Non pensarci, Danny – Ilaria Padovan

Le drag queen prendono la metro. Non ci pensi. Il cellulare, le dita, i messaggi a cui non vuoi rispondere ma rispondi lo stesso.
guarda non è proprio giornata
Hai inviato.
non ho avuto tempo
Hai inviato.
se ho un ritaglio di tempo di un’ora non è detto che ci sei
Hai inviato.
soprattutto se mi esce all’ultimo minuto
Hai inviato.
ci saranno tempi migliori
Hai inviato.
non è detto che ci sarai tu
Hai inviato.
ma intanto questo periodo va così
Hai inviato.
non so che dirti
Hai inviato.
mi dispiace ma lo so che non ce ne facciamo niente dei dispiaceri e delle scuse
Hai inviato.
esistono tempi giusti e no
Hai inviato.
Hai spento lo schermo del cellulare, non hai spento la musica, hai le cuffiette nelle orecchie. Hai guardato ancora la drag queen che non ti guarda. Qualcuno ti scavava il malleolo con la punta rossa dell’ombrello: non ti ha visto e non ti sei spostato; la prossima è la tua fermata.
Sei sceso. Hai salito a piedi le scale, quelle mobili sono immobili: rotte. Sei allenato, velocizzi il passo, il tallone non tocca terra. Il cellulare ha vibrato, qualcuno ti chiama, lo hai lasciato nella tasca. Piove, ma hai dimenticato l’ombrello, ti si sono bagnati gli occhiali, non vedi niente, hai dei puntini di freddo sulla pelle, il cellulare ha vibrato ancora, non lo senti più da quando le chiamate non interrompono la riproduzione casuale di Spotify.
Qualcuno ti chiama sempre, tu non rispondi mai.
Anche a casa, hai fatto le scale, talloni su, ti senti in forma, lo sei. Tre giri di polso verso destra, ti fanno ancora male i punti, non ci pensi, ti sei tolto le scarpe per non sporcare il parquet, ma l’orlo mai fatto ai jeans striscia e paluda tutto il pavimento, non ci pensi: non è proprio giornata, ma ci saranno tempi migliori.

Sei in bagno. Hai cambiato la medicazione, ti sei disinfettato, le ferite vanno pulite. In questo periodo va così: non ce ne facciamo niente dei dispiaceri e delle scuse. Non ci pensi, non ti sei guardato nello specchio: preferisci l’immagine dei selfie, è più realistica, comunque meglio di come ti vedi tu. Non hai avuto bisogno di annusarti le ascelle: puzzi. Tre pompette di sapone, tre volte braccio destro, tre pompette di sapone, tre volte braccio sinistro. Ti sei lavato anche la faccia per non sprecare la schiuma: gli asciugamani sono da lavare, hanno l’odore delle cose marcite.
Hai indossato una camicia pulita, l’ultima; le altre sono da stirare. Hai abbottonato i polsini, indossato i bracciali in cuoio per coprire la medicazione: non sono domande a cui hai voglia di rispondere. Hai rimesso le scarpe, hai rifatto le scale, sei uscito: hai dimenticato l’ombrello. Piove, ti si bagnano gli occhiali. In questo periodo va così.
Hai preso il cellulare, hai skippato una canzone, hai visto un messaggio lungo, molto lungo. L’hai visualizzato, ma non letto.
comunque, me la aspettavo una tua uscita del genere
Hai inviato.
Hai impostato il navigatore: non ci sono auto in sharing. Non ci pensi. Chiami un taxi: non ti rispondono mai. Non ci pensi. Riprendi la metro, non ci sono drag queen, gli ombrelli degli altri: quelli sì.
Sei andato a fare l’aperitivo, hai sorriso, hai risposto bene quando ti hanno chiesto come va, hai risposto nessuna quando ti hanno chiesto se avevi novità. Hai ascoltato tutti quelli che avevano qualcosa da dire solo per rispondere a eventuali domande. In terrazza non hai mai guardato il panorama, la madonnina, la torre Unicredit; hai bevuto tre negroni, hai pagato con il bancomat, non hai fatto sistemare il contactless; hai dato baci sulle guance, hai detto vediamoci presto, però davvero, la prossima volta, in ascensore ti sei lamentato, insieme agli altri, della pioggia: mandibole esauste di sbadigli trattenuti.
Ti sei fatto chiamare un taxi – a te non rispondono mai. Sul sedile posteriore, hai allacciato la cintura, rimesso le cuffie, acceso la musica, non hai aperto WhatsApp: nelle anteprime c’era anche un messaggio di tua madre. Hai appoggiato la testa al finestrino unto, hai scommesso sulle corse delle gocce come quando avevi cinque anni, non hai guardato fuori, solo le gocce, hai pagato in contanti, hai risalito le scale, rigirato il polso coi punti, trevvolte l’hai dovuto girare, ritolto le scarpe, anche i pantaloni, anche i bracciali, la camicia, gli occhiali. Hai sbadigliato. Hai indossato la maglietta da notte, è sporca, non importa, domani farai la lavatrice, stanotte va così. Non ci pensi.
Hai visto uscire dalla crepa del bagno un pesciolino d’argento.
Hai aperto l’acqua.
È scivolato giù, nello scarico.
Hai tolto il tappo, hai infilato due dita: per riprenderlo; troppo tardi: i punti ti rallentano.
Non hai lavato le mani, hai spento la luce, il cellulare vibrava. Non ci pensi.


Ilaria Padovan nasce a Pavia nel 1990 e lavora in consulenza a Milano. Suoi racconti sono comparsi su «Topsy Kretts», «Crunched», «Risme», «Turchese». Collabora con Treccani e The Vision.

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