Il Tuttofare: quando il tirocinio lo fai dall’avv. Azzeccagarbugli

Dopo aver firmato soggetto e sceneggiatura del primo della trilogia di Smetto quando voglio, Valerio Attanasio debutta con il lungometraggio Il tuttofare. Una storia ambientata nello stesso universo del suo precedente film: i temi e il mondo descritto sono esattamente quelli della difficoltà lavorativa per un giovane laureato.


Antonio Bonocore (Guglielmo Poggi), giovane praticante in legge, sogna un contratto nel prestigioso studio del suo datore di lavoro, il noto giurista Salvatore Bellastella (Sergio Castellitto). Nella speranza di raggiungere il suo scopo, il ragazzo si fa in quattro per Bellastella, facendogli da assistente, portaborse, autista e cuoco personale, per 300 euro al mese. Una volta superato brillantemente l’esame di stato, Antonio spera di diventare socio dello studio e, in effetti, ne ha la possibilità, ma deve dare prima prova di “fedeltà”. L’insigne avvocato chiede al giovane di prestarsi per un matrimonio di facciata con Isabel, sua amante argentina che vuole ottenere la cittadinanza italiana; da qui parte un’ingarbugliata serie di guai.

La commedia

Il tuttofare si inserisce nell’elenco delle commedie italiane che negli ultimi anni stanno prendendo sempre più piede senza una vera consapevolezza di quello che comporta adottare una tale struttura. La commedia, quella vera, non ha una trama pretestuosa, è un modo divertente e ironico di raccontare una storia che però mantiene un suo tono. La trama è fondamentale e deve funzionare indipendentemente dalle risate.

Ultimamente le commedie italiane nella maggior parte dei casi affermano il contrario: la storia è secondaria, è solo una maniera per unire situazioni divertenti.

Nell’ottica di uno svecchiamento della commedia italiana, che punta a diventare anche recupero delle radici dei grandi maestri, un film come Il tuttofare, proseguendo nel solco lasciato dalla fortunata serie di Sibilia Smetto quando voglio, vuole guardare contemporaneamente al passato e al futuro: la caricatura dell’avvocato interpretato da Sergio Castellitto è figlia delle maschere di Tognazzi, De Sica e Sordi, mentre l’approccio cinico alla realtà socio-economica italiana si rifà a quella stessa stagione del nostro cinema, ma anche alle ultime commedie italiane; il ritmo e la messa in scena sono tutti proiettati verso il pubblico italiano del 2018.

L’avvocato Toti Bellastella, principe del foro sposato a una ricca benestante romana (Elena Sofia Ricci) è il classico stereotipo dell’italiano accademico arricchito, che vive in piena armonia tra la sua bieca meschinità e una marcata cialtroneria: severo profittatore coi suoi studenti, vigliacco marito sottomesso alla moglie nella quotidianità. Al giovane praticante Antonio Bonocore chiede qualsiasi tipo di mansione, ovviamente del tutto estranee al percorso di studi, ma inerenti ai vizi dell’esigente professore. Mansioni accettate in una dinamica di ossequi e favori, timori e sottomissioni in nome di un futuro radioso nel mondo lavorativo.

E così Il tuttofare trova una sua coerenza narrativa che, seppur senza guizzi, rende piacevole, e a tratti divertente, la visione del film.

I due protagonisti

L’alchimia e l’ironia dei due protagonisti riescono a portare avanti la storia seguendo un ritmo incalzante. A Guglielmo Poggi calza a pennello il ruolo di un giovane ambizioso, idealista e sempliciotto, con quell’aria spaesata alla Fantozzi, Ma è Sergio Castellitto che ancora una volta dà prova della sua bravura.

Davvero impressionante la profondità che l’attore riesce a donare a un personaggio che, in mani meno esperte, sarebbe sicuramente risultato molto più banale e scontato. Il suo è un avvocato clownesco, una sorta di azzeccagarbugli moderno, poco incline alle responsabilità e avvezzo all’imbroglio.

Il duo funziona anche in relazione al tono satirico e scanzonato con il quale Attanasio si pone nei confronti dello spettatore.

Il Tuttofare

Tocca questioni serie come il precariato e la corruzione, raccontando la lotta per la sopravvivenza in ambienti in cui i ricatti morali e il nepotismo sembrano la regola. Sceglie, però, di mantenere una leggerezza volontaria e, pur incanalandosi nella scia di certe nostre commedie Anni 60, non ne prosegue l’amara riflessione sui vizi italici, limitandosi a preferire l’intrattenimento tout court.

In chiusura il film risente di una frettolosità che purtroppo è costante in molte delle nostre commedie degli ultimi anni, un difetto che finisce spesso per rendere quasi vano l’impianto costruito in precedenza. E così anche Attanasio non riesce a evitare l’approssimazione in alcuni snodi che avrebbero richiesto maggiore attenzione.

Rimane comunque un’opera gradevole per la sua spontaneità, per i toni brillanti e per quegli elementi stimolanti che s’intravedono.

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

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