“Sulla mia pelle”: un film dolorosamente necessario

Sulla mia pelle è un film diretto da Alessio Cremonini, selezionato come film d’apertura della sezione “Orizzonti” alla 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e distribuito nelle sale italiane e sul web attraverso il servizio di streaming Netflix a partire dallo scorso 12 settembre. Ma Sulla mia pelle è più di un semplice film: è un resoconto crudo e dettagliato dell’ultima straziante settimana di vita di Stefano Cucchi, che ha condotto al triste epilogo del 22 ottobre 2009, decretando il 148esimo caso di decesso in carcere dell’anno.

Il “caso Cucchi

Ed è proprio da quel mattino del 22 ottobre che Cremonini decide di aprire la sua pellicola, da quella porta della stanza dell’ospedale Sandro Pertini che si spalanca di fronte al corpo emaciato e ormai esanime di Stefano, con la camera da presa che indugia e rimane inchiodata sulla soglia, quasi a voler calibrare il giusto grado di lontananza da quella tragedia appena consumata. Da lì in poi Sulla mia pelle compie un percorso a ritroso per ricostruire l’intera vicenda, a cominciare dalla sera del 15 ottobre, quando Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri dopo essere stato visto cedere a un uomo delle bustine di cellophane in cambio di denaro.

Sono poi le cronache giudiziarie a parlare: in seguito alla perquisizione e al ritrovamento di varie confezioni di hashish e cocaina, Stefano viene portato in caserma e sottoposto a custodia cautelare. Il giorno seguente, processato per direttissima, si presenta in tribunale in condizioni fisiche visibilmente aggravate, mostrando difficoltà nel camminare e nel parlare ed evidenti ematomi attorno agli occhi e sul volto. In seguito alla decisione del giudice di proseguire la custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli, le condizioni peggiorano giorno dopo giorno, fino alla morte nel letto di ospedale quando ormai il suo corpo aveva raggiunto il peso di 37 chili.

Il cast

Alessandro Borghi, nei panni del giovane 31enne romano, riesce in maniera magistrale a restituire verità al personaggio, facendo del proprio corpo scarnificato e martoriato lo strumento espressivo attraverso cui veicolare le sofferenze fisiche ma soprattutto emotive subite. Il dimagrimento forzato, che lo ha portato a perdere quasi venti chili, il lavoro incredibile sulla voce che a poco a poco si deforma fino a spegnersi quasi del tutto e quello sulla postura, che richiama la fragilità di un corpo che sembra potersi spezzare da un momento all’altro, hanno fatto sì che Borghi abbia cucito letteralmente Cucchi sulla sua pelle. E di rimando noi spettatori assorbiamo quello stesso dolore sulla nostra di pelle, ne percepiamo l’umiliazione dell’isolamento e la frustrante rassegnazione di fronte all’approssimarsi di una morte disumana e degradante.

Nel cast, oltre a Max Tortora e Milvia Marigliano (rispettivamente padre e madre di Stefano), c’è anche Jasmine Trinca che veste i panni di Ilaria Cucchi, la sorella da subito in prima linea all’indomani della morte del fratello per la ricerca della verità e della giustizia, che con la sua determinazione ha reso possibile la riapertura di un fascicolo d’indagine sul caso.

Una visione imparziale

Il film di Cremonini non cede alla tentazione di ricorrere a ricattatori patetismi, non svelando mai i tormenti del passato oscuro di tossicodipendente di Stefano, né tantomeno presta il fianco a tentativi di strumentalizzare idee che inneggino all’odio indiscriminato contro le forze dell’ordine, come dimostra la scelta di non inscenare le probabili violenze subite dal giovane la notte prima del processo.

Dopotutto ancora oggi la verità non è stata decretata e la storia di Cucchi continua a essere una storia di omissioni, di occultamenti, di silenzi colpevoli e negazioni inspiegabili. Com’è possibile che a Stefano sia stato negato l’avvocato di fiducia, sia stato negato il diritto alla salute e all’integrità fisica, il diritto a essere curato nel momento in cui è stato male e il diritto a incontrare i propri genitori? Ma soprattutto, com’è possibile che a Stefano sia stato negato proprio dallo Stato il diritto più importante e inalienabile, quello alla vita?

Per questo Sulla mia pelle ha il pregio di essere un film che non costringe nessuno a prendere posizioni, ma che pone lo spettatore di fronte a una serie di interrogativi, uno in particolare in grado di mettere seriamente in discussione la credibilità stessa della nostra democrazia: ma i cittadini sono davvero tutti uguali di fronte alla legge?

Valerio Ferrara

Valerio Ferrara nasce a Napoli nel 1990. Dopo aver conseguito il diploma classico, frequenta la facoltà di Economia, maturando in seguito la decisione di abbandonare questo percorso e intraprendere gli studi umanistici presso il dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli studi di Napoli Federico II, dove consegue la laurea in Sociologia, presentando una tesi in Sociologia dei processi culturali e comunicativi. La sua più grande passione è il cinema, con una spiccata predilezione per quello d’autore. Amante della musica sin dall’infanzia, è stato membro dei Black on Maroon, una band alternative rock partenopea. Dal 2016 è redattore della rivista Grado Zero.

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