Uno su infinito di Cristò, ovvero quando solo l’impossibile può accadere

«Per quanto mi riguarda è sempre stata una follia, una cosa senza alcun senso logico. Il fatto che tutta Europa giocasse a quella lotteria insensata era lo specchio dei tempi».

Uno su infinito di Cristò (TerraRossa edizioni) è un testo di modeste proporzioni eppure, al tempo stesso, è un’opera comprensiva di un intero Zeitgeist, ossia delle idiosincrasie e delle manie, delle aspirazioni e delle frustrazioni tipiche della nostra epoca. I disagi dell’individuo e quelli della società vengono, qui, sovraesposti e spinti fino alle estreme conseguenze. Il risultato è quello di una lotteria, una specie di bizzarra variante del modello Win for Life, impossibile vincere, ma alla quale partecipano tutti. E per tutti sono da intendersi proprio tutti. Il motivo? Difficile a dirsi, ma uno dei personaggi di questo particolarissimo “racconto orale”, il sociologo Leonardo Angrisano, prova a interpretare il fenomeno di massa:

«La lotteria aveva uno strano effetto sulla gente. Il montepremi era là, ormai non serviva neanche più che aumentasse di settimana in settimana, l’enormità di quella cifra bastava a creare un’aspettativa, una sorta di fiducia nel futuro. La vita poteva cambiare, le cose potevano essere migliori. C’era una frenesia nell’aria. Dava speranza».

Ma andiamo con ordine. Siamo nella provincia italiana e un bel giorno una tv locale comincia a trasmettere in diretta, in un programma che si chiama That’s (im)possible, le estrazioni di una nuova lotteria. Il gioco consiste nell’estrazione di un numero fra tutti quelli esistenti. Di un numero, cioè, compreso tra 1 e ∞ e che può comporsi di due come di trecentomila cifre. Indovinare il numero estratto non è quindi semplice, anzi, è impossibile. Eppure, di settimana in settimana, con l’aumentare del montepremi, la lotteria diventa sempre più popolare, famosa, prima in Italia e poi in Europa. E poi nel mondo intero.

Mi fermo a metà della trama per concentrarmi sulla struttura di quest’opera. Uno su infinito gode di una “architettura” tale da rendere sicuramente avvincente lo svolgersi e il susseguirsi degli eventi, di cui il lettore viene informato a sprazzi, attraverso una narrazione ellittica che procede per accenni e omissioni. L’escamotage è quello di un’opera corale nella quale i narratori alternati, come in un mokumentary, sono gli stessi protagonisti e testimoni diretti della vicenda. Giocatori, produttori televisivi, finanche scienziati, che rilasciano a ruota brevi e spiazzanti dichiarazioni. «C’era gente che spediva interi quaderni pieni di cifre, un unico numero lungo anche diverse decine di pagine» ricorda ad esempio Luigi Conte, il presentatore dell’edizione italiana, che più avanti aggiunge: «Il numero più alto che è uscito era di quasi duemila cifre e c’è voluta mezz’ora per pronunciarlo tutto».

Nel corso di questa storia compatta dell’∞, come verrebbe da chiamarla riprendendo un titolo di David Foster Wallace, il lettore non può fare a meno di porsi le stesse domande dei personaggi, e cioè: ma com’è possibile estrarre a caso un numero fra tutti quelli esistenti seguendo un principio di equiprobabilità? E non solo di febbre per le lotterie parla Uno su infinito, poiché altri enigmi si accompagnano a quello dell’estrazione settimanale dei numeri. Ad esempio: che c’entra questa cosa nel bel mezzo della storia?

«Quindi i miei ricordi iniziano più o meno quando avevo tre anni e mia sorella stava per nascere. Poi c’è un piccolo vuoto perché la seconda cosa di cui mi ricordo è mia sorella che gattona per casa con una buffa salopette. Poi di un giorno in cui faceva caldo, mio padre mangiava, la televisione accesa su un telegiornale, mia madre mangiava, io raccontavo la trama di un cartone animato, mia sorella non mangiava, mia madre le diceva di mangiare, mia sorella non alzava gli occhi dal piatto, io continuavo a raccontare la trama del cartone animato, mio padre guardava il telegiornale e mangiava, mia madre ripeteva a mia sorella di mangiare, ma lei non alzava gli occhi dal piatto. Penso che sia una specie di collage di ricordi frequenti. Questa scena si è ripetuta diverse volte durante la mia infanzia e la mia adolescenza con piccole variazioni. […] Tutte le volte, però, papà guardava la televisione, mamma diceva a mia sorella di fare qualcosa e mia sorella non rispondeva.
Altri ricordi ce ne sono, ma meno importanti».

Perché si tratta di un ricordo importante? Questa testimonianza di Bruno Marinetti, così diversa rispetto alle altre, conserva forse una relazione con la lotteria? Se sì, perché? E in che modo? Nel rispetto dell’intentio auctoris e della progressione al mistero che i brani del libro contribuiscono ad alimentare, glisseremo sul prosieguo della vicenda per accendere invece una luce sullo stile. Nel brano appena citato è possibile rintracciare quella che rappresenta una costante nella scrittura di Cristò (si legga ad esempio La carne, Neo edizioni, 2020): l’artificio della ripetizione, con la quale l’autore crea un ritmo oltre che, nella fattispecie, un rimando alle ecolalie e alle fissazioni psicologiche dei personaggi principali. Cristò, musicista oltre che scrittore, compone la pagina servendosi di figure retoriche basate sul meccanismo dell’adiectio, per un gioco di aggiunte e, proprio come avviene per i ricordi del protagonista, di ripetizioni variate. La versatilità espressiva di un’opera corale si accompagna allora, nei singoli monologhi, a dispositivi anaforici, cataforici e naturalmente all’epifora, che non a caso è una figura musicale oltre che scrittoria (significativo che nel 2007 il romanzo d’esordio di Cristò, Come pescare, cucinare e suonare la trota, sia stato pubblicato da Florestano, marchio editoriale di partiture musicali oltre che di narrativa).

Ma Uno su infinito ha anche un afflato filosofico e politico: se una delle frasi ricorrenti dell’opera è data dalla formula secondo cui «le cose impossibili accadono continuamente», allora non si può evitare di menzionare il filosofo Jacques Derrida per il quale «solo l’impossibile può accadere». E certo, solo l’impossibile può accadere, perché il possibile semplicemente succede, succede così come il martedì succede al lunedì; ma è l’impossibile – ovvero quel che un altro filosofo francese, Alain Badiou, chiamerà “Evento” – ad accadere, cioè a cadere, accadendo come dall’alto, per rompere la monotonia dei fatti quotidiani che banalmente si succedono senza lasciare un segno nella storia. L’impossibile, allora, è l’Evento che crea una faglia, un punto di rottura e di non ritorno, che pone le basi per una nuova Epoca. Insomma, l’Evento, se non lo si fosse ancora intuito, è la Rivoluzione. O quanto meno la sua utopia.

In conclusione, al terzo titolo con TerraRossa (dopo Restiamo così quando ve ne andate, 2017, e La meravigliosa lampada di Paolo Lunare, 2019), Cristò gioca con la disseminazione di numerosi riferimenti letterari – che vanno dal Douglas Adams della Guida galattica per autostoppisti al Philip Dick dei quiz matematici de L’uomo dei giochi a premio, fino al David Foster Wallace di Infinite Jest (cito di nuovo Wallace, fra gli autori di culto insieme a John Barth, come Cristò suggerisce nel suo L’orizzonte degli eventi, del 2011). Il risultato è quello di una sorta di Antologia di Spoon River dei giorni nostri, ma con un occhio a Marxismo e utopia di Ernst Bloch. Un occhio obliquo, beffardo e parodico, s’intende.

Andrea Corona

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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