Racconto: Come si diventa invisibili – Domenico Santoro

Malcolm trovò il giornalino in una cassa su in soffitta. Era giallo, consunto, ma le immagini restavano affascinanti. C’era qualche fumetto che non conosceva e articoli rivolti a un pubblico di ragazzini. Lui stesso doveva compiere dodici anni.
Il fumetto era ancora buono. Parlava dell’esploratore di un mondo alieno. La storia era piena di ombre e la luce penetrava da interstizi. Si parlava di mostri, di spaventosi mostri alieni, che però non erano svelati. Alla fine della storia si scopriva che questi mostri eravamo noi terrestri, e l’alieno era il protagonista. Un finale a sorpresa. Un buon finale, che reggeva l’urto del tempo. Malcolm ne fu affascinato.
Continuò a leggere quel fumetto che suo padre doveva aver letto tanti anni prima. C’erano degli articoli, scritti in un tono confidenziale e ammiccante. Come costruirsi una canna da pesca. Il modo migliore per farsi nuovi amici. Occhiali a raggi x che funzionavano davvero.
Quante parole. Le scorse rapidamente, fino a quando non fu fermato da un titolo: “Come si diventa invisibili.”
Cominciò a leggere.
«Malcolm!» disse la madre, dalle scale. «Malcolm, vieni di sotto, c’è zia Cinzia.»
La zia, con le sue smancerie e le insopportabili caramelle balsamiche con cui lo riempiva. In quel momento, l’invisibilità avrebbe fatto comodo.

«Malcolm!» lo chiamò il padre. «Aiutami a spazzare le foglie in giardino. Tu tieni i sacchi».
Altro lavoro di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

«Malcolm!» lo chiamò la professoressa, a scuola. «Vieni alla lavagna».
Storia, bleah. Il libro di storia era pieno di parole. Il giorno prima s’era limitato a leggerne qualcuna. Andò alla lavagna a fare brutta figura.

Quando ebbe un minuto libero dalle richieste degli adulti, tornò in soffitta per rileggere il giornalino. Di nuovo la storia a fumetti. La seconda volta non era altrettanto buona, perché oramai sapevi il finale.
“Come si diventa invisibili.”
Rilesse l’articolo da cima a fondo. L’oscuro redattore aveva scritto che quelle tecniche erano utilizzate dai più portentosi illusionisti di tutto il mondo. Erano segreti che si tramandavano di maestro in discepolo.
Per prima cosa (consigliava l’articolo) chi vuole diventare invisibile dovrebbe smettere di lavarsi, farsi crescere le unghie, indossare vestiti vecchi e logori.
“Questo posso farlo”, pensò Malcolm, pensando a quei lunghi bagni caldi a cui la madre lo obbligava.
Altre tecniche erano più ovvie, ma lì per lì uno non ci pensa. Smettere di parlare. Sedersi sempre in posti d’angolo. Regolare il respiro. L’articolo diceva anche che un ragazzo che vuole diventare invisibile non deve più rispondere al telefono. Era un giornalino vecchio. Malcolm pensò che questo potesse estendersi anche ai social.
Lesse e rilesse l’articolo, studiandolo come se la professoressa dovesse interrogarlo il giorno dopo. Si concentrò, proprio.
«Malcolm, vieni a bere il centrifugato!» disse la madre, dalle scale.
Centrifugato. Un’altra novità del momento che non lo faceva impazzire per niente.
«Dov’è Malcolm?» chiese il padre alla madre. «Quando c’è da pulire il giardino sparisce sempre».
«Sarà su in soffitta» disse la madre. «Non esce più di lì».
Il padre andò di sopra, ma non trovò il figlio. Si rassegnò a pulire il giardino da solo.
Quando ebbe finito, tornò dalla moglie, per la cena.
«Dov’è Malcolm?» chiese di nuovo.
Si girò.
«Eccoti. Che fine avevi fatto?».
«Ero in giardino, con te» disse lui, soddisfatto, perché suo padre non s’era accorto che per tutto il tempo era stato poggiato a un tronco.
«Va’ a lavarti, sei sporco di terra».
Il ragazzino andò di sopra, senza avere alcuna intenzione di pulirsi.
«Malcolm ha bisogno di un barbiere…» borbottò la madre, versando nella pentola l’acqua scaldata dal bollitore.
«Già» disse il padre, dando uno sguardo al giornale.

La professoressa di storia scorse il registro… Malcolm Canizzari, quello sempre impreparato. Da quando non lo interrogava?
Guardò in giro per l’aula.
«Malcolm?»
Nessuno rispose.
«Mi sa che oggi non è venuto» disse una al primo banco.
«Sì, non è qui.»
Tutti sarebbero stati capaci di nascondersi in bagno durante l’interrogazione di storia, e molti lo facevano. Richiedeva una destrezza ben maggiore sedersi in un angolino, col viso coperto di capelli e vecchi vestiti che si mimetizzavano con l’ambiente. Nessuno s’era accorto di lui.

«Dov’è Malcolm?» chiese la zia Cinzia, rovistando nella borsa per prendere le caramelle balsamiche.
«Bella domanda» disse la madre. «Provo a vedere di sopra. Ultimamente credo passi molto tempo in soffitta».
Peccato lui fosse con loro, in salotto, accucciato in un angolo a respirare piano.
La zia lasciò qualche caramella sul tavolino. Le avrebbe trovato quando sarebbe riapparso.

«Lei è la madre di Malcolm?» chiese la prof, il giorno del ricevimento dei genitori.
«Sì».
«Dov’è il ragazzo?».
«Era qui con me un attimo fa…» disse la madre. «Chissà dove sparisce sempre».
«È un bravo ragazzo» disse la prof. «Però non riesco mai a interrogarlo. Lo faccia venire a scuola, domani».
«Lo porto a scuola ogni giorno» disse la madre. Poi si domandò se, quella mattina, fosse effettivamente in macchina con lei. Non riusciva a ricordare.
«Lo faccia venire a scuola» ripeté la prof, stancamente. «È tanto che non lo interrogo».

La madre preparò la torta di mele, la preferita del figlio. Di solito, quando la faceva compariva sempre. La mise sul tavolo, quindi s’assorbì nel lavare i piatti. Quando si girò, vide che una grossa fetta era sparita.
«Ho portato le caramelle preferite di Malcolm» disse la zia Cinzia.
«Chi?».
«Malcolm. Vostro figlio».
«Certo» disse la madre. «Dev’essere di sopra, in soffitta».
«Sono le sue caramelle preferite» disse la zia, cospargendo il tavolino di fronte a sé.

La professoressa scorse il registro. Malcolm Canizzari…
«Che fine ha fatto Malcolm?».
«Credo si sia trasferito in un’altra scuola» disse un’altra delle compagne.
«Giusto» disse la prof. «Avevo scordato».
Si sentì un colpo di tosse.

«Avrei bisogno di aiuto in giardino» disse il padre, guardando sconsolato le foglie sparse per tutto il prato. Quindi, cominciò a pulirlo da solo. Ricordava di un… ragazzino, sugli undici anni, dal carattere schivo, che ogni tanto l’aiutava. Chi era? Un nipote? Il figlio dei vicini? Non riusciva bene a ricordare.

«Malcolm!» esclamò la madre, nel pieno della notte.
«Che c’è?».
«Non so. Ho avuto un incubo. Malcolm, Malcolm. Ho sognato che mi aggiravo per la casa continuando a chiamare questo nome».
«Che strano nome. Torna a dormire».
«Non ho tanto sonno.»
«Prendi una pillola di valeriana.»
La donna s’alzò dal letto. Andò di sotto per farsi una camomilla. Si sedette al tavolo della cucina per berla. Si tenne la fronte. Gli sembrò, per un attimo, di vedere qualcosa muoversi. Un topo? Erano in campagna, non era da escludersi.
Pensò che avrebbe dovuto avvisare il marito. Da qualche giorno sentiva come una presenza estranea, in casa.
Una pillola di valeriana. Da dove spuntava? Desiderava proprio riaddormentarsi.

Domenico Santoro

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

Lascia un commento

Torna su