La Russia alcolica: Mosca-Petuškì di Erofeev

Il resto di Kubanskaja si librava ancora vicino alla gola e perciò quando mi han detto dal cielo:
Perché hai bevuto tutto, Venja? È troppo…
Io mi son quasi strozzato e ho potuto appena rispondergli:
– In tutto il mondo… in tutto il mondo, da Mosca a Petuškì, non c’è niente che sia troppo, per me… E perché mai dovreste aver paura per me, angeli?
[Mosca-Petuškì. Poema Ferroviario, Venedikt Erofeev, Quodlibet, p.70]

Un autore e il suo viaggio

Prendiamo il titolo di questo paragrafo. Un autore, il viaggio in un’opera letteraria. Avete presente tutto ciò che quest’accoppiamento vi suscita? Perfetto. Mettetelo da parte e dimenticatevelo lì. Mosca-Petuškì è tutta un’altra cosa.

Venedikt, l’autore – chiamato con l’abbreviativo Venja – racconta in prima persona il più fantasmagorico dei viaggi. Una traversata in treno da Mosca a Petuškì, una città periferica distante circa 150 chilometri dalla capitale. Un viaggio che dura appena un paio d’ore, passate comodamente – per quanto si possa star comodi – sul sedile di un vagone.

La differenza – ciò, insomma, che rende fantasmagorico un viaggio tutto sommato ordinario – è che i viaggiatori sono perennemente ubriachi e continuano a bere per tutta la durata del percorso.

Vedete, allora, che non è proprio quel che si dice un “viaggio classico”? Perché il viaggio che intraprende il nostro protagonista per raggiungere “la donna che ama”, è in realtà un viaggio carico di incomprensioni, di introspezione, di trasposizione sul mondo esterno di ciò che Erofeev stesso aveva dentro.

Tipicamente russi

Il viaggio nella testa dell’autore-personaggio è allora una speciale possibilità di essere ubriachi da sobri. Qualcosa di diverso da avere la sfortuna di essere il guidatore designato e vedere tutti intorno che bevono e si comportano da imbecilli. Qui siamo sobri ma guardiamo dentro la testa di un ubriaco. E la prospettiva cambia molto.

Ma Erofeev non è solo il cantore degli ubriachi. In questo libro letto soprattutto di contrabbando, Erofeev descrive una società tipicamente russa, un modo di vivere tipicamente russo. E così i viaggiatori si siedono insieme nel vagone e condividono l’alcool in loro possesso. E i loro ragionamenti non sono altro che teorie sul vivere come russi e sul fatto che il vero russo è proprio colui che si “inciclona”, ovvero che si ubriaca.

Cultura alcolica

La letteratura russa è sempre ricca di citazionismi. I discorsi dei personaggi richiamano azioni di altri personaggi o di autori come esempi. La letteratura russa è riflessiva, in questo senso.

In un romanzo come Mosca-Petuškì, il raffronto fra la cultura e l’ubriachezza diventa ancora più forte. È evidente che l’alcolismo proprio di quel popolo non significa rudezza e ignoranza. Sono due mondi che s’intrecciano. E la cultura russa è così legata al loro vivere quotidiano che anche da ubriachi si discute di Puškin.

In Erofeev, però, c’è spazio anche per la cultura straniera. Un’intera sequenza del romanzo è dedicato a una riproposizione delle Mille e una notte, dove Venja veste i panni di Shaerazade.

Mosca-Petuškì è insomma uno sguardo attento a un modo di vivere – messo in confronto, nel parlottare ubriaco, con quello degli italiani, dei francesi, dei tedeschi –, una caricatura attenta, divertente e sintomatica di un tipo di Russia e di essere russi che solo un viaggio alcolico poteva mostrare in tutta la sua vividezza.

Maurizio Vicedomini

Maurizio Vicedomini è capoeditor per la Marotta&Cafiero editori. Ha acquistato diritti di pubblicazione in tutto il mondo ed è pioniere nello sviluppo di nuove forme di impaginazione libraria in Italia. Ha fondato la rivista culturale Grado Zero, sulle cui pagine sono apparsi racconti di grandi autori italiani e internazionali. È autore di libri di narrativa e critica letteraria. Collabora con la Scugnizzeria, la prima libreria di Scampia.

2 Responses

  1. Ho questo libro in una vecchia edizione Feltrinelli con copertina azzurrina e devo dire che non mi ha molto entusiasmato. Sono ben consapevole però che mi mancano alcuni fondamentali per capirlo al meglio, come una certa conoscenza del mondo sovietico dell’epoca. Secondo me è come per Totò, che all’esterno non ha mai sfondato perché tantissime sfaccettature ad un non italiano sfuggono.

    1. Sicuramente bisogna entrare nell’ottica di quella cultura, altrimenti sembra solo il viaggio stralunato di un cretino. Più che il mondo sovietico dell’epoca, credo sia necessario avere un’idea della cultura russa del novecento, perché ogni libro è una sorta di esperimento di letteratura potenziale e si rimanda ai classici, ma anche a opere più recenti. E quei rimandi non sono mai casuali, ma simboli di ciò che l’autore voleva dire.
      Comunque: leggo letteratura russa, ma non sono certo un grande esperto. Alla fine – al di là di tutti i discorsi – magari il discrimine è dato dal gusto. In fondo c’è anche quello da tenere in considerazione.

Lascia un commento

Torna su