Jean Rhys e il mondo che cambia

“Blot out the moon,
Pull down the stars.
Love in the dark, for we’re for the dark
So soon, so soon.”

tratto da “Il grande mare dei Sargassi”, Adelphi, Milano 1980

Quarantuno anni fa usciva in Italia “Wide Sargasso Sea”, il romanzo di maggior successo di Jean Rhys. Un libro che ha segnato una tappa fondamentale della letteratura anglofona del secondo Novecento. Un romanzo che consacrerà Rhys, dopo anni di insoddisfazioni e delusioni.

Dietro questo pseudonimo, si nasconde la personalità di Ella Gwendolen Rees Williams, di madre creola e padre gallese, la quale si mette in mostra in Inghilterra prima come aspirante attrice, ma con scarsi risultati, a causa delle sue origini e dall’accento poco “british”. Poi troverà la sua vocazione nella sua scrittura, pubblica nel 1927 i racconti “The left bank”, nel 1928 il primo romanzo “The quartet”. Da sempre vista come outsider, sia perchè proveniente da Dominica (ex colonia inglese nei Caraibi) sia per ragioni personali, Jean Rhys infatti finisce persino ricoverata in un’ospedale psichiatrico. Ciò nonostante non le manca mai l’appoggio dello scrittore Ford Madox Ford, che continua a supportare la sua attività, promuovendola.La sua influenza sarà importante soprattutto per quanto riguarda una delle maggiori teorizzazioni di Madox Ford, quella del “narratore inaffidabile”. Il lettore prende coscienza del fatto che la versione del narratore può essere smentita, la sua parola non è verità assoluta. Quest’elemento caratterizza i narratori delle diverse sezioni di “Wide Sargasso Sea”, oggi edito da Adelphi con il titolo “Il grande mare dei Sargassi”. La molteplicità delle identità acquisite dalla scrittrice, che cambia parecchie volte il proprio nome negli anni della sua vita, sempre all’insegna del viaggio, le irrequietezze personali e le sue esperienze biografiche si riversano inesorabilmente nella narrazione del suo più grande romanzo.

La sua influenza sarà importante soprattutto per quanto riguarda una delle maggiori teorizzazioni di Madox Ford, quella del “narratore inaffidabile”. Il lettore prende coscienza del fatto che la versione del narratore può essere smentita, la sua parola non è verità assoluta. Quest’elemento caratterizza i narratori delle diverse sezioni di “Wide Sargasso Sea”, oggi edito da Adelphi con il titolo “Il grande mare dei Sargassi”. La molteplicità delle identità acquisite dalla scrittrice, che cambia parecchie volte il proprio nome negli anni della sua vita, sempre all’insegna del viaggio, le irrequietezze personali e le sue esperienze biografiche si riversano inesorabilmente nella narrazione del suo più grande romanzo.

Diviso in tre sezioni, “Wide Sargasso Sea” è un romanzo pieno di contraddizioni. Scritto in inglese, ma contesta l’inglese tradizionale. È il prequel di “Jane Eyre”, completa eppure confuta il capolavoro di Charlotte Brontë. La protagonista è Antoinette, che seguiamo dall’infanzia sino all’adolescenza in Giamaica e alla maturità. La “mad woman in the attic”, la psicopatica rinchiusa dal marito con una governante, la Bertha Mason che troviamo in “Jane Eyre” qui è una bella donna, che fa tesoro dei suoi ricordi, che dà valore ai sogni. La pazzia è l’elemento che lega Antoinette alla madre Annette, anche lei rinchiusa dal marito in un’abitazione e infine maltrattata dagli stessi governanti. Ma prima c’è il matrimonio, l’amore. A questo punto ritroviamo Edward Rochester, mai nominato in “Wide Sargasso Sea”, narratore della seconda sezione del romanzo e futuro marito di Jane Eyre, qui ancora il secondogenito di una ricca famiglia, mandato in America per sposare Antoinette. Le lettere del fratellastro di Antoinette, Daniel, insinueranno in lui i primi dubbi, le prime incertezze che caratterizzeranno la sua personalità complessa, a tratti oscura, che emerge con forza in “Jane Eyre”. Qui l’eroe romantico creato da Brontë ha un profilo psicologico ben diverso, perde la sua componente eroica ma non la sua complessità psicologica. La natura, i paesaggi, persino i governanti si rivelano ostili, si prendono gioco di lui.

“Ci guardammo negli occhi, io col viso bagnato di sangue, lei di lacrime. Fu come se vedessi me stessa. In uno specchio.”

“Wide Sargasso Sea” è visto da anni come un testo chiave dalla critica femminista e post-coloniale, un romanzo attraversato dagli eventi del periodo storico, che non perdono la loro centralità. L’abolizione della schiavitù è un evento traumatico che lascia gli ex schiavi disoccupati e genera tensioni interne che culminano nell’incendio della tenuta della famiglia Mason. Emerge anche una forte denuncia della società patriarcale, del razzismo, delle differenze tra la popolazione europea e quella locale giamaicana. Antoinette lotta per conservare la propria identità, messa a rischio dal nomignolo Bertha, con cui il marito la chiama. La maschera della malattia, della nevrosi, un nome che non le appartiene, che la fa soffrire. Un tratto, quello della follia, che per Brontë equivaleva a una malattia, per Rhys il confine tra follia e razionalità è fin troppo sottile.

Il processo di crescita rispetto a Jane Eyre qui è opposto. Jane lotta da sola contro il mondo e alla fine, attraverso una serie di peripezie, si ritrova benestante, felice nel matrimonio, soddisfatta. Quello di Antoinette è un climax discendente, lento e vorticoso, che la distrugge psicologicamente, fino a ridurla a semplice spettatrice della sua esistenza. Non ci sono vinti né vincitori in questo romanzo, che abbandona lo spirito del romanticismo europeo, in favore dell’epoca di transizione che Rhys vive e che la porta ad avere una minore fiducia nelle potenzialità dell’individuo. L’Inghilterra del Dopoguerra, impoverita, devastata dalle bombe, ma con una grande voglia di rinascere. Anni in cui Jean Rhys si credeva morta. Sarà merito dell’editrice Diana Athill quello di far affermare presso il grande pubblico gli scritti di Jean Rhys, dimenticata fino a quel momento, e di far pubblicare “Wide Sargasso Sea” nel 1966.

Nunzio Bellassai

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