Festival di Sanremo 2017: l’anno della rottamazione?

Un altro Sanremo è andato. Come si dice, morto un papa se ne fa un altro. Forse non oggi, forse non domani, ma molto presto si inizierà a pensare già a quello successivo. Si vocifera che il comune ligure potrebbe non rinnovare il contratto esclusivo con la Rai e decidere di trasferire il Festival a Sky, ma è un’ipotesi talmente remota che non vale la pena discuterne. Più interessante, invece, il totonomi per la conduzione della prossima edizione, dal momento che Carlo Conti ha dichiarato che non siederà al comando anche l’anno prossimo. E allora, Amadeus? Il ritorno di Fazio, o di Bonolis? Oppure una conduzione al femminile, magari proprio con Maria De Filippi? Chi può dirlo. L’unica domanda a cui possiamo provare a rispondere adesso è che cosa resterà di questo Sanremo. Ancora meglio, che cosa ci ha portato la 67esima edizione del Festival della canzone italiana al di là della musica.

Questo è stato senza ombra di dubbio un Sanremo classico, com’è del resto un presentatore classico Carlo Conti. Tradizionale, dunque, che non è una brutta parola, ma significa soltanto che ha innovato poco e niente, almeno rispetto agli ultimi anni, una cornice televisiva che funziona così già da un po’. Anche un Sanremo tranquillo, se vogliamo. Nella serata finale, Geppi Cucciari ha ironizzato proprio sull’assenza di scandali e polveroni. D’altronde, quelli fomentano sempre la curiosità popolare e issano lo share che, peraltro, si è mantenuto in linea con le edizioni precedenti, con un picco del 58,40% nell’ultima puntata. Un’edizione dunque leggermente sottotono e curiosamente tranquilla, ma anche questo non è detto che sia un male. Eccezion fatta per la polemica, subito messa a tacere, sulla presenza di Diletta Leotta sul palco dell’Ariston nella prima serata e sul suo abito molto, molto succinto, non abbiamo assistito a diverbi degni di questo nome sui social network o nei salotti televisivi.

Se vogliamo parlare di polemiche, però, una ce n’è, che non è infuriata sul palco del teatro in diretta televisiva né dietro le quinte della competizione. È una querelle più sotterranea, silenziosa, che è iniziata ancora prima che dessero il via al Festival, e anzi ci accompagna già da qualche anno. A seguito del secondo giro di eliminazioni tra i big in gara – eliminazioni che hanno coinvolto Ron, Giusy Ferreri, Al Bano e Gigi D’Alessio – nello spazio del DopoFestival i giornalisti hanno cominciato a parlare di rottamazione, di cambiamenti epocali. Via il vecchio, avanti il nuovo. Un segnale forte da parte del pubblico. Non è vero. O almeno non del tutto. Questi fenomeni si comprendono sempre e soltanto alla luce di un riflessione sul Festival e al di là del Festival.

Sanremo è uno specchio, anche se certamente parziale, di quel che accade contemporaneamente nella musica, nella televisione e nel modo che abbiamo di percepire entrambe. Se Sanremo cambia, è perché anche la musica cambia, continuamente. E in tutto questo cambiamento, i più giovani si fanno avanti, e i meno giovani vengono scalzati un tanto alla volta. Senza tornare troppo indietro nel tempo, nel 1986 Eros Ramazzotti aveva solo 23 anni quando vinse contro i veterani Renzo Arbore, Fred Bongusto e Sergio Endrigo. Nel 1995, Giorgia ne aveva 24 quando s’impose su Gianni Morandi, Toto Cutugno e Patty Pravo. In questo rinnovamento perenne, la televisione gioca la sua parte, con i talent show destinati ad un pubblico giovanile e concepiti come serbatoio di nuove leve musicali. Internet, con tutte le piattaforme per ascoltare e/o acquistare musica in qualunque momento, ha fatto il resto. Televoto, YouTube, iTunes, son tutti strumenti nelle mani dei più giovani. E, che sia giusto o meno, è sempre quella fetta lì a decidere le sorti del mercato discografico. Perché i più giovani votano di più, certo, ma anche perché sono soprattutto loro a comprare dischi e a scaricare le canzoni. Non è certo una novità di Sanremo 2017, e men che mai è appannaggio tutto italiano. Anche dall’altro lato, quello dei cantanti, non sono mica gli over -anta a determinare le nuove tendenze. Andate a vedere quanti anni avevano i Beatles quando cominciarono a incasellare i loro brani nelle classifiche di tutto il mondo. Non ci volevano Al Bano e Ron per dire che la musica sta cambiando.

Chi continua, pertanto, a volere a tutti i costi fuori dal Festival i neoarrivati, specie se provenienti dal macrocosmo dei talent, dimostra scarsa comprensione delle dinamiche che governano l’universo musicale, che possono essere sì legate, in questo momento, ad un fenomeno televisivo, ma che procedevano in questo senso ancora prima che nascessero Amici o X-Factor. A che serve arroccarsi nel proprio castello nel tentativo disperato di tenere il mondo fuori, se poi il mondo continua a girare? O, in altre parole, a chi gioverebbe fare un Festival che non rispecchi l’andamento del mercato e respinga i cantanti che potrebbero, in potenza, vendere di più? Tra i vincitori di Sanremo degli ultimi dieci anni, ben sei hanno fatto il loro esordio in un programma televisivo: qualcosa dovrà pur dire. E anche in questo caso, non è nulla che non si sia sempre visto. Ricordate che Michele Zarrillo, Laura Pausini, Mietta, Andrea Bocelli, Mango, Marco Masini, gli stessi Ramazzotti e Giorgia nascono, artisticamente parlando, in un programma televisivo, sebbene di natura diversa, ma pur sempre basato sulle formule della gara e del voto da casa, e quel programma è proprio Sanremo.

Da questo punto di vista, Sanremo è una vetrina molto democratica. Non che sia sempre la canzone migliore a vincere, sia chiaro, ma perché consente ai meno famosi di arrivare sul podio tanto quanto è concesso ai grandi nomi dalla fama indiscussa. Le eliminazioni della quarta serata si spiegano anche così. La parola rottamazione si giustificherebbe se in quella rosa non comparisse il nome di Giusy Ferreri, uno dei più grandi successi discografici degli ultimi anni. E se, nella serata precedente, le votazioni non avessero squalificato due giovanissimi quali sono Raige e Nesli, per non parlare di Alice Paba, una che un talent l’ha pure vinto. La verità, magari, è più semplice di quanto non sembri, e anche molto più amara da digerire: non è che Gigi D’Alessio, Al Bano e Ron sono stati eliminati perché le rispettive canzoni non sono piaciute?

Il cambiamento inarrestabile di cui si parlava sopra, semmai, può servire a spiegare perché il primo posto sia stato consegnato a Francesco Gabbani, che ha portato un motivetto – accompagnato dalla giusta dose di ilarità e da una scimmia ballerina – che può piacere più ai ventenni che alle nostre nonne. Non spiega però le eliminazioni, né tantomeno perché alla vigilia del Festival dessero tutti per favorita Fiorella Mannoia, che ha quasi 63 anni e si è piazzata seconda. Gli esperti del mestiere hanno forse dimenticato che soltanto un anno fa la vittoria è andata agli Stadio, e nel 2011 a Roberto Vecchioni. Anziché parlare di rottamazione, avrebbero dovuto dire che il nuovo avanza, ma il vecchio tiene ancora bene.

Andrea Vitale

Andrea Vitale

Andrea Vitale nasce a Napoli nel 1990. Frequenta il liceo classico A. Genovesi, e nel 2016 si laurea in Filologia moderna alla Federico II. Ama la musica e la nobile arte dei telefilm, ma il cinema è la sua vera passione. Qualunque cosa verrà in futuro, spera ci sia un film di mezzo. Magari, in giro per il mondo. Attualmente frequenta un Master in Cinema e Televisione.

Condividi
Pubblicato da
Andrea Vitale

Articoli recenti

Di chi è il senso? Su Demolition Job di Alfredo Zucchi

Con Demolition Job (Edicola Ediciones, 2023), Alfredo Zucchi costruisce un’impalcatura di cinque racconti destinata ad…

9 Maggio 2024

Carlo va in missione – Jacopo Zonca

Fase 1: preparazione Carlo è in camera sua, inginocchiato vicino al cesto dei giocattoli. Le…

5 Maggio 2024

“Mattino e sera” di Jon Fosse, il travolgente impeto di un’onda piatta

Jon Fosse ha vinto il Nobel per la Letteratura 2023 “per le opere teatrali e…

2 Maggio 2024

Racconto: L’avvento – Leonardo D’Isanto

La terza domenica di Avvento dell'anno 2022 alle ore 10.40, una donna camminava sorretta dal…

21 Aprile 2024

Flannery O’Connor e Tiffany McDaniel: autrici incendiarie

Ci sono un profeta di Dio e il diavolo in persona. C’è il fuoco e…

18 Aprile 2024

What Did I Do to Be so Black and Blue? American Fiction e il politically correct

Dopo il successo della sua autobiografia Up from Slavery, lo scrittore e oratore Booker T.…

14 Aprile 2024