Cronofagia: le nuove frontiere predatorie dell’ipercapitalismo

In un saggio del 2015 il filosofo francese Jean-Paul Galibert definisce cronofagia la capacità del sistema capitalistico dominante di fagocitare il tempo delle masse, procedendo a una progressiva erosione del tempo dell’inattività, estraneo – in linea teorica – al principio unico sul quale tale sistema è ontologicamente fondato: la redditività. Da tale concetto prende le mosse la riflessione di Davide Mazzocco, autore di Cronofagia. Come il capitalismo depreda il nostro tempo, edito da D Editore per la collana NEXTOPIE.

Oltre il tempo di lavoro     

Che non sia più il denaro ma il tempo a muovere il destino del mondo è ormai sotto gli occhi di tutti. L’uomo contemporaneo, infatti, è assopito in una servitù volontaria in virtù della quale è perversamente legato a un potere politico-economico che, sotto una veste seducente e rassicurante, dilata a dismisura i tempi del consumo e sottrae minuti e ore preziose dell’esistenza per farne una fonte di guadagno.

Secondo Mazzocco, “la bulimia dell’ipercapitalismo non può essere circoscritta al tempo di lavoro come in Marx, ma va adeguata ad un perimetro temporale più esteso che include il tempo libero”. Ciò è reso possibile da un vero e proprio «miracolo di riprogrammazione della mentalità» in grado di far apparire lo sfruttamento del tempo libero come la giusta ricompensa dello sfruttamento del lavoro. Così, una volta concluso il tempo effettivo di lavoro, l’individuo spende quanto guadagnato per i propri consumi e compie in più un lavoro di immaginazione (attraverso desideri e bisogni identitari) che il marketing riesce abilmente a capitalizzare.

Lavorare per Zuckerberg

Emblema di questa selvaggia cronofagia secondo Mazzocco è Facebook, un’azienda da oltre 2,27 miliardi di dipendenti, vero e proprio walled garden che ha fatto della raccolta dei dati il proprio core business. D’altronde le applicazioni del capitalismo digitale, lungi dall’essere gratuite, incrementano i capitali grazie alle generose offerte da parte degli utenti di dati, contenuti e tempo che una volta avrebbero richiesto dispendiose ricerche di mercato. A questo proposito si domanda l’autore:

Se vent’anni fa vi avessero chiesto di trascorrere, in media, 135 minuti al giorno a fruire e produrre contenuti testuali, fotografici e video senza alcun tipo di remunerazione, quale sarebbe stata la vostra risposta?

Ammazzare i “tempi morti”

Gli strumenti digitali oggi occupano gli interstizi che una volta sarebbero stati tempi vuoti, cancellando la noia dalle nostre vite e rendendoci potenzialmente reperibili 24/7. La tecnologia che alimenta l’inganno della velocità ha ucciso il concetto di “tempo morto”, generando un vortice di contraddizioni che mezzo secolo fa Guy Debord aveva già individuato nella società contemporanea che «cerca di guadagnare tempo con i cibi pronti per poi trascorrere una parte considerevole del tempo della propria giornata davanti ad uno schermo».

Anche il tempo della vacanza, il tempo libero per eccellenza, non lascia più spazio al vuoto e ai tempi morti e lo sbriciolamento del tempo rituale delle feste in un tempo libero ripartito durante tutto il corso dell’anno, sottolinea Mazzocco, diventa la condizione per creare occasioni di consumo senza continuità. Persino il sonno – accorciato progressivamente dalle invenzioni “luminose” pensate per tenerci svegli – diventa terra di predazioni di un capitalismo cronofago che, coerentemente con un progetto di società 24/7, ambisce alla sua abolizione definitiva.

Tornare “lenti”

Se allora nel prossimo futuro il valore del tempo dovrà essere messo “al centro della politica, delle decisioni sul Welfare, della pianificazione urbana e dell’organizzazione del lavoroCronofagia suggerisce quanto sia necessario ripensare il nostro modo di stare insieme. I limiti dello sviluppo si sono ormai palesati ed è necessario un rallentamento.

Rallentamento che inizia a prendere forma in quelle esperienze germinali come Slow Food, il movimento Slow Travel, l’organizzazione Slow Money o la piattaforma giornalistica Slow News che si fanno promotori del rallentamento come forma per sfuggire alle logiche quantitative del capitalismo.

Soltanto percorrendo questa strada, sostiene Mazzocco, possiamo prendere coscienza di quanta libertà ci siamo negati. E di quanto tempo ingiustamente sottratto dobbiamo oggi riconquistare.

 

Valerio Ferrara

Valerio Ferrara

Valerio Ferrara nasce a Napoli nel 1990. Dopo aver conseguito il diploma classico, frequenta la facoltà di Economia, maturando in seguito la decisione di abbandonare questo percorso e intraprendere gli studi umanistici presso il dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli studi di Napoli Federico II, dove consegue la laurea in Sociologia, presentando una tesi in Sociologia dei processi culturali e comunicativi. La sua più grande passione è il cinema, con una spiccata predilezione per quello d’autore. Amante della musica sin dall’infanzia, è stato membro dei Black on Maroon, una band alternative rock partenopea. Dal 2016 è redattore della rivista Grado Zero.

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