Il titanismo capovolto: “Fly mode” di Bernardo Pacini

La nostra epoca di virtualità pervasiva ha forse concretizzato il sogno (e il timore) di quel transumanesimo tanto immaginato nel secolo scorso. Un transumanesimo sottile, e subdolo, di superamento “vaporoso” dei confini della persona e dello spazio – attraverso l’immagine. Fly mode (Amos Edizioni, 2020) di Bernardo Pacini ha il merito di indagare l’io e lo sguardo nella fase storica della loro problematizzazione, e di farlo tramite un’arte che per statuto gioca con quelle due dimensioni; ovvero la poesia.

Lingua e fenomenologia del drone

Per studiare questo «concept book», come lo ha definito Giulio Maffii[1], vorrei seguire un procedimento “in salita”: dalla lingua all’oggetto alla teoria.

Partirei dunque dall’osservare in che modo il punto di vista del drone – protagonista del libro – si manifesta al lettore. La lingua di Pacini è una lingua ribollente, eterogenea, innanzitutto per quanto riguarda il lessico. Questo si distribuisce su un segmento di retta che ha come primo estremo il vocabolario anglofono e tecnologico tirato dentro dall’argomento («Hovering», «flyaway», «byte», il titolo stesso…) e come secondo quello tassonomico, raro, neologista («misofonica», «cefalotorace», «ipossia», «costolute», «s’inlatebra»…). Ad inspessire ulteriormente la lingua c’è poi tutto un serbatoio di citazioni da cui il libro attinge, nella forma degli eserghi (numerosi) oppure dei riferimenti dissolti nel testo (come il montaliano Alto levato drone, le citazioni eliotiane in Underwater drone, «Bàrnabo delle montagne» in REC…).

Come a livello lessicale, poi, si impone una specie di varietas anche estrema, così a livello sintattico e metrico assistiamo a una spinta che tende alla frantumazione e all’asimmetria (oscillazione tra verso breve e verso lungo, frequenza degli a capo e dello slash) che coesiste con un’altra di coagulazione fonica (omoteleuti, rime interne, assonanze; come nel caso dei ripetuti nessi “e + o” oppure “u + o” nella VI parte di Gabbia azzurrina).

La lingua che parla e da cui è parlato il drone è dunque una lingua tutt’altro che asettica e tecnicista; è bensì attraversata da un’energia pluristilistica che svela una forte coscienza e conoscenza poetica a monte. Partendo da questo dato stilistico possiamo perciò già avvicinarci al ruolo ambivalente del drone: palesemente è posto – questa la novità essenziale del libro – come guardante («sono obbligato a vederti»), ma in maniera più latente, “intenzionale”, anche come guardato, dal momento che assumendo il punto di vista del drone (del non-umano) il poeta e il lettore compiono anche un percorso di conoscenza del non-umano stesso.

Del resto le sezioni del libro segnano le tappe di uno studio globale dell’oggetto/soggetto drone: Alto levato drone ne è l’etologia (i vari usi e comportamenti del drone), DCIM l’anatomia (i file salvati nella memoria interna), Vite in 4K la gnoseologia (l’interpretazione delle scene filmate), FAQ l’ontologia (le istruzioni, «un’esistenza a circuito chiuso»). L’Appendice, in quanto tale, esce dal corpo stretto del drone e dà forma al desiderio umano verso l’onniscienza tecnologica («Avrei voluto già averti, drone, per vedere ciò che non mi era dato»), ma, proprio attraverso lo straniamento, dimostra anche come il drone sia insieme il conoscente e il conosciuto del libro. Questo è, esattamente, il meccanismo tipico dell’io lirico.

Superuomo o Super-io?

Se il drone ci appare dunque come forma trans-umana del punto di vista, tutta la sfida di Pacini sarà giocata nella possibilità o non possibilità di varcare i confini dell’io in poesia. Possiamo parlare a tutti gli effetti di titanismo, cioè della tensione verso un obiettivo posto al di là del limite fisico e intellettuale dell’essere umano. Il drone sarebbe il dispositivo macchinico, l’«eidolon» – come lo definisce Giuseppe Nibali[2] – attraverso cui compiere quest’operazione, efficace proprio in quanto dis-umano.

La ricchezza del lavoro di Pacini, tuttavia, è proprio nel mancamento del bersaglio più facile, ossia nel fatto di non approdare a un transumanesimo oggettivistico: non si tratta, insomma, né di porre il tecnologico come superamento schietto dell’umano né di un’occasione pornografica di super-sguardo. Il valore di Fly mode è al contrario nella problematizzazione di questo dialogo con la macchina, della macchina stessa («sono io questo tuo posto assurdo e senza storia») e infine della posizione dell’io poetico di fronte al proprio allargamento/ribaltamento. Per questo diverse istanze si raccolgono attorno all’idea centrale: come scrive Roberto Batisti, la scelta del drone «è un espediente che consente al poeta di non cadere nel confessionalismo: l’io lirico non è negato tout court ma è (in parte) delegato a questo occhio meccanico esterno. Non si ottiene, come nell’oggettivismo radicale di alcune scritture di ricerca, una completa spersonalizzazione, ma un’oggettivazione (e un’elevazione) del punto di vista individuale.»[3]

Dato l’equilibrio tra io lirico e sua negazione, viene dunque da chiedersi verso quale obiettivo il drone allarga il punto di vista umano; se si tratta, insomma, di un allargamento ottico, sensitivo, oppure di un allargamento della profondità, abissale (una poesia si chiama del resto Underwater drone). Da una parte avremmo un superuomo, la sconfitta definitiva del nostro limite in termini di prestazione e visione aumentate («tale elevazione / è pura trascendenza»), dall’altra una forma di Super-io, uno scandaglio cioè di ciò che è interno all’essere umano eppure a lui invisibile: «Pacini accetta la sfida di rintracciare l’immagine del suddetto essere attraverso la cancellazione del suo centro lirico, facendone emergere la mancanza o la nuca attraverso un uso particolare del prospettivismo» (Pasquale Pietro Del Giudice)[4].

Il titanismo capovolto

La risposta è: entrambi. Il drone apre lo scenario dell’allargamento transumano in quanto macchina (superomismo e anti-lirismo) e contemporaneamente affoga in una coscienza, che è la propria solo perché delegata dal padrone originario, che è l’io lirico e umano. Acquista, insomma, e al contempo perde qualcosa: «questo sguardo cyborg […] ha una capacità di osservazione aumentata rispetto a quella di un essere umano» ma a ciò «corrisponde un impoverimento della volontà» (Gerardo Iandoli)[5].

Questo titanismo abbassato, che nel compiersi precipita nel proprio contrario, si ottiene attraverso tre espedienti: l’auto-ironia, l’esperienza personale, il desiderio. La prima, che è il meccanismo di ribaltamento per eccellenza, è la problematizzazione che riguarda più schiettamente l’aspetto formale, nel senso che il lettore la coglie anzitutto a partire dalla lingua e dal tono. Essa corrisponde a una costante auto-critica e messa in dubbio delle proprie capacità, del proprio statuto di ente, che degenera facilmente anche in una vera e propria disistima di sé («sono un prototipo-campione di umanità», «un ruolo di videocamera di sorveglianza», «imito nella mente la possibilità che non ho»): proprio nel contesto in cui si dà voce alla macchina, questa si mostra in crisi esistenziale. La riconduzione all’esperienza personale, poi, che si manifesta esplicitamente nell’Appendice ma anche nel momento in cui il drone si volge verso il Pilota remoto, segnala espressamente che il contatto con la dimensione umana non è mai abrogato, ed anzi il significato del libro è proprio in questa relazione, che si concretizza soprattutto in termini di desiderio – della visione e della conoscenza.

Con l’io lirico messo in crisi attraverso un dispositivo a sua volta problematizzato, Fly mode non è, in conclusione, né un libro sapienziale (che ci mostra la macchina nella sua oggettività conchiusa e transumana) né un libro profetico (che ci annuncia la venuta di una trasformazione). È, semmai, un libro contemporaneo: sfrutta un dispositivo-argomento della realtà presente e tecnologica come fascio di possibilità interrogative sull’io e assieme sul dispositivo stesso; come allegoria della condizione mista di fascinazione e inquietudine che l’uomo prova, oggi, di fronte a una macchina sempre più compiuta.

Antonio Francesco Perozzi


[1] https://www.atelierpoesia.it/flashes-e-dediche-1-3-fly-pacini-fly/

[2] http://www.leparoleelecose.it/?p=40602

[3] https://formavera.com/2021/02/22/roberto-batisti-il-drone-di-bernardo-pacini/

[4] https://www.argonline.it/gli-strati-del-visibile-vita-latente-e-patente-dellocchio-%E2%A5%80-fly-mode-di-bernardo-pacini/

[5]

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