Come lasciare l’estate senza rimpianto: “Notti bianche” di Aciman e altri romanzi invernali

Come cantava un duo popolare negli anni ’80, l’estate sta finendo – anzi forse è già bella che finita – e l’inverno sta arrivando. Permettendoci di fare il verso anche al poeta Vate, diciamo pure che essendo settembre – ahimè – è tempo di tornare. L’autunno è ormai giunto e l’estate ha ceduto il posto alla stagione della nebbia, delle foglie marce e dei primi freddi. Ma è proprio su quell’inciso lacrimoso e poco originale – il noto lamento collettivo dell’ahimè – che vorrei soffermarmi. Fare il classico passo indietro, pensarci un po’ su e tentare di trovare un antidoto all’ennesima comparsa del momento dello sconforto settembrino.

Quel momento, cioè, che ci assale inevitabilmente al nostro rientro in città e nelle nostre vite, nell’istante esatto in cui ci accorgiamo che un altro anno è trascorso, un’altra estate si è consumata (forse troppo) rapidamente sotto ai nostri occhi, e un altro grigio e faticoso autunno si sta preparando ad accoglierci tra i suoi rami insidiosi e spogli e le sue lunghe notti piovigginose. Come fare? Come riuscire a invertire la rotta e a riempirci di buoni propositi, nuove avventure e desideri ancora da realizzare? In poche parole, come possiamo affacciarci alla finestra di un lungo, impegnativo, buio, faticoso, nuovo anno lavorativo, così freddo e umido fino a morderci le ossa?

Un modo potrebbe essere quello di leggere “Notti bianche” di André Aciman.

Notti bianche

La storia è delle più semplici. Un uomo e una donna s’incontrano a New York durante le festività natalizie. S’innamorano, o forse non s’innamorano, si parlano, si desiderano, si detestano, si lasciano, e poi – chi lo sa? – forse tornano insieme. Ma ovviamente niente è come appare, o almeno nessuna cosa interessante dovrebbe cadere in quella trappola, e quindi ecco snodarsi dietro a una fabula lineare, quasi banale potremmo avventurarci a dire, ecco mostrarsi, dicevo, un intreccio sfavillante e imprevedibile, prezioso, colmo di rimandi e di sfumature. Il tutto confezionato in una lingua elegante e avvincente, senza sbavature.

E poi c’è la cornice, il centro del nostro bersaglio: un inverno raccontato meravigliosamente. Leggendo Aciman, chi non vorrebbe trovarsi su quella terrazza spolverata di ghiaccio e di neve, sulla quale i due protagonisti si conoscono timidamente, brindando al nuovo anno imminente, persi nell’immensità della notte newyorchese che si distende candida e ovattata davanti ai loro occhi? Chi non desidererebbe passeggiare silenzioso per i parchi deserti, lasciando le proprie orme nella coltre di neve appena caduta dal cielo? E poi, sorseggiare vini liquorosi e caldi, ascoltando qualche disco speciale, ritrovandosi accanto al camino insieme agli amici?

Aspettative non solo letterarie

Ma soprattutto: chi non vorrebbe consolidare nuove abitudini da abitare durante l’anno che si appresta a venire, come trovare parole buffe per indicare gesti, consuetudini e vezzi delle altre persone, oppure scovare un nuovo ristorante, locale, cinema d’essai, nel quale potersi ritrovare quasi ogni sera come a casa propria? Aciman ci racconta tutto questo (e non solo).

Certo, la sua prosa a tratti può apparire troppo “letteraria”, forse persino leziosa: si perde dietro a una sorta di ripetizione delle situazioni di dubbio e di incertezze che assalgono di volta in volta i due protagonisti; ma pensiamoci bene: quanto è affascinante creare un mondo nuovo tra due persone? Un lessico tutto speciale e indecifrabile, un percorso nuovo dentro i quartieri della città, un modo di trascorrere insieme il tempo vuoto, di scherzare acutamente su se stessi e sugli altri ma anche di riflettere seriamente intorno alle proprie debolezze e ai propri sogni, di avventurarsi mano nella mano per le strade di New York come in quelle della propria esistenza in modo che ce ne siano sempre di nuove da scoprire e da calpestare?

L’odore della neve

New York d’inverno non ci è mai apparsa così bella. Innamorarsi non è mai stato così bello, delicato, avventuroso, complicato, affascinante. E così, grazie alla lettura di “Notti bianche”, l’avvento di una nuova stagione fredda, buia e piovosa, da vivere rigorosamente in città, non ci sarà mai sembrato così allettante, vibrante, carico di aspettative.

Certo, lo sappiamo, il classico natalizio per antonomasia dovrebbe essere “Il canto di Natale” di Charles Dickens. Ma potrebbe tenergli testa anche “Ricordo di Natale” di Truman Capote, con tutte quelle atmosfere che sanno di bosco, addobbi per abeti, noci e fiocchi di regali. O il bellissimo “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. O “Un delitto” di Georges Bernanos, ambientato in un piccolo borgo immerso nelle Alpi e battuto da un vento implacabile, dove per riscaldarsi un giovane prete non può far altro che stringere tra le mani intirizzite una tazza bollente. Oppure, chi lo sa, qualche romanzo che ci racconta la morsa del gelo durante un inverno russo – “La figlia del capitano” di Aleksandr Puskin, per esempio – o qualcos’altro ancora.

Dal Settecento in poi, infatti, il mondo si è concesso il lusso di poter osservare l’inverno da dietro un vetro, nel dolce tepore di una stanza ben riscaldata e scricchiolante, illuminata da luci soffuse e sognanti. Per questo non dobbiamo dimenticarci che l’inverno deve smettere di essere soltanto una stagione ostile, buia, fredda e faticosa, ma deve diventare altro e molto di più.

Immaginiamoci, per esempio, il piacere che proveremo nel ritrovarci sprofondati nella nostra poltrona preferita, davanti a una bella tazza fumante, accanto alla solita abat-jour discreta e accogliente, tenendo tra le mani un libro. Oppure immaginiamoci la gioia di radunarci insieme intorno a un camino mentre fuori nevica, con grandi bicchieri panciuti in cui versare brandy e mille storie da raccontarci l’un l’altro.

L’inverno e il fiabesco

Perché in ognuno di noi c’è sempre stato un “io” più antico che a volerlo ascoltare ci riempie di nostalgia. Un “io” che ci richiama all’interno della caverna, al tempo del freddo e del gelo, della casa vissuta come nascondiglio e nido. All’epoca degli affetti familiari, delle bocche aperte per lo stupore del buio che avvolge e nasconde le lunghe notti innevate.

Se poi tutto questo lasci il posto ogni estate al richiamo della rinascita, della luce, delle sere infinite che non trascorrono mai, della spuma del mare, dei nuovi amori – del “fuori” e del “nuovo”, insomma – non deve preoccuparci più che tanto, almeno a settembre. Avremo tempo per pensarci poi, col nuovo anno. Tutto questo puntualmente si ripresenterà alla nostra porta a maggio o al più tardi a giugno. Il richiamo dell’estate, intendo. E non potremo farci niente.

Ogni stagione ha ispirato scrittori e poeti in modi diversi. Ma l’inverno ha sempre sortito un effetto del tutto particolare: il silenzio ovattato della neve che si posa sulle fronde degli alberi, il crepitio delle pigne nel fuoco, i vetri appannati, il ticchettio della pioggia sui coppi del tetto, lo scricchiolio del cuoio e degli angoli bui della casa: ogni lettore non può non ammettere di amare queste atmosfere, basta fare mente locale e ricordarsele per tempo.

La verità non è altro che l’amore che proviamo per l’inverno – anche se a settembre spesso non vogliamo ammetterlo – è per quella sorta di fiabesco dormiveglia che il buio e il freddo ci permettono di raggiungere ben nascosti sotto le coperte, semplicemente socchiudendo gli occhi.

Grandi speranze

“Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno” scrive Dino Buzzati, “e, stretti assieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo”.

Che l’anno nuovo – mai così pieno di incontri, avvenimenti e sogni – abbia finalmente inizio.

Anna Pietroboni

Milanese, laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Neurologia, lavora in un grande ospedale pubblico. Appassionata di musica e tennis, impegna il poco tempo libero a leggere e scrivere. Di recente ha pubblicato tre romanzi, All'ombra dei giorni (O.G.E., 2014), Le immagini ibride (A&B, 2017) e Il dolce domani (A&B, 2019). Nel 2018 ha vinto il premio internazionale “Letteratura” con il racconto inedito Un segreto.

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