Vite parallele: il Narratore di Proust in “Chiamami con il tuo nome” di Aciman
“Alla ricerca del tempo perduto” è concordemente considerata una delle espressioni più compiute del romanzo occidentale e il suo celeberrimo autore – Marcel Proust – ne emerge come perfetto esemplare dello scrittore moderno. L’infinita mole di parole che ci presenta è raccontata da un Io narrante – il Narratore, per l’appunto – che si fonde ma mai si confonde con Proust stesso. Anch’esso rispondente al nome Marcel, da Proust si discosta quanto basta per creare quella prodigiosa distanza tra biografia e Letteratura che rende indimenticabile la lettura della sua opera.
Il ricordo ne “Alla ricerca del tempo perduto”
“Alla ricerca del tempo perduto” è una cronaca ricavata dal ricordo. L’effettiva successione degli eventi è infatti plasmata dal misterioso e inconoscibile flusso delle associazioni mentali che Proust ritiene l’unico aspetto di verità delle esperienze vissute. La ricchezza di questo romanzo va dunque ben al di là della storia che racconta e anzi si volge al passato con l’intento di creare un nuovo ordine del tempo. Ciò che è già accaduto, Proust non finge mai che possa ancora essere in dubbio, che non sia – per così dire – ancora accaduto. Eppure quelle memorie lo toccano, lo scuotono, persino lo rapiscono. Il potere che gli eventi trascorsi hanno sul suo presente viene descritto da Proust in modo originalissimo e per la prima volta il ricordo appare come una forza trascendente, non come una conseguenza di una serie di eventi contingenti.
Passato, presente e futuro
Una volta André Aciman in un’intervista ha detto di non aver voluto raccontare un amore delicato – un amore proustiano – a proposito del suo romanzo di maggior successo “Chiamami con il tuo nome”, pubblicato nel 2007 e divenuto dieci anni dopo un film diretto dal regista italiano Luca Guadagnino. Cosa volesse dire con quelle parole non è troppo scontato, sia perché non c’è molto (o non solo) di delicato nell’amore ossessivo che il Narratore nutre (o s’illude di nutrire) per Albertine, sia in quanto grande studioso di Marcel Proust e della sua Recherche Aciman stesso, e dunque capace di riflessioni che la maggior parte di noi potrebbe ritenere misteriose.
Le aspettative ne “Chiamami con il tuo nome”
Certo è che Aciman non sembra interessato alla ricostruzione del passato dei suoi personaggi, in “Chiamami con il tuo nome”, ma alle possibilità che ha in serbo per loro il futuro. L’aspettativa è la tinta che vernicia maggiormente le sue pagine, seppur intrisa di malinconia. La sensazione più travolgente, infatti, che irrompe dalla lettura del suo romanzo è la cosiddetta fear of missing out, e cioè la paura di perdersi qualcosa, letteralmente di essere tagliati fuori. Ma da cosa? L’acronimo FOMO designa la paura di perdersi un’esperienza emozionante, associata (ed accresciuta) alla sensazione che invece gli altri conducano un’esistenza più viva, piena ed entusiasmante della nostra.
Conoscere se stessi o conoscere l’altro?
Così vive Elio, il giovane narratore di “Chiamami con il tuo nome”, che sembra costantemente temere di perdersi qualcosa, identificando l’oggetto di quell’ansia (Oliver) con il sale della vita. Come ha detto Aciman, la sua scelta di un Io narrante è stata fatta proprio per mostrare il punto di vista di Elio, in modo che il lettore conosca solo quello che Elio sa e veda solo quello che Elio vede.
Oliver – in un certo senso – resta più in ombra, e rimane una personalità inafferrabile. Perché per Aciman non possiamo mai conoscere davvero l’altro. Si può avere un’idea di ciò che dirà o farà, ma non sapremo mai come vive nel suo profondo. In questo modo – linearmente – Elio (e il lettore con lui) non saprà mai fino in fondo quale sarà la scelta definitiva di Oliver e il suo perché. Tutto il contrario, dunque, di Proust e della sua ricerca dentro se stesso e i suoi ricordi. Unico modo – forse – per conoscere almeno se medesimi.
Oliver e Albertine
Oliver e Albertine sono gli oggetti amati dei due narratori. Entrambi sono ciò che Proust chiama un être de fuite, e cioè un personaggio la cui vita rimane in gran parte opaca, in ombra, che resta dunque misterioso. Da qui nasce la necessità di andare alla sua ricerca per capire chi realmente sia. Ed entrambi – in qualche modo – alla fine fuggono, scompaiono. Ma in Proust sembra un modo per ricostruire un pezzo di se stesso, del proprio passato, delle proprie scelte, mentre in Aciman sembra un modo per tenere socchiuso il futuro, lasciando spalancato ancora uno spazio all’imprevedibilità dell’altro.
Che cos’è il passato?
Questa cosa che quasi non fu mai ancora ci tenta. Ecco cosa avrei voluto dirgli, ammette Elio in una delle pagine (e delle frasi) più belle di “Chiamami con il tuo nome”. Questa cosa che quasi non fu mai perché l’amore non sembra mai abbastanza: abbastanza intenso, abbastanza duraturo, abbastanza certo, abbastanza condiviso. Che quasi non fu mai perché l’amore tra Oliver ed Elio – come tutti gli amori che non riescono a trovare concretezza – non aveva futuro, progetti, socialità, certezza di essere vissuto nello stesso modo da entrambe le parti. Questa cosa che fu per me, ma forse non per te, Oliver, sembra straziarsi Elio. Per te – Oliver – fu una cosa che forse non fu mai. Non per me, perché ancora mi tenta.
Quanta nostalgia, in queste semplici parole, e quanta poesia. Poteva essere – allora e solo allora, adesso il tempo è passato e non potrà essere più – ma non è stato, o almeno è stato e non è stato. Era in bilico. Tutto il contrario di Proust, insomma. Nella Recherche il passato è per forza accaduto e si è anzi realizzato compiutamente al punto da poter essere involontariamente rievocato e da travolgere e trasmutare il momento presente. Ma ecco la conclusione della frase che unisce i due autori nel momento presente: nonostante tutto, ancora ci tenta.
Un finale alternativo
“Mi affascina” ha detto Aciman a proposito di questa frase, “come tutti noi proviamo nostalgia per cose che sarebbero potute accadere ma – invece – non sono mai state”. Se non nella nostra mente, aggiungerei. Nella nostra mente – invece – sono state e questa consapevolezza fa molta differenza. Mentre in Proust proviamo nostalgia per cose che certamente sono accadute ma che – ahimè – non accadranno più. Così, se per gioco sostituissimo Elio con il Narratore de “Alla ricerca del tempo perduto” avremmo delle memorie di vecchie estati a Balbec, già trascorse e cristallizzate. Delicate, forse, come avrebbe voluto Proust agli occhi di Aciman. Ovviamente Oliver sarebbe stata Albertine e il Narratore avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per trattenerla con sé, anche contro la sua volontà. Ma soprattutto, il ricordo del loro amore sarebbe riemerso dall’impetuoso morso a una pesca dimenticata da qualche parte sul tavolo, forse ormai troppo matura.
Anna Pietroboni