L’editor e l’ascolto. Intervista a Stefano Izzo

Chi bazzica l’ambiente dell’editoria sa bene chi è il nostro ospite di oggi. Gli altri potranno inquadrare Stefano Izzo come editor, come direttore editoriale per Dea Planeta, editor senior per Salani, come insegnante. Muove attualmente i fili de “Le stanze” Salani e ha vinto il premio come miglior editor dell’anno.

L’abbiamo intercettato per una chiacchierata sullo stato della narrativa italiana, sul suo lavoro, sul mestiere dell’editor e sull’approccio con la scrittura e gli autori.


Maurizio Vicedomini: Cominciamo prendendola larga. Hai lavorato per Rizzoli, Dea Planeta, Salani. Premio per miglior editor dell’anno. Editor di Siti, Albinati, Vassalli, ma anche di esordienti. Sei, insomma, a contatto con la scrittura e chi la pratica da molto tempo e a diversi livelli. Quali sono – a tuo avviso – le caratteristiche peculiari della narrativa italiana degli ultimi decenni?

Stefano Izzo: Accipicchia, devo iniziare questa chiacchierata facendo subito una pessima figura. Non ho una risposta, o almeno non riesco a trovarne una sola. Il panorama è vario, cambia in continuazione, e se devo indicare una tendenza evidente da quando ho iniziato a osservare la narrativa in un’ottica professionale (dal 2005), mi pare di notare soprattutto un certo realismo sia nel romanzo di genere (con il giallo sempre più consacrato) sia nel romanzo cosiddetto letterario (con un’attenzione prevalente a temi come la famiglia, le relazioni, la memoria). Più di recente, sono felice di vedere che molte scritture femminili stanno affermandosi in uno scenario che trovo quanto mai interessante, specialmente se si guarda, insieme all’alta classifica, anche ciò che si agita sotto la superficie. Ma queste sono generalizzazioni, lasciano il tempo che trovano, e allora lasciami dire che la letteratura che amo è fatta di libri unici, magari un po’ folli, che magari non creano una moda ma lasciano un segno in chi ha la fortuna di incontrarli.

M.V.: Editing e editor. Partiamo dal primo. Ogni professionista sembra avere una propria definizione, gli conferisce una propria forma e ritualistica. È di certo, però, un processo volto a tirar fuori da un libro le potenzialità inespresse, che sono già al suo interno, al fine di trasformarlo nella migliore versione possibile di sé. Ma nel tuo approccio individuale, cosa significa editare un testo? Quali sono i fondamentali che ti contraddistinguono?

S.I.: È esattamente come hai detto: ogni editor ha un suo modo di fare l’editor. Ci mette la propria sensibilità, prima ancora della tecnica o della logica. È una questione di carattere, insomma, di predisposizione. Il fine dell’editing è abbreviare la distanza tra le intenzioni dell’autore (quello che voleva scrivere) e l’esito formale (quello che ha effettivamente scritto), una distanza che può essere minima o molto ampia, come sa chiunque abbia provato a scrivere anche soltanto un racconto. La parola chiave del mio approccio credo sia l’ascolto: ascoltare gli autori, prima, e poi i loro testi. Se stai a sentirli, ti dicono tutto ciò che ti serve: le loro motivazioni profonde, le loro potenzialità, i loro limiti. Quello che faccio è indicare una strada, ma accompagnarli soltanto fino al punto in cui sono in grado di continuare da soli. La letteratura la fanno gli autori, non gli editor.

M.V.: E dunque l’editor è psicologo, professionista distaccato, mediatore, amicone, diplomatico. Ogni autore ha bisogno di un approccio diverso e personalizzato perché il lavoro proceda per il meglio. Qual è il tuo metodo operativo nel confronto con l’autore?

S.I.: Cerco di essere me stesso, perché nel tempo mi sono reso conto che non solo nella vita privata è sempre la scelta migliore, ma anche nel lavoro. Me stesso, coi miei pregi – la schiettezza, la semplicità, l’attenzione – e i miei difetti, ma questi non li confesserò neppure sotto tortura. Non ricordo più chi ha detto che l’editor è l’avvocato dell’autore presso la casa editrice e quello della casa editrice presso l’autore; mi sembra che l’essenza del nostro mestiere stia in questa posizione mediana, nella capacità di creare un dialogo tra le parti, nell’interesse comune. Poi è normale che con qualcuno la complicità diventi qualcosa di molto simile all’amicizia, con qualcun altro il rapporto rimane più distaccato e professionale. L’importante è dimostrare sempre rispetto e onestà a ciascuno di loro – pretendendo altrettanto. 

M.V.: Avvocato, ma anche cercatore di tesori. L’editor di italiana – in molti casi – si occupa anche di scouting. Due domande in una: cosa ti colpisce in un autore o in una storia, al di là degli aspetti più evidenti del libro? E ancora: quali sono i bacini migliori a tuo avviso? Il mondo delle riviste, gli agenti?

S.I.: Ci sono editor che fanno solo scouting e acquisiscono opere, e editor che invece curano il testo. Poi ci sono editor che fanno entrambe le cose, e io sono uno di loro. Ma tra le due attività, la ricerca e l’editing, la prima è quella che ha il valore maggiore, perché i buoni libri e i bravi autori sono la linfa vitale che alimenta l’intera attività editoriale. Il valore di un editor è direttamente proporzionale al valore dei libri che scopre.
Cosa mi colpisce in una storia? Se lo sapessi prima, probabilmente non mi colpirebbe. Detto altrimenti, quello che mi interessa è l’originalità. Ma attenzione, con questa parola non intendo l’eccentricità, la sperimentazione spinta, l’improbabile; intendo piuttosto quei libri che pur partendo dalla tradizione, da un canone, sono capaci di rinnovarlo, di spiazzare.
Gli agenti sono sicuramente una fonte fondamentale, perché operano un’attività di filtro capillare. Oggi tuttavia i terreni di coltura del talento si sono moltiplicati grazie alla rete, perciò il giovane scrittore che sarà il classico di domani può arrivare da qualunque direzione, non bisogna sottovalutare nessuna pista. Il che rende tutto molto complicato e affascinante.
Fammi dire anche un’altra cosa: lo scouting è questione di tempismo e di fiuto, ma spesso è anche questione di fortuna. Diciamolo, sennò passa l’idea (secondo me sbagliatissima) che l’editor sia una specie di mistico dai poteri sovrannaturali.

M.V.: Passiamo a ciò che si scrive. C’è la percezione di una forte dicotomia nel campo editoriale (ma pure altrove, come nell’audiovisivo) fra ciò che diverte e ciò che ha un peso intellettuale. In questo modo sia “intrattenimento” che “intellettuale” hanno assimilato accezioni negative verso poli opposti. In che modo pensi possa essere superata – nella percezione del pubblico – questa distinzione?

S.I.: L’idea che esista un tempio riservato alla letteratura alta e che tutto il resto stia fuori proviene da lontano, dalla nostra tradizione culturale. A me non piace e credo che in grande parte sia da questa prospettiva errata che nasca l’allontanamento di molte persone dalla lettura. Non si sentono all’altezza e neanche ci provano. Più che gli editori – che fanno libri, non propaganda – penso che di superare questa distinzione dovrebbero occuparsi le istituzioni, la scuola e le famiglie.

M.V.: Cosa ci aspetta, secondo te, nei prossimi anni? Dove sta andando la narrativa italiana?

S.I.: Se lo sapessi la mia vita sarebbe decisamente più semplice di come temo sarà. Posso soltanto dirti che a differenza di tanti non voglio lanciare messaggi disfattisti. Il giorno in cui smetterò di credere nella forza della parola e nell’intelligenza del pubblico sarà il giorno in cui farò bene a trovare un’altra occupazione. Non so quali ma ci aspettano sicuramente bei romanzi, e ci divertiremo come abbiamo sempre fatto.

Maurizio Vicedomini è capoeditor per la Marotta&Cafiero editori. Ha acquistato diritti di pubblicazione in tutto il mondo ed è pioniere nello sviluppo di nuove forme di impaginazione libraria in Italia. Ha fondato la rivista culturale Grado Zero, sulle cui pagine sono apparsi racconti di grandi autori italiani e internazionali. È autore di libri di narrativa e critica letteraria. Collabora con la Scugnizzeria, la prima libreria di Scampia.

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