Go West. Sistemi e anti-sistemi in “Ultimo stadio” di Francesco Negri

Ultimo stadio di Francesco Negri (Transeuropa, 2020) è un romanzo-tritolo. Primo, perché fa esplodere il testo in una centrifuga di linguaggi, visioni, sovrapposizioni. Secondo, perché fa esplodere l’extra-testo (il mondo) svelandone le contraddizioni e convertendole in profezie distopiche.

Attraverso una prosa abrasiva e l’uso del sampling – che mescola pezzi eterogenei (giornali, post di Facebook, chat, canzoni) e che, soprattutto, «ambisce a un mondo scomposto, caratterizzato dall’aporia» – Negri pone già al suo esordio le basi per una letteratura nuova e al contempo antica, originaria: che attraversa, decostruisce, interroga con fame la realtà.

Sistema sociale e sistema linguistico

La dialettica alla base degli episodi di Ultimo stadio è costruita dunque su un’opposizione tra sistemi costituiti e anti-sistemi che puntano a smontarli. Come mostrerò più avanti, proprio dal filo sbrogliato della realtà sarà possibile costruire la visione distopica che caratterizza soprattutto la seconda parte de romanzo. Per comprendere il modo in cui il “tritolo” ha effetto, occorre perciò delineare prima i luoghi (sistemici) in cui viene posizionato. Questi sono di due tipi: tematico (i personaggi che agiscono in un dato sistema sociale) e stilistico (l’autore che agisce in un dato sistema linguistico e letterario).

Ultimo stadio – quanto al primo sistema – è infatti un romanzo, potremmo dire, iperrealistico. Periferia di Milano, vagabondaggio dell’adolescenza: attraverso la voce di Tommaso Scotti, Negri ci racconta un mondo complesso e strabordante. Il protagonista e gli amici Icce e Ahmed (portavoce della generazione maggiorenne negli anni ’10) affrontano una alla volta le delicate (pseudo-)strutture di quel mondo, necessarie per mantenere la quiete (nevrotica) degli uomini che lo vivono. Sono le (pseudo-)strutture della carriera scolastica, dell’affermazione professionale, del mercato come do ut des al rialzo, della famiglia, della comunicazione, dell’abitare e della gestione del corpo.

A sua volta, l’autore è chiamato a fare i conti con strutture egualmente ossidate, che prese in maniera obliqua svelano però la loro fragilità e costruzione illusionistica. Negri deve cioè venire alle mani in primis con la lingua italiana, quindi con il genere letterario (il romanzo di formazione e quello generazionale, che fanno facilmente pensare a Brizzi, Salinger e Welsh, come i recensori hanno giustamente sottolineato). Infine, con le tecniche di scrittura. Tutti strumenti che gli vengono consegnati già confezionati – e perciò inaccettabili.

Anti-sistema sociale e anti-sistema linguistico

Osservato trasversalmente, Ultimo stadio si svela dunque una titanomachia tra autore e tradizione e, contemporaneamente, tra personaggi e scena. Anzi, il pretesto (solo pretesto: vedremo poi) del romanzo di formazione, in quanto resoconto di un divenire radicale, è perfetto per compiere una fondazione che coinvolga – cioè stravolga – tanto l’apparato attanziale-tematico quanto quello stilistico e meta-testuale. Un grande merito del romanzo è infatti il suo essere al contempo estremamente realistico e sottilmente meta-letterario, un connubio che consente di oltrepassare i rischi di entrambe le configurazioni, cioè la mimesi banale, da una parte, e l’astrazione insipida, dall’altra.

Riprendendo il dualismo accennato sopra, possiamo quindi osservare personaggi alle prese con il sabotaggio regolare delle strutture cui vengono incontro. Scotti e soci tradiscono il loro talento scolastico, rifiutano la chimera del lavoro stabile, rapinano farmacie, si smarcano dalla protezione dei genitori, snaturano il linguaggio in un frullatore di canzoni, meme, bestemmie e slogan politicamente scorretti, sono nomadi della città, portano il corpo al limite della resistenza alle droghe e allo sbandamento. Di questa vita fuori sesto (e perciò sentita al massimo della sua ruvidità) sono simbolo l’esperienza dello stadio (sparsi tra gli ultras del Milan i tre toccano l’esistenza nello scontro paradigmatico tra polizia e tifosi, Stato e anarchia), ma soprattutto le esplosioni: ecco la detonazione che si innesta (anche allegoricamente) nella trama della storia, con i protagonisti che iniziano a fare saltare in aria edifici e sgozzare vigilanti della metropolitana, senza che ci venga spiegato chiaramente il motivo.

La spinta anti-sistemica diverrebbe tuttavia semplice alternativa (destinata cioè a cristallizzarsi a sua volta) se il “tradimento” si fermasse qui. E infatti i personaggi ruotano il sabotaggio universale anche verso se stessi, verso la figura/funzione che il lettore tenta di cucirgli addosso. Sono personaggi cioè incoerenti, agiscono contro l’aspettativa del lettore e contro ogni tipizzazione statica del loro comportamento: la piega che a un certo punto prende il romanzo – con le azioni folli dei protagonisti interpretate come gigantesca performance artistica – non è solo il pungolo necessario a una riflessione profonda su cosa significa fare arte oggi (farla cioè in un mondo ipermediale e ultra-verbalizzato), ma anche un equivoco – l’Equivoco – che permette ai protagonisti di tradirsi ancora una volta, sopravvivere nell’indefinito mentre la società (e l’Equivoco, che è biunivoco, ne è il tentativo massimo) cerca di incasellarli in un ruolo, in una comprensibilità.

Questa forza detonante, questo nichilismo, si amplifica ulteriormente per l’azione che l’autore compie in senso perpendicolare rispetto all’attività dei personaggi, e cioè quando manipola e sabota il linguaggio stesso in cui il loro nomadismo esistenziale, già di per sé decostruttivo, si manifesta. Il sampling, dichiarato nell’Avvertenza, è la tecnica di quest’azione, e si concretizza in un mescolamento di linguaggi e scritture – che vengono soprattutto dal mondo già multiplanare del web – a volte camuffato nel dettato, a volte evidente nell’alterazione tipografica. Ne deriva una tensione del cursus narrativo fatta di ellissi, flashback, citazioni, solo in parte sanato e amalgamato dall’effetto di realtà. È il segno di un mondo plastificato e, insieme, sull’orlo dello sgretolamento.

La fondazione distopica

Per questa strada Negri raggiunge allora anche una decostruzione ultima – quanto all’agonismo tra autore e tradizione – ovvero quella rivolta al romanzo generazionale. Come scrive Luca Fassi, «il conservatorismo della generazione precedente ha trasmesso a quella futura la rabbia e l’energia della frizione e del cambiamento. Ma nella generazione raccontata da Negri qualcosa s’è inceppato: il presente è una macchia […]. Tutto è stato provato, resta solo l’estremo, anarchia e violenza»[1].

L’operazione di Negri dunque non si limita ad affresco sociale e/o a costruzione estetica dell’appartenenza a un gruppo (anagrafico-culturale); poiché proprio quel gruppo si mostra impossibile da amalgamare, storicamente disgregato, il romanzo generazionale risulta impossibile, schierato contro se stesso. L’esplosione distopica e immaginifica che caratterizza il romanzo nel momento in cui il racconto scavalca l’anno d’uscita del libro, si fonda proprio sulle macerie del romanzo generazionale e sulle contraddizioni del presente, svelate dalla decostruzione dei sistemi e diventate “poesia”, ovvero strumenti di immaginazione – in questo caso del futuro, e di un futuro distopico.

Iper-tecnologizzata, iper-occidentalizzata, iper-anestetizzata, la società a venire immaginata da Negri ha presupposti evidenti nel nostro presente; Scotti ci sguazza ormai arricchito dall’Equivoco, e l’inaugurazione, in cui è coinvolto, dell’Amazon stadium (parallela alla demolizione di San Siro) segna ufficialmente il trapasso in una nuova era.

«Go West». Ultimo stadio di Francesco Negri è un acceleratore di particelle; indaga nel più crudo realismo e con consapevolezza di vissuto lo status di una generazione, ne mostra il parossismo e l’«aporia» comunicativa e identitaria tramite il sampling e il linguaggio-betoniera del web, la converte in strumento profetico di immaginazione del futuro. Un futuro scollato dal tempo e dalla materia come un jet ultrasonico sparato verso Occidente – per sempre.

Antonio Francesco Perozzi


[1] https://www.imperdonabili.org/2021/01/11/ultimo-stadio-di-francesco-negri-e-nato-il-manifesto-identitario-della-parte-marcia-dei-ventenni/

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