I Pokemon, una luce nuova sulla realtà aumentata

Uno screenshot di Pokemon Go
Uno screenshot di Pokemon Go

Il mondo, a chi non ha mai guardato cartoni animati negli anni novanta, sarà sembrato in preda a una psicosi collettiva. Orde di persone, adolescenti e adulte, si son ritrovate ammassate in parchi pubblici nel tentativo di catturare l’ultimo Pokemon comparso. Divieti di utilizzare quest’applicazione, Pokemon Go, sono stati diramati da famosi allenatori ai propri calciatori; addirittura sembrerebbe che l’esercito israeliano l’abbia vietata ai soldati. Ma procediamo con ordine: tante applicazioni esistenti da tempo fanno uso di una tecnologia nota come Realtà Aumentata. Tramite i dati ricavati dai sensori di un dispositivo, la realtà aumentata riesce a fornire a chi ne usufruisce una percezione modificata dell’ambiente circostante. La differenza fra la realtà aumentata e quella virtuale è quindi abbastanza radicale: mentre la prima aggiunge informazioni al mondo reale, la seconda ne utilizza uno computerizzato. In Pokemon Go, ad esempio, è possibile visualizzare sullo schermo del cellulare un Pokemon che saltella felicemente nella porzione di mondo ripresa dalla fotocamera, come se fosse davvero parte di esso.  In Russia, come risposta a Pokemon Go, è stata sviluppata una app chiamata “Discover Moscow” che consente all’utente di scattarsi una foto insieme ai personaggi più importanti della storia russa trovati in giro per la città. Sotto forma di statue, si intende. Tali applicazioni sono solo piccoli esempi della suddetta tecnologia, di cui, in realtà, è stato fatto uso negli ambiti più svariati, da quello militare alla bellezza, dove guardandosi con la fotocamera interna si può provare il trucco senza neanche sporcarsi; dalla cultura, come “guida” nei musei, alle traduzioni dei segnali trovati in viaggio negli altri paesi. Per ritornare sul tema cartoni animati, se avete mai visto una puntata di Dragonball, allora saprete che i personaggi erano dotati di un paio di occhiali dove venivano visualizzate delle informazioni sul nemico. L’idea di base degli occhiali è stata sfruttata sia militarmente, dotando i soldati con degli occhiali dove viene proiettata una buona mole di informazioni riguardante l’azione in corso, che in un maniera molto più pacifica, tramite i “Google Glass”, prodotti appunto da Google. Tali occhiali, seppure non abbiano riscosso un gran successo nelle vendite(alcuni giornali, come Corriere.it, lo definiscono un flop) sono stati indubbiamente un pezzo di avanguardia tecnologica. Dotati di auricolare, proiettore su display e fotocamera, consentivano, tramite comando vocale (un poco discreto “ok glass”), di scattare foto, fare riprese, videoconferenze, cercare informazioni su Google, cercare indicazioni stradali e tanto altro. Il suo costo di 1500 dollari, insieme ad alcune sue particolarità giudicate lesive della privacy, sono forse stati la croce di questo prodotto. Recentemente, una delle uscite della rivista Focus è stata realizzata in realtà aumentata: dotando lo smartphone di una app creata ad hoc e puntandolo verso la rivista era possibile, ad esempio, osservare scritte in 3D e farsi un giro nella stazione spaziale internazionale.

Google Glass
I Google Glass

I vantaggi di questa tecnologia sono sicuramente innumerevoli, così come il fascino che essa esercita negli spiriti positivisti del terzo millennio. Non sono però poche le problematiche, sia tecniche che sociali, da affrontare. Dal punto di vista tecnico, ad esempio, avere un dispositivo con tutti i suoi sensori attivati può portare a un drastico consumo della batteria. Dal punto di vista sociale, oltre a una gran fonte di distrazione ed alienazione dal mondo, potrebbe essere causa di pericolosi incidenti; inoltre, un’applicazione che utilizza la posizione dell’utente potrebbe fornire a malintenzionati la possibilità di sapere con esattezza dove si trova la “vittima”. Questa ultima considerazione è appunto balzata alle menti dei militari israeliani, che hanno deciso di vietare ai propri soldati la caccia dei Pokemon al fine di evitare spionaggi. I Google Glass, invece, son stati vietati in diversi ristoranti americani perché consentivano di effettuare riprese di nascosto, cosa effettivamente lesiva della privacy degli avventori. Ma forse, in un mondo dove viene tutto fotografato e condiviso, sarebbe ora di ridiscutere anche il concetto di privacy.

Fabio Romano

Nato a Teano nel 1990 nel pieno della calura estiva (11 agosto), attualmente residente a Cellole. Sin da piccolo appassionato di informatica, dopo il conseguimento della maturità scientifica decide di frequentare il Corso di Laurea in Ingegneria Informatica presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Chitarrista nel tempo libero, innamorato della musica in tutti i suoi generi, il suo lettore mp3 riporta una playlist che spazia dai Metallica a Debussy. Attualmente collaboratore di Grado Zero e autore di piccoli scritti autosomministrati.

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