Il teatro di Enrico Lo Verso: Uno nessuno e centomila
Scrivere un articolo su un romanzo tra i più famosi della letteratura italiana può risultare inutile, ridondante, scontato; stare qui a parlarvi di Luigi Pirandello non mi pare il caso perché ne hanno già parlato persone molto più autorevoli di me e non vedo cos’altro possa aggiungere io.
Infatti sto qui a raccontarvi di un adattamento teatrale del famoso romanzo.
L’attore Enrico Lo Verso porta in scena ormai da tempo un adattamento dell’ultimo romanzo di Luigi Pirandello: Uno nessuno e centomila, quello che meglio riesce a sintetizzare il pensiero dell’autore nella sua forma più completa. L’autore stesso, in una lettera autobiografica, lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”.
Lo spettacolo
Uno, nessuno e centomila è un’opera di lunga elaborazione e di assidua stesura; l’originale messa in scena, è l’adattamento teatrale di un romanzo in cui argomento principale è la storia di un uomo comune come Vitangelo Moscarda, che decide di mettere in discussione la propria vita a partire da un dettaglio minimo, insignificante se vogliamo. Quando la moglie Dida gli fa notare che il naso gli pende a destra, allora si “squarcia il teatrino” e anche Vitangelo si trova inserito nel gioco delle maschere. Scopre così di credere di essere uno, ma che in realtà quell’uno non c’è perché è nessuno e scopre anche di essere centomila, che sono gli sguardi con cui gli altri lo guardano. Non riconosce più se stesso, né i suoi amici, né la moglie, né la sua condizione. La sua prima reazione è una sostanziale rabbia. Le cento maschere della quotidianità lasciano il posto alla ricerca del Sé autentico. L’ironia, chiave tipica delle opere di Pirandello, rende la storia paradossale, grottesca: la vita appare come nel gioco delle scatole cinesi e solo nel fondo, dopo averle aperte tutte si troverà l’essenza della vita. Abbandonare i centomila che siamo per cercare l’uno può significare fare i conti con i nessuno che possiamo essere, ma forse è il prezzo da pagare se si vuole vivere sul serio.
Nell’adattamento teatrale di Alessandra Pizzi, lo spettacolo si sviluppa come una sorta di monologo, l’attore, Enrico Lo Verso, sviluppa un racconto ad una voce in cui le parole e i suoni prendono forma, in cui la musica e la narrazione, concorrono alla definizione del pensiero. Il testo diventa di supporto alla musica e viceversa ridisegnando il rapporto e lo spazio scenico tra musica e parole. La particolarità dello spettacolo, rispetto ad altri romanzi di Pirandello più volte riadattati per il teatro, è che questa volta in scena l’attore è da solo, accompagnato da degli specchi, è Lo Verso che presta corpo e voce a Vitangelo alla moglie Dida e ai vari personaggi presenti nel racconto, “ gli attori che non ci sono” come li definisce lui a spettacolo concluso; mancanza che non si avverte affatto in quanto Enrico Lo Verso si mostra capace di riempire l’intero palco dall’inizio alla fine in questa sorta di seduta psicoterapeutica in cui si viene irrimediabilmente catapultati.
Lo Verso mette in scena un contemporaneo Vitangelo Moscarda in un’interpretazione naturalistica e immediata, volta a sottolineare la contemporaneità del messaggio affannati come siamo a mascherarci a mostrarci i centomila che vorremmo essere per nascondere l’uno o il nessuno che siamo.
La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo
Anna Chiara Stellato