L’amore? Ha i tempi del dating show

Se la ricerca del vero amore, l’anima gemella, l’altra metà della mela, la propria felicità – insomma, quelle cose un po’ melense che fanno sempre storcere il naso ai maschietti – fanno parte della vita di noi giovani fanciulle sin dalla più tenera età (a chi non è stata raccontata la favola della Principessa, La bella addormentata, Biancaneve, La Bella e la Bestia?) e ci accompagnano durante la nostra crescita poi attraverso romanzi, racconti, storie, poesie, drammi,  ecco, allora perché non adattare anche l’amore ai “ tempi che corrono”?

Ma cosa è diventato l’amore in televisione?

La ricerca dell’anima gemella e del vero amore è un argomento carissimo anche al piccolo schermo, e non sto parlando di film, serie tv, soap opera o le amatissime telenovelas argentine, ma di programmi costruiti sull’intenzione di fare in modo che due perfetti sconosciuti si possano conoscere e magari innamorare. E ce ne sono tanti di programmi così: i dating show (perché così si chiamano i format televisivi che favoriscono gli incontri tra sconosciuti).

Nell’epoca dei social network, delle app e degli incontri digitali è possibile che anche cupido scocchi le sue frecce tramite la tv, ma in realtà questi programmi che sembrano tanto spopolare negli ultimi anni hanno origini “antiche”. Alla faccia di tutti quelli che “tanto in televisione è tutto finto”: i dating show rappresentano dagli anni ’80 a oggi uno dei filoni di maggior successo per la televisione commerciale, che ha saputo sfruttare il proverbiale sentimentalismo degli italiani e il famigerato sex appeal del maschio italiano, grande corteggiatore.

Come nascono questi dating show?

Una delle storiche presentatrici di un programma televisivo per creare nuove coppie è stata Marta Flavi con il suo Agenzia matrimoniale (1989-1996), dove i cuori solitari si conoscevano e combinavano incontri, oppure si ascoltavano le esperienze di coppie con problemi che l’esperta Marta Flavi cercava di aiutare con i suoi consigli.

Nascono così in seguito trasmissioni come Mama o non m’ama (1983-85) , un programma dal tono molto più provocatorio, presentato dalla coppia Predolin-Ciuffini per le prime edizioni. Mama o non m’ama è stato a tutti gli effetti il primo dating game trasmesso dalla tv italiana: in ogni puntata, due “cacciatori” si contendevano quattro “prede” rispondendo ad una serie di domande, e nel round finale i vincitori potevano aggiudicarsi un premio rispondendo a domande di cultura generale presentate sui petali dell’enorme margherita ricostruita in studio.

La struttura di questi programmi si è poi sviluppata e ha dato vita a Il gioco delle coppie (1985), dove anche qui un “cacciatore” (di entrambi i sessi) sceglieva un partner fra tre persone, in base alle risposte che queste davano alle sue domande. La prescelta (o eventualmente il prescelto) veniva mostrato al cacciatore soltanto dopo la scelta definitiva, quando veniva aperto il muro che li separava. Alla coppia formatasi veniva regalato un viaggio premio.

Negli anni ’90 poi si affermarono alcuni dei dating show più noti della storia della televisione come Colpo di fulmine (1995-1999) con Alessia Marcuzzi, Michelle Hunziker, Walter Nudo e Rebecca Ream. Una delle peculiarità della trasmissione era la sua natura itinerante: una volta selezionato, il “cacciatore” girava per la città con il conduttore, fino al momento in cui non individuava un possibile partner, che veniva approcciato dal solo conduttore. Se il prescelto accettava di stare al gioco, partecipava a un appuntamento “al buio” con il “cacciatore” o la “cacciatrice”. Spettava al soggetto scelto dal “cacciatore” stabilire se era scattato il “colpo di fulmine” o meno. In base a questo fattore si sarebbe quindi scelto di partire insieme per una vacanza messa in premio dalla produzione.

E come non ricordare in questo elenco l’inossidabile Uomini e donne, ideato e condotto da Maria De Filippi, che debuttò su Canale 5 nel 1996 e che sembra destinato a non arrivare mai al capolinea.

E oggi?

Il dating show è un format di successo e non sembra proprio disposto a scomparire dai nostri schermi. Oggi si è sviluppato in versioni irriverenti e provocatorie come Undressed, dove due protagonisti, single e di qualunque inclinazione sessuale, entrano in una stanza buia con un letto illuminato di fronte un grande schermo. I due hanno 30 minuti per spogliarsi a vicenda, mettersi sul letto per parlare e conoscersi, ed eseguire quanto richiesto sullo schermo. Alla fine di ogni puntata i due dovranno scegliere se approfondire la loro conoscenza oppure lasciarsi.

Gli autori hanno pensato a rendere ancora più piccanti le stagioni seguenti aggiungendo una scatola “sorpresa!” (costituita o da una maglia con doppio collo per rappresentare l’unione dei corpi, o da una serie di costumi da bagno o intimo come perizomi o tanga leopardati con i quali alla fine bisogna farsi fare una massaggio), la sfida del cono gelato da mangiare insieme in un minuto oppure l’ingresso di una terza persona.

Undressed, con la sua irriverenza, si rivela essere un pruriginoso gioco di allusioni e illusioni contornate da dialoghi vuoti che in linea di massima rappresentano la triste metafora dell’ approccio giovanile. Nella raccolta di cult trash del piccolo schermo Undressed è in buona compagnia di Take Me Out in onda su Real Time: un uomo – ma dalle nuove stagioni anche una donna – cerca di fare colpo su un panel di 30 pretendenti attraverso una serie di prove a eliminazione progressiva; se alla fine della puntata riuscirà a convincere almeno una di loro, potranno uscire insieme. Una struttura, quella di Take me Out, che sembra più rievocare la scelta al bancone dei salumi che un vero interesse nei confronti di una persona.

Primo appuntamento e lo show inconsapevole

Non possiamo dimenticarci a questo punto di Primo Appuntamento, trasmesso da Real Time e ormai giunto alla seconda stagione. A metà strada tra l’osservazione antropologica, dating show e docureality, Primo appuntamento è un riuscito tentativo di narrativizzare la realtà: in un ristorante romano circondato da telecamere invisibili cinque coppie si trovano per approfondire la conoscenza e vedere se dal primo appuntamento può nascere qualche cosa di più.

Il ristoratore Valerio Capriotti e il barman si comportano da perfetti intermediari d’amore nella speranza che la cena dia i suoi frutti, mentre dalla seconda stagione interviene anche Gabriele Corsi.

Ma cosa rende diverso Primo appuntamento (versione italiana dell’inglese First Dates, prodotto da Stand by me) da altri dating show? Nell’apparenza niente perché anche qui ci s’incontra, ci si studia, si chiacchiera e alla fine si decide cosa fare. Di diverso, c’è la soluzione tecnologica: gli invitati al primo appuntamento entrano nel ristorante e non si accorgono di essere filmati; lo show, infatti, è un fixed-rig con telecamere nascoste, per cui nessuno della troupe produttiva ha modo di intervenire o interagire con quello che accade in sala. La struttura narrativa, che tanto piace a Real Time, nasce poi in sede di montaggio.

Il confine sottile tra il vero amore e lo spettacolo

Per quanto Primo appuntamento – come molti altri di questi dating show citati in precedenza –  voglia presentarsi come opportunità sincera, concreta e “naturale” per i single di trovare l’anima gemella che altrimenti non avrebbero incontrato, è molto difficile crederci. Le situazioni sono tutt’altro che naturali: gli accoppiamenti non sono casuali (come magari in passato in altre trasmissioni simili poteva accadere) ma sono studiati, determinati dall’età e da altre caratteristiche, con l’intento di trovare l’uomo o la donna ideale (precedentemente descritta) per il single in questione. A volte, però, il gioco degli autori pare quasi sadico, tanto da scegliere una controparte evidentemente non corrispondente.

Insomma in questi giochi dove un po’ ognuno recita la sua parte, dove si prende tutto così alla leggera, credo che per le vere ultime romantiche sia ancora molto difficile accettare idee così vaghe e superficiali sull’amore, che ancora non fanno altro che banalizzarlo, ma che ben rappresentano probabilmente l’atteggiamento di alcune generazioni.

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

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