I film da riscoprire: Il legame

Per coloro che lamentano l’assenza di una cinematografia horror made in Italy che non sia ferma a Mario Bava e Dario Argento, c’è un film che potrebbero recuperare su Netflix. Si chiama Il legame, è diretto da Domenico de Feudis, è del 2020 ed è tutto italiano.

Un’oasi nel deserto

Quelli che sostengono che in Italia gli horror non soltanto non si producano più, ma non li sappiamo neanche fare, probabilmente potrebbero ricredersi. Forse questo film non vi farà alzare in piedi sui titoli di coda come foste partecipi di una standing ovation, ma dimostra che c’è ancora del buon sangue a scorrere nelle vene delle nuove generazioni di cineasti. Sotto un certo punto di vista, infatti, Il legame è un film interessantissimo.

Va detto che molto lo fa il contesto produttivo italiano. In una landa desolata di film di genere e in un paese che ha dimenticato cosa sia il cinema fantastico, Il legame spicca ancora di più come un’oasi in mezzo al deserto. In caso contrario, però, non passerebbe comunque inosservato. E non perché il protagonista sia Riccardo Scamarcio, che da idolo delle teenager si è riciclato in interprete di cinema d’autore, viaggiatore tra i generi e frequentatore di filmografie straniere. No, il fatto è che Il legame ha una matrice culturale ricchissima e affascinante, assai radicata in Italia e ultimamente di rinnovata vitalità.

L’ispirazione e la trama

Il substrato di cui si alimenta Il legame è quello del folklore magico e delle tradizioni contadine ritualistiche dell’Italia meridionale. È lì che sono diretti Emma e Francesco, coppia di fidanzatini novelli, al secolo Mia Maestro e il già noto Scamarcio. Con loro c’è una bambina, Sofia, figlia di lei e di una precedente relazione di cui niente sappiamo e niente ci importa. Ad attenderli c’è la famiglia di lui, invece, nella sua immensa tenuta di campagna, circondata dagli ulivi che fanno subito sud Italia, anche a chi non li ha mai visti di persona.

È una famiglia apparentemente di sole donne, nella quale gli uomini quasi scompaiono, osservano da lontano, stanno in silenzio. E la casa è maestosa, antica, ma anche isolata e più buia di quanto ci si potrebbe aspettare da un’abitazione di campagna del meridione. Insomma, dell’immagine ridente che del Mezzogiorno ci ha consegnato tanta commedia italiana non c’è proprio nulla. Domenico de Feudis gironzola fin da subito tra gli stilemi del cinema horror commerciale – la grande casa dall’aspetto inquietante, l’isolamento dal resto del mondo – e ci butta dentro un po’ di costume e sapienza popolare che dovrebbero essere il punto di forza del suo film: i rimedi fatti in casa, la preghiera a tavola prima di mangiare, il malocchio.

Alla (ri)scoperta della magia popolare

È chiaro fin da subito che i nuovi arrivati non sono al sicuro – è la stessa sensazione che permea ogni film horror dal principio, ça va sans dire. I guai arrivano quando la piccola Sofia riceve una visita nel mezzo della notte: e quello che poteva essere il morso di un ragno non è soltanto il morso di un ragno. La fascinazione (termine che usiamo non a caso) per una saggezza contadina, per una cultura folcloristica e “fatta in casa” è evidente nel film, agisce su de Feudis e agisce su di noi: la magia, come l’oroscopo e la superstizione, sono quelle cose a cui nessuno crede dichiaratamente, ma che quantomeno ci incuriosiscono.

Il mondo de Il legame è un microcosmo in cui la scienza medica non funziona. È il mondo in cui sopravvive il realismo magico-religioso, quello descritto dall’antropologo Ernesto De Martino, le cui parole non a caso accompagnano l’incipit del film. Un mondo in cui se parli di fascinazione molto probabilmente ti riferisci allo stato di possessione o di controllo esercitato da un’altra entità. C’è un intero universo di tradizioni, di credenze e di leggende nel nostro sud che si domanda come mai il cinema e la tv non ne abbiano ancora approfittato. Per fortuna che qualcuno ci ha provato, di recente: Il legame non è da solo in quest’opera di riscoperta. Insieme a lui ci sono Janara, Controra, A Classic Horror Story e certamente qualcun altro: ancora troppo pochi per parlare di una new wave dell’horror all’italiana, ma abbastanza per sperare che il fenomeno abbia un seguito.

Talloni d’Achille e punti di forza

Peccato, perciò, che a un certo punto Il legame subisca una decisa sterzata e viri verso altre sponde, finendo per invischiarsi in un certo gusto di cinema d’oltreoceano a cui vorrebbe assomigliare. Diciamo che quando l’arcano viene svelato e il focus sull’antagonista si sposta la narrazione diviene meno interessante e spaventosa, e la cesura tra la prima e la seconda parte si sente parecchio. È un punto a suo favore che almeno conservi fino alla fine l’idea di una storia al femminile, dove le donne sono sia vittime che carnefici, la causa del male e anche il suo rimedio.

Quel legame del titolo non è soltanto nel malocchio, ma anche nella maternità, tema che non può che essere prettamente femminile, e che forse nelle aree contadine e tradizionaliste è ancora più sentito quanto controverso. Tutto questo – la maternità, la rilevanza della famiglia, la struttura sociale matriarcale – fa ugualmente parte di quella cultura popolare che è la nostra cultura, e che serve da ispirazione a tutto il film. I presupposti per una buona opera seconda ci sono tutti.

Andrea Vitale

Andrea Vitale nasce a Napoli nel 1990. Frequenta il liceo classico A. Genovesi, e nel 2016 si laurea in Filologia moderna alla Federico II. Ama la musica e la nobile arte dei telefilm, ma il cinema è la sua vera passione. Qualunque cosa verrà in futuro, spera ci sia un film di mezzo. Magari, in giro per il mondo. Attualmente frequenta un Master in Cinema e Televisione.

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