La vita davanti a sé, una Loren da Oscar in una favola all’insegna del politically correct

Sophia Loren è la storia del cinema

L’uscita di La vita davanti a sé su Netflix è un evento di fronte al quale dobbiamo soffermarci e fare una premessa. Netflix rappresenta il nuovo, l’ultimo rivoluzionario modo di produrre e fruire i film e fa un certo effetto vedere recitare in una produzione originale di questo colosso un’attrice che ha cominciato i primi passi nel mondo dei fotoromanzi per poi esordire nel cinema in bianco e nero del dopoguerra e sbancare a Hollywood per essere diretta da registi come Charlie Chaplin, George Cukor, Robert Altman e recitare con attori del calibro di Marlon Brando, Cary Grant, Clark Gable e naturalmente Marcello Mastroianni. Senza contare che Sophia Loren è l’unica attrice italiana ad aver vinto l’Oscar come miglior attrice in un film di lingua italiana e l’unica attrice italiana ad aver vinto l’Oscar alla carriera.
Insomma Sophia Loren è la storia del cinema, di un cinema che non c’è più, quello appunto in bianco e nero di Totò e Vittorio De Sica, quello della commedia all’italiana e quello patinato degli anni d’oro di Hollywood. E quando nel 1999 l’American Film Institute piazzò la Loren al ventunesimo posto della classifica delle più grandi star della storia del cinema era l’unica ancora in vita della lista. Ventun anni dopo Sophia Loren non solo è addirittura protagonista di un nuovo film, ma aggiunge alla sua ineguagliabile carriera un’altra performance degna di nota, che fa dimenticare gli ultimi decenni di progetti televisivi che non le hanno reso onore.

Un romanzo fortunato


Ma passiamo al film in questione, adattamento piuttosto libero di un romanzo di Romain Gary, vincitore di un premio Goncourt del 1975 e diventato poi un film vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 1978. Il regista era Moshé Mizrahi e la protagonista Simone Signoret.
La storia si sviluppa intorno alla figura di Momo, un problematico bambino senegalese orfano che viene affidato a Madame Rosa, un’anziana ex prostituta ebrea. Il rapporto tra i due è inizialmente turbolento: Momo è infatti un piccolo criminale dedito a furti e spaccio, assai maleducato e scontroso, lei è una donna severa e maldisposta nei confronti dell’ospite, ma nel corso dei mesi qualcosa cambia, soprattutto da quando la donna comincia a mostrare i segni di una malattia degenerativa.

Una favola all’insegna del politicalmente corretto

Se i temi dell’integrazione, razzismo, scontro tra religioni, Olocausto, malattia e morte erano già presenti nel romanzo, la nuova versione aggiunge pure un personaggio transessuale (interpretato dalla bravissima Abril Zamora, sceneggiatrice di Elite ed attrice di Vis a vis, due produzioni spagnole disponibili nel catalogo Netflix). In questo modo, il politically correct è servito su un piatto d’argento che certamente piacerà all’Hollywood inclusiva degli ultimi tempi. Detto così, sembrerebbe un pesante calderone strappalacrime ma la verità è che il film attraversa tutte le tematiche con elegante leggerezza, senza indugiare o calcare mai troppo la mano, nemmeno nelle scene più drammatiche.
Il problema è semmai il contrario: il film eccede in superficialità, abbozzando soltanto passaggi che richiedevano maggiori approfondimenti. Pure l’idea di concentrare l’azione in soli sei mesi, a differenza dei diversi anni di cui parlava il romanzo, rende piuttosto inverosimile la storia di formazione del protagonista, criminale asociale che diventa d’un tratto bambino onesto, sensibile e dal cuore d’oro. E pensare che nel romanzo Momo non era così negativo: risulta quindi una forzatura dettata dall’evidente desiderio di veicolare messaggi politicamente corretti ed edificanti.
Insomma, pur non apparendo esente da difetti, La vita davanti a sé si lascia guardare e ci commuove se non pretendiamo troppa verosimiglianza e lo prendiamo in fondo per una sorta di favola moderna che ci riporta un po’ nei territori di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano.

Quando un’interpretazione eleva un film

E poi c’è lei, Sophia Loren, che cambia tutto. Complici l’ambientazione popolare, una scena in una terrazza con i panni stesi e la Loren nei panni di un’ex prostituta che si occupa dei figli di altre prostitute, è impossibile non pensare a tre capisaldi della filmografia della Loren, Una giornata particolare, Matrimonio all’italiana e Ieri, oggi e domani in qualche modo omaggiati ed evocati nei più eleganti e intelligente dei modi. Il regista Edoardo Ponti, figlio della Loren, fa un bellissimo regalo alla madre assegnandole questo personaggio forte e delicato allo stesso tempo, summa di una carriera di settant’anni. Un ruolo dove la Loren, a parte gli iniziali siparetti in dialetto napoletano che ai più nostalgici evocano i bei tempi delle commedie con Marcello Mastroianni, lavora in sottrazione, emozionando con sguardi e silenzi. È indubbio perciò che il regalo più grande lo faccia la Loren, perché grazie alla sua toccante interpretazione eleva un film che, grazie anche ai temi edificanti e a un brano della colonna sonora scritto dalla pluripremiata Diane Warren e interpretato da Laura Pausini, rischia seriamente di arrivare ai premi Oscar.

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