The Lobster,quando l’amore diventa un problema

Parlare di The Lobster è alquanto difficile, consiglio la lettura di questo articolo post visione del film, in quando per poter raccontare la complessità dei temi trattati da Lanthimos dovrò fare riferimento a particolari della trama.

Che cos’è The lobster? The lobster è un film di fantascienza, ma senza viaggi stellari o improvvisi cambiamenti spazio-temporali.

Ambientato in un futuro non meglio precisato, che potrebbe essere benissimo, per alcuni tratti, il nostro presente. La società di The lobster non ammette la solitudine, le persone che non sono accoppiate vengono mandate in un hotel dove hanno 45 giorni per innamorarsi e tornare nel mondo, se allo scadere del periodo non hanno formato una nuova coppia, vengono trasformate in un animale a loro scelta. Per il protagonista l’animale scelto è l’aragosta, The lobster appunto, perché longeva, fertile e sguazza nel mare che a lui tanto piace. Il film è diviso in due atti e descrive due fasi della vita di un uomo, che affronta la solitudine come vuole la società in cui vive, e l’amore come desidera lui, nel farlo sperimenta due forme di costrizione diverse ma ugualmente drammatiche.

La prima metà del film è ambientata in un albergo alquanto sinistro, gestito da una coppia di tenutari, dove tutto è meccanicamente organizzato come fosse un campo di concentramento, l’orientamento sessuale, da registrare al momento dell’accesso, non prevede la casella “bisessuale”, la scelta è obbligata nell’orientamento eterosessuale o omosessuale, le coppie che si formano, salvandosi così dalla possibile trasformazione, sono in realtà coppie basate sulla somiglianza, la masturbazione viene punita infilando la mano dell’accusato in un tostapane acceso; la struttura dell’albergo è in aree meschinamente e opportunamente distinte tra spazi dove possono giocare e pranzare soltanto le coppie, e spazi dove possono pranzare e giocare soltanto i single. La verità di questo programma, carico di buoni propositi, nel rieducare questi uomini (prigionieri/volontari) alla vita di coppia, attraverso strategie chiare, emerge per ciò che è grazie all’inconfondibile stile di Lanthimos, ossia l’ennesimo lavaggio del cervello camuffato, al quale alcuni disperati si prestano. Si scopre allora che esiste un gruppo di ex-partecipanti che sono riusciti a scappare dall’albergo e si riparano nel bosco, vivendo in cattività. Anche questo gruppo, che in un primo momento sembra una via d’uscita per il protagonista, cela dei lati oscuri non meno macabri. Il suo leader propugna la castità, perché l’unico modo che tanto l’uomo quanto la donna hanno per realizzarsi è il farsi isola, imparando a contare solo ed esclusivamente su sé stessi, è assolutamente vietato intrattenere rapporti amorosi in questo gruppo.Review-The-Lobster-AFI-FEST-2015.png

Uno degli aspetti più notevoli di The Lobster sta nell’abilità del regista greco di gestire l’andamento allegorico che contraddistingue il film, senza lasciarsi sfuggire di mano la situazione.  In un film dove ogni singolo elemento non viene lasciato al caso la capacità di sfruttare sino in fondo ogni personaggio come componente essenziale all’interno di una storia che vive delle bizzarrie dei suoi protagonisti è una cifra indissolubile per questo genere di film.

Una satira sociale quella che Lanthimos mostra ai suoi spettatori, per certi versi violenta, dove non viene risparmiato nessuno: gli epigoni dell’ideale di coppia, i detrattori dei «modelli tradizionali», gli scettici a oltranza con tendenze autodistruttive, tutti celano in sé stessi, prima ancora che nelle rispettive istanze ideologiche, delle contraddizioni radicali, inconciliabili. Non c’è altro modo per andare in profondità a tali incongruenze se non sublimando la realtà attraverso l’allegoria, l’esasperazione. Nemico principalmente attaccato è la necessità di classificazione. Nel mondo di The Lobster, e spesso nel nostro, non ci sono sfumature, ombre o complicazioni ammesse: sei eterosessuale o omosessuale, solo o in coppia, un aspetto ben preciso ti identifica, uno altrettanto preciso ti lega o ti isola. In una società commerciale e normativa come la nostra definire bene le categorie è assolutamente necessario, ed è qui che Lanthimos colpisce. Quella di The Lobster è una critica fortissima contro l’uomo. Non esistono esseri umani buoni e giusti, o fingono oppure sono esseri individualisti e completamente anaffettivi. Le coppie che si formano, soltanto perché hanno un difetto comune, sono dimostrazione di quanto poco serva per fingersi anima gemella e potersi permettere una vita “normale” in un mondo che di normale non ha nulla.

5555fc9e1aaec7043ea4aa02_cannes-film-festival-2015-the-lobster-colin-farrell.jpgÈ un film insolito, difficile da classificare, concepito come una tragedia in un contesto alterato, in equilibrio tra verosimiglianza e assurdità come tutto il cinema di Lanthimos: La risata continua non è separata dalla riflessione, che a sua volta non si può scindere dalla bellezza formale e dalla violenza che a tratti, inevitabilmente, incombe nelle 45 lunghe giornate dei protagonisti. Tutto il film si muove in quell’area di confine tra orrore e ridicolo senza mai cavalcarle. La messa in scena di questa distopia grottesca ricorda a tratti Kubrick, che pare il vero punto di riferimento dell’opera di Lanthimos. L’unico difetto che si può imputare al film è una eccessiva devozione filiale verso Bunuel e l’ultimo omaggio a quel capolavoro imprescindibile che è Dogtooth. Il richiamo dell’attesa, e se in Dogtooth il quadro fisso è su un portabagagli chiuso dove, forse, stava dentro qualcuno che avrebbe scoperto la vita vera di lì a poco, ora la telecamera è su un tavolo di ristorante dove forse qualcuno tornerà. Perché l’unica cosa in comune per stare insieme in questo mondo è l’essere ciechi.

The lobster non è un film consigliabile a tutti, ma di sicuro è uno dei film più interessanti del 2015.

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

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