Racconto: Un’enorme spugna compatta – Alice Rainis

La madre di Marina è morta d’improvviso, è morta d’infarto.

Marina non riesce ad addormentarsi. Troppi pensieri dolorosi le frullano dentro. Si gira e rigira atterrita da rimorsi. Avrebbe voluto dirle molte cose o forse una soltanto ma ora è tardi. L’avrebbe voluta in vita e invece l’ha uccisa. Proprio lei, sua figlia.
L’infarto ti viene perché ti si spezza il cuore. Marina glielo ha frantumato. Fa freddo e la coperta è troppo corta, le scopre le dita dei piedi. Il termometro in camera segna tredici gradi. Il rancore verso se stessa le brucia la fronte ma non la riscalda.

Marina da piccola balbettava. Suo fratello grande, Edoardo, non l’ha mai presa in giro, anzi la rassicurava e la sosteneva. Le faceva scandire bene le parole, ripetere, mettere assieme. Ma soprattutto stava in silenzio, non la interrompeva mai. Cercava di farla sentire a suo agio, conscio che quel blocco altro non era che la paura di farsi ascoltare, frutto, si diceva, di un padre padrone incapace di lasciare spazio al dialogo. Per questo incondizionato e affettuoso tacere Marina sarà sempre grata a suo fratello. Per tutto il resto lo ritiene uno stronzo.

Edoardo è professore di lettere al liceo, amato da studenti e famigliari vive con sua moglie e i due figli in un attico in zona Cordusio a Milano. Ha l’aria di un uomo che non si annoia mai. Trova il tempo per tutto, per leggere libri e riviste, per firmare petizioni contro i soprusi nel mondo, per organizzare cene alle quali invita coetanei e studenti con i quali dibattere su questioni esistenziali, per cucinare ricette esotiche, per stare al passo coi tempi e le serie TV, per andare in palestra due volte alla settimana, per correggere bozze, per ascoltare podcast in inglese, per tradire sua moglie.

Marina, invece, è una pubblicitaria. Si sveglia a malavoglia e passa gran parte delle sue giornate a crogiolarsi nei sensi di colpa. I sensi di colpa di chi come lavoro inventa frasi destinate a vendere pasta, di chi non legge abbastanza, non sta al passo coi tempi, non organizza cene e non va in palestra. Non che il tempo le manchi, Marina lavora molto meno di Edoardo. E, in fondo, sa quante cose ne sa lui: legge le news sul cellulare ogni mattina, ha una laurea e due master, una vita sociale dignitosa ed è ben amata da amici e parenti. Ma, al contrario del fratello, è poco entusiasta e si lascia andare alla pigrizia. Forse perché ha passato tutta l’adolescenza a voler dimostrare di essere brava quanto lui ora che ha trentadue anni lascia spazio alla vita senza mettersi fretta.

Una mattina di Settembre Marina decide di cancellarsi. Non di morire, solo di cancellarsi. Come le sia venuta questa idea ha poco a che fare con quella che lei chiama “la realtà 3D”, il quotidiano insomma. Si riconduce invece a un pensiero che ultimamente le si manifesta quando si stende sul letto la domenica pomeriggio.
Da bambina le capitava una strana sensazione, adesso che è adulta ne ricorda in modo vago il contesto: un’immagine di lei in piedi sul tappetino marrone del bagno, forse dopo aver fatto una doccia. Per quanto lucido e presente, il ricordo rimane difficile da spiegare. A volerlo fare succedeva così: la sua testa d’improvviso le sembrava ingigantire e diventare un tutt’uno con il collo, le spalle, l’intero corpo. Il tempo rallentava in sincronia con i suoi movimenti. Una percezione fisica di pochi secondi che sembrava durare un’eternità. Un senso di ovattamento che la faceva sentire come un’enorme spugna compatta.
Forse non era con la testa che iniziava la metamorfosi, forse si trattava della bocca, si rivede aprirla e chiuderla, in un tutt’uno con le guance il naso gli occhi, come se la sua faccia fosse sostituita da due mattoni di quelli che si usano per fare yoga. Sì, questo si sentiva diventare. Un blocco fatto di grossi, soffici mattoni. Quasi come diventasse quadrata.
Che età avesse non può dirlo, ma nel corso degli anni questo inspiegabile fenomeno si ripresentò più volte. E tutt’ora, seppur di rado, ritorna, vivido nell’attimo, frantumato e vago nel suo ricordo.
Quello che è certo è che durante questi momenti sfocati si sente sempre più sradicata dal suo essere carne, dal suo essere Marina, figlia, sorella e amica di.
Avvolta da questo senso di non appartenenza e protetta da un’invisibile campana di vetro, si sente timidamente libera. Così, silenziosa e palpitante di vita, decide di cancellarsi, di sparire, senza dare spiegazioni.

Drin.
“Pronto?”.
“Ciao Edo sono la mamma, ho ricevuto una mail da parte di Marina…”.
“Sì mamma anch’io… stavo per chiamarti”.
“Ho cercato di contattarla ma il telefono è spento”.
“Lo so, c’ho provato anch’io”.
“Ma cos’è successo? Ne sai qualcosa?”.
“No ma presumo sia uno scherzo. Forse sta pianificando una sorpresa o sarà qualcosa che ha a che fare con il suo lavoro”.
“Mm… mia figlia a volte mi preoccupa. Provi a sentire tu il suo ufficio?”.
“Sì certo, ti tengo aggiornata”.

Dopo aver appurato che al lavoro non ne sanno niente e Marina non ha preso nessun giorno di ferie, dopo averla chiamata ripetutamente per ore, dopo aver capito di essere in molti, tra amici e parenti, ad aver ricevuto lo stesso messaggio, è chiaro a tutti che non si tratta di uno scherzo. Marina se n’è andata e, secondo quanto scrive, non ha intenzione di ritornare.
Per prima cosa il fratello si reca dalla polizia che, con sua grande sorpresa, si dimostra poco interessata alle sorti della giovane donna.
“Signore, deve capire che non si tratta di sparizione, sua sorella è andata via di casa di sua spontanea volontà, lasciando tanto di lettera. Ve lo dice lei stessa inutile contattare la polizia, questa è una mia decisione, me ne vado”.
“Quello che non capisce lei, tenente, è la dichiarazione d’intenti nascosta in quelle parole… mi sembra evidente che mia sorella stia pianificando un suicidio… ripete mi voglio cancellare… il messaggio mi pare chiaro e lei mi dice non potete farci niente?”.
Il tenente, un uomo sulla cinquantina, grassoccio, comodamente seduto sulla poltroncina dietro alla sua scrivania, giocherella col tappo di una biro senza prestare troppa attenzione a Edoardo che, invece, non ha voluto accomodarsi e lo guarda con aria tanto stupita quanto infuriata. Se ne sta in piedi leggermente proteso verso il poliziotto che, non curante dell’incombente figura, continua a ripetere che non può essere d’aiuto e che forse no, non è proprio così scontato, che voglia uccidersi.

Molte possibilità si fanno strada nella testa di Edoardo e di tutti i conoscenti di Marina. Perché se ne è andata? non è un atteggiamento normale e lei, secondo tutti, è una persona normale, con la testa sulle spalle, una donna sveglia e appagata. Forse si è innamorata di un uomo misterioso e ha lasciato tutto per lui? Ma perché sparire così? chi è quest’uomo? cos’ha da nascondere?

O forse è improvvisamente impazzita?

A pensarci bene c’è qualcosa di sfuggente in Marina, qualcosa che non si nota al primo incontro.
È come se, dietro a quell’aria allegra e calda, si nascondesse qualcosa di freddo. La punta di un iceberg, minuscola, quasi invisibile. Tangibile, gelata.
Un promemoria all’eccesso.
Qualcuno di intimo, come Edoardo, sa che il confine tra quello spazio sicuro e quel qualcos’altro di estremo è molto labile, e Marina può scivolare da uno all’altro in maniera così osmotica da destabilizzare. Come un camaleonte, lei muta rimanendo la stessa.
Questa donna esuberante, che arrossisce facilmente, ama e odia senza compromessi. Questa donna ipersensibile è capace di ferire in modo infimo, quasi sadico. Se qualcosa di irrisolto le cova dentro lo tira fuori con una rabbia sottile, usando frasi violente, quelle che non andrebbero dette, quelle che non si dimenticano. Per quanto Marina ami la persona che le sta davanti, sembra goderci nell’umiliarla. Volutamente innesca la possibilità della perdita. Sfiora il limite, conscia del rischio che così facendo, qualcosa si potrebbe spaccare, per sempre. Un rapporto coltivato o un amore vero, rotto d’un tratto. La puntina di un iceberg e, sotto, un’immensa massa di ghiaccio in attesa.
Gongola in un limbo pericoloso, come un funambolo cammina tremante sul bordo.
Non cade, invece cala il silenzio.
Si crea un vuoto, quel momento in cui, dopo aver sbattuto porte e urlato ai quattro venti, si tace. Ognuno va nella propria stanza, chi accende la TV, chi si mette a leggere, tutti zitti, con ancora qualche strascico di rabbia addosso, offesi, rossi in faccia, a rimuginare sulle parole dette, su quelle che si potevano dire, sulla qualità della relazione, su cosa conta.
Quel momento, quella stasi, le dona un sottile senso di piacere. È sola, finalmente sola, e non se ne dispiace. Di riappacificarsi non ne sente l’urgenza, sta bene così, abbandonata, da suo fratello, dall’amica o dall’ipotetico fidanzato. C’è ancora della sofferenza palpabile nell’aria, ancora del rancore, caldo, umido, appiccicato alle pareti. Quell’abbandono, quel senso di solitudine esistenziale, la fa sentire viva, le dà diritto di essere la Marina che è, nella sua totalità, sine qua non.

Colui che sta dall’altra parte, l’amato, lo sa. Affranto dal contrasto tra la donna empatica che conosce e l’Erinni che lo ha appena affrontato, sa di aver perso.
Il suo ex londinese l’ha lasciata per questo. Anche Joe adesso è preoccupato, ha ricevuto la e-mail, non si dà spiegazioni.
Lui e Edoardo si stanno appunto chiedendo se Marina non sia diventata pazza d’un tratto.

Passa una settimana. Parenti e amici tentano il tutto, chiamano ospedali, amici lontani, stampano dei flyer e tappezzano Milano, postano sui social: scomparsa. Offrono soldi a chiunque abbia degli indizi. In pochi giorni iniziano a ricevere centinaia di piste che si rivelano contraddittorie e poco realistiche: Marina che fa la spesa all’Esselunga in Via Adriano, Marina a Brescia che passeggia in un parco, Marina con uomo più anziano in un ristorante a Brera, Marina all’aeroporto di Linate, Marina a Malpensa. Diventa difficile star dietro ai messaggi e Edoardo decide di assumere un ragazzino, uno dei suoi studenti, per smistare le e-mail, le chiamate i commenti su Facebook. 

Al dodicesimo giorno dalla sparizione, un avvocato torinese giura di averla vista su un treno per Parigi. Dice che Marina era seduta vicino a lui, ne è sicuro, l’ha osservata bene. Pare che Marina, infastidita da una signora che parlava a voce troppo alta al telefono, avesse, prima, gentilmente chiesto di abbassare i toni e poi, ignorata da questa, si fosse alzata di scatto e con gli occhi fuori dalle orbite avesse gridato “ma la puoi abbassare quella cazzo di voce?”. Il vagone intero si era zittito, giura l’avvocato.
Edoardo, nel leggere questa testimonianza, trova un barlume di speranza. Non può che essere lei. Quindi, Parigi.
Vorrebbe partire, cercarla nella Ville Lumiere, ma non può prendere ferie, la scuola è iniziata da poco. Così decide di andarci Joe.
Nel frattempo, continuano a mandarle delle e-mail, che puntualmente tornano indietro, a chiamarla a un telefono che suona sempre occupato, a lasciarle messaggi su social che non esistono più. Continuano a condividere la sua foto su Facebook. Grazie alla rete di amici e passa parola l’appello viene condiviso centinaia, migliaia di volte.
Un cugino di un amico di amici che fa l’Erasmus a Parigi giura di averla vista a Gare du Nord, a un distributore automatico, mentre tentava di comprare un biglietto. Siccome la vedeva in difficoltà aveva offerto di aiutarla:
“Pardon avez-vous besoin d’aide?”.
“Euh no français, italienne…”.
“Ah ma sei italiana, pur’io. Aspetta ti aiuto dov’è che devi andare?”. “Bruxelles”.
E così adesso Joe, con Marianna e Paola, sta andando a Bruxelles nell’attesa di qualche indizio che la identifichi, trepidante di recuperarla non appena avranno dettagli su dove si trova.
Su Facebook un utente senza storia e senza foto commenta Ma la potete lasciare in pace Marina? Se avesse voluto si sarebbe fatta sentire a quest’ora. Evidentemente da voi vuole scappare.
A questo seguono a fontana innumerevoli like, altrettanti dislike, insulti, faccine perplesse, dibattiti sulla libertà e sull’ego, supposizioni Ma sei tu che hai scritto, Marina?

Sparizione giorno 30.

La madre di Marina è morta, morta d’infarto.
La notizia ci mette poco a diventare virale. Proprio quando il pubblico si stava dimenticando di Marina, una nuova ondata di voci riprende vita.
Povera donna, che tragedia, che figlia egoista. I commenti si moltiplicano e di nuovo c’è chi accusa, chi difende, chi disprezza o si diverte.

Marina non riesce ad addormentarsi.

Alice Rainis

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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