Racconto: Il provino – Beatrice Morra

«Avete fatto la vostra passeggiata mattutina?»
Schiaccia la sigaretta nel portacenere e ripete, con un tono diverso:
«Avete fatto la vostra passeggiata mattutina?».

Lui sta dormendo, in mutande, il lenzuolo avvolto intorno alle caviglie. Svuoterò il posacenere e farò colazione, pensa, ma resta seduta al tavolino di ferro bianco ricoperto di tabacco, scontrini e cartacce. Lancia un’occhiata allo schermo del cellulare.
Ha preso il regionale per tornare da Roma e si è fatta una doccia, finalmente una doccia, dopo il regionale notturno con le cuffiette nelle orecchie per rimanere sveglia e il culo intorpidito dai sedili.

Il bagno, come il resto della casa, è sporco, ma non tanto. C’è una catasta di asciugamani umide sul pavimento. C’è aria chiusa: ora svuoto il posacenere, faccio colazione, apro la finestra. Incrocia il suo sguardo nello specchio sul muro di fronte e non si alza.
Entra un po’ di luce dalle persiane abbassate. Si massaggia il collo ancora dolorante e nel frattempo lui si sveglia e si tira a sedere.
«Ciao. Com’è andato il provino?».

Forse ieri lui e Delia hanno bevuto, mentre lei in stazione aspettava quel regionale di merda. Aveva pensato a loro, che probabilmente si stavano ubriacando sul pavimento della cucina, e lei ad armeggiare con le macchinette automatiche per cercare di comprare un biglietto.
«Solito. C’erano poche ragazze per la mia parte».
«Ti prenderanno di sicuro. Ti ho sentita provare. Sarai andata una bomba».
Lei non risponde e torna a guardare il bordo di un bicchiere di vetro colorato, preso tanto tempo prima, insieme, al supermercato.
«Dai, vieni un po’ qui. Mi sei mancata, ieri».
Non può fare a meno di sorridere, ma tanto lui già non la sta guardando e si è steso di nuovo sul letto. Si alza, raccoglie un maglione da terra e lo poggia sullo schienale della sedia.

Dovremmo dare una pulita, dice, più tardi, risponde lui, adesso faccio il caffè, tu fatti una doccia, l’ho fatta appena sono tornata, e a che ora sei tornata, stamattina all’alba, e ora che ora è, è quasi mezzogiorno.

Ci sono due bicchieri di vino sul comodino, ma ci sono sempre bicchieri di vino ovunque, perciò il dato non è indicativo come sembrerebbe.
Ieri Delia è stata qui?, vorrebbe chiedergli, ma in realtà si rende conto che tutto sommato non le importa.
Vuole solo stendersi vicino a lui, e dire:
«Avete fatto la vostra passeggiata mattutina?»

Se potesse, penserebbe ad altro, ad esempio a lui e Delia che scopano tra quelle stesse lenzuola sotto le quali si sta infilando. O penserebbe che, tutto sommato, se pure non dovessero richiamarla, è solo una parte di merda, un riadattamento di merda in un teatro di merda fatto da un regista insignificante da un’opera di un autore tipo svedese o qualcosa del genere, che comunque sicuramente tutti, lei compresa, non avrebbero capito fino in fondo. Perciò, capirai.

Oppure, se potesse, penserebbe a una cazzata qualunque, ad andare a trovare i suoi, oppure a quel tipo che sul regionale dormiva con la mano sugli occhi e parlava nel sonno.

Invece riesce solo a pensare a quella frase, a provarla e riprovarla in testa cambiando e ricambiando tonalità, con gli occhi semichiusi sul palco vuoto, cercando di ricordare come era stato il suo provino, sperando con tutte le cellule contratte del corpo che fosse andata bene.
Si chiamava Ilda. Avrebbe avuto parecchie battute. Ripensava alla fila di ragazze sedute a terra, ciascuna in attesa del proprio turno.
Forse, lei era la più giovane tra quelle che aspiravano alla parte. Forse, questo l’avrebbe aiutata. O forse no.

Comunque ci sarebbero voluti giorni prima che chiamassero; però il cellulare se l’era portato sul comodino, a due centimetri dalla faccia, mentre lui iniziava a baciarle il collo, e poi la pancia, e lei continuava a pensare al provino, alla vergogna di tenerci così tanto, per una parte di merda, a quell’occasione mancata di qualche anno fa, che adesso magari chissà dove sarei, forse non ci sarebbe quest’aria chiusa nella mia stanza.

Beatrice Morra

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