Tutto quello che mi succede è colpa mia. Brevi frammenti umoristici

“Tutto quello che mi succede è colpa mia” (Echos, 2017) è un’agevole raccolta di racconti, una piacevole lettura che non manca di far affiorare sulle labbra un sorriso di complicità.

Il libro raccoglie semplici sequenze narrative che ricordano vagamente, per il loro carattere lapidario, fatti di cronaca riproposti sotto forma di gag noir.
I testi sono imbevuti di un senso grottesco tale da deformare con disinvoltura e abilità la percezione del reale anche nei suoi cardini apparentemente più solidi: i messaggi tradizionali e moralmente convenzionali da cui i singoli racconti prendono avvio vengono progressivamente corrosi per merito del sinistro umorismo di cui l’autore si serve.
Il paladino della giustizia Gerry, in seguito a un torto subito, si macchia in prima persona di perfidie per perseverare nella sua indole di giustiziere; l’omicidio della fidanzata per mano della sua dolce metà diviene in realtà il pretesto e il fine per una dichiarazione d’amore immortale; il tentativo di soccorrere un ferito si tramuta, in seguito a varie peripezie, nella decisione di lasciarlo morire.

Nei vari racconti, l’autore sembra disegnare con mano divertita una sottile satira dei vizi e difetti propri dell’essere umano, siano essi l’inveterata tendenza a discolparsi, l’attitudine a de-responsabilizzare quello che oggettivamente si mostra come un nostro errore, sia infine la presunzione di superiorità che attornia certe persone, spingendole a credersi vittima di incomunicabilità.

Quest’ultimo difetto è rappresentato nel racconto “Non ha senso ascoltare la teoria di un povero sciocco”, a mio avviso uno dei più simpatici e significativi della raccolta.
La struttura monologica di questo brano supporta e avvalora il solipsismo esasperato del protagonista, fermamente convinto, a causa della sua presunzione d’eccellere sugli altri uomini – e per questo volutamente emarginato – di esser soggetto a una congiura ordita contro di lui niente di meno che dalla Luna in persona.
E cosa c’è di più ingenuo, buffo e allo stesso tempo profondamente veritiero dell’atto di un simile uomo che, per tutta risposta alle proprie convinzioni, scaglia con veemenza un sasso al cielo nel vano tentativo di colpire la luna, di punirla per essersela presa con lui, credendosi ingiustamente perseguitato; un atto inconscio di de-responsabilizzazione che per tutta risposta torna come un boomerang a ferire l’uomo che l’ha scagliato, colpendolo gravemente sulla fronte e lasciandolo inerme e privo di sensi. Un chiaro esempio di come le colpe e i problemi, per quanto si cerchi di disseminarli in ciò che ci sta attorno nel vano tentativo di vanificarne le tracce, ritornino inevitabilmente alla loro origine.

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Spia e sostegno ironico della distorsione grottesca che percorre tutto il libro è il titolo, “Tutto quello che mi succede è colpa mia”, che si configura come fortemente antifrastico rispetto alle ideologie ventilate dai vari protagonisti.

Le vicende con i loro personaggi sono raffigurate con un tratto bidimensionale, sagomate sullo sfondo assurdo e umoristico: un cartonato esilarante che acquista il suo spessore solo in seconda battuta, conformemente alla teoria pirandelliana del comico e dell’umoristico.
Al lettore la facoltà di riempire quell’intercapedine sottile ma essenziale che permette alle figure di gonfiarsi e prendere vita, staccandosi dal reticolato grottesco per proiettarsi nella dimensione della riflessione, caricando quel sorriso iniziale di un’amara ma pur sempre comica constatazione.

Claudia Corbetta

Claudia Corbetta nasce a Bergamo nel 1995. Frequenta il liceo scientifico su consiglio dei genitori nonostante l’animo e il cuore siano sempre votati al settore umanistico. Un infortunio arresta la sua carriera atletica da quattrocentista ma le permette di avere più tempo per leggere, scrivere e perdersi in pensieri cavillosi. La sua dichiarata passione per la letteratura la porta a iscriversi alla facoltà di Lettere Moderne di Milano. Legge romanzi e ama la poesia. Ha sempre ritenuto la scrittura una parte fondamentale della sua vita. Giustifica il suo piacere di notomizzare attraverso il linguaggio con una citazione rivisitata di Thomas Mann, per cui se l’autore dei Buddenbrook sostiene che “l’impulso a denominare” equivarrebbe a un “modo di vendicarsi della vita”, la sua giovane età la porta ingenuamente a sostenere che per lei esso sia in realtà un “modo di conoscere la vita”.

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