla pelle qualcosa di unico ma leggero, che facilmente si può lavare via, anche se lascerà dietro di sé una tenue scia di sensazioni che rincorreremo per sempre.
Ho aperto il cassetto perché…
È un racconto circolare, perfetto nella sua brevità ed essenzialità. Non c’è nulla di troppo, nessuna sbavatura. La lingua è puntuale ma di una dolcezza disarmante come solo la prosa sa fare quando si avvicina così tanto alla poesia da apparire semplice e sublime. È una fotografia di qualche nostra vecchia estate. Distante nel tempo ma mai così vicina nel ricordo.
Se lo avete dimenticato nel cassetto, prendetelo in mano e apritelo a pagina 21.
Anna Pietroboni