Moby Dick il celebre romanzo di Herman Melville, è diventato per noi lettori contemporanei un testo “canonico” della letteratura americana o meglio della così detta American Renaissance. Il romanzo doveva essere un resoconto di un racconto di mare, così come erano stati i primi racconti di Melville che tanto gli avevano portato fortuna. Un racconto di viaggio, avventura, con toni alquanto pittoreschi. Questa storia, però, ben presto assume un tono epico, metafisico, l’autore entra in rapporto con le grandi domande dell’uomo sul bene e sul male, tutto sullo sfondo di una comunità ben assortita, che nella sua particolare mescolanza etnica, rappresenta bene l’America del 1800. I vari personaggi che incontriamo sulla baleniera sono rappresentati dei vari modi di intendere la vita, ma il lettore è sostanzialmente guidato da Ishmael, la voce narrante, il filtro della storia.
Melville cerca di disegnare la sua storia al di là e sotto la superficie di quella che sembra una tipica, semplice avventura di mare su una baleniera. Il romanzo diventa una riflessione sul senso dell’esistenza, i lunghi monologhi del capitano Achab sconfinano nella follia, egli è ossessionato dal pensiero di dover uccidere la balena bianca, che è tutto fuorché una balena.
Per il puritano Melville la Balena Bianca è il male assoluto che nel nostro mondo sembra invincibile; e alla fine in effetti vince, facendo strage dell’intero equipaggio a eccezione del narratore dal biblico nome di Ismaele. Ciononostante Melville sembra suggerire con questa storia, che sussiste un’altra dimensione delle cose, una dimensione in cui Moby Dick potrebbe essere la parte malvagia ma non onnipotente, una dimensione che ci spinge a lottare e ad andare avanti anche quando ogni senso sembra smarrito, ogni sforzo pare senza esito. Leggere Moby Dick significa confrontarsi con i grandi temi biblici, l’imperscrutabile disegno divino, la pervicacia del male che distrugge l’intera umanità, il peccato dell’orgoglio, il più grande che trafigge il cuore umano, il rapporto stretto e incomprensibile tra la libertà umana e la necessità divina. Quel che caratterizza il romanzo Moby Dick, solo in apparenza una narrazione fantastica di avventure per mare, è la ricerca della verità o comunque la tensione verso il vero. In ciò consiste propriamente la questione etica: adeguare le proprie possibilità umane con l’infinito smisurato. Una tensione universale ben presente sotto la traccia dell’avventura; parlare dell’uomo, indagando su quel che lo trasforma, dando corpo ai suoi dilemmi, impersonandoli di volta in volta nell’animale mitico che è la balena bianca o nell’uomo che per tutta la vita ha un pensiero dominante: quello di trovare la verità e per questa via, eventualmente, di abbattere il male o almeno definirlo, dargli un nome. La balena bianca, pertanto, assume le connotazioni del simbolo mitico.
Tenendo in considerazione tutto quello che il romanzo di Melville ha lasciato negli animi di molti lettori, nel 2000 Nathaniel Philbrick ha pubblicato il suo romanzo Nel cuore dell’oceano- La vera storia della baleniera Essex , dal quale poi è stato tratto l’adattamento cinematografico di Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick, diretto da Ron Howard e con protagonista Chris Hemsworth. La storia, al contrario di quello che molti spettatori si aspettavano di ritrovare al cinema, non è la riproduzione cinematografica del Moby Dick di Melville, ma è la vera storia, quella dalla quale Melville ha poi tratto spunto per il suo romanzo; ecco infatti che troviamo sin dalle prime scene un giovane Herman Melville che nel 1850, in cerca d’ispirazione per il suo nuovo romanzo, si reca a far visita all’anziano Thomas Nickerson, sull’isola di Nantucket con la speranza di riuscire a farsi raccontare del tragico naufragio della baleniera Essex (che nel romanzo diventerà la Pequod) su cui Nickerson era in servizio come mozzo. Il vecchio marinaio, in un primo momento, si mostra riluttante, ma alla fine, spronato anche dalla moglie, decide di raccontare al suo ospite la vera storia del naufragio.
Era il 1820; il giovane ed esperto baleniere Owen Chase, nonostante le promesse fattegli dalla compagnia degli armatori di Nantucket di vedersi assegnare il comando di una nave tutta sua, viene costretto a imbarcarsi sulla baleniera Essex per fare da primo ufficiale all’inesperto ed arrogante George Pollard, preferitogli in quanto figlio di una conosciuta e rispettata famiglia di comandanti di baleniere. La spedizione però, dopo un primo momento di fortuna, si ritrova senza altre prede da reclamare, tanto che il comandante, nonostante il parere contrario della ciurma, decide di avventurarsi in un braccio di oceano ancora inesplorato, a ovest delle coste dell’Ecuador, dove poco prima era stato decimato l’equipaggio di un baleniere spagnolo da un’enorme balena bianca. Raggiunto il punto di caccia, la Essex si imbatte effettivamente in un branco di capodogli, ma nel bel mezzo della battuta di caccia compare proprio la gigantesca balena che con la sua forza distruggerà le scialuppe e l’intera baleniera Essex. L’equipaggio tenta di mettersi in salvo sulle lance rimanenti, andando alla deriva in acque sperdute. Per gli uomini in balia dell’oceano, senza cibo né acqua e perennemente inseguiti dalla balena bianca, inizia una drammatica lotta per la sopravvivenza, che li costringerà a commettere le azioni più crude pur di riuscire a tornare a casa.
Con una conoscenza più o meno buona della storia, quello che si ritrova andando al cinema a vedere Heart of the Sea è una storia di purezza e di vendetta consumata tra un uomo di mare e un animale. Il naufragio è estetico – quello di un film ambientato quasi interamente in acqua – ed ermeneutico. I film di Howard sono spesso ripiegati sul rapporto tra due protagonisti forti che si spingono l’un l’altro a sfidare i propri limiti. Basti pensare a A Beautiful Mind e naturalmente a Rush, film che più di ogni altro, forse, condivide con Heart of the Sea la passione per la relazione complessa tra due esseri umani alle prese con i reciproci fantasmi. Le scene di lavoro ordinario su una baleniera dell’8oo sono ipnotiche, la balena con i suoi immensi colpi di coda mette in discussione il ruolo dell’uomo sul pianeta, la paura che diventa terrore, viene sublimata e relegata negli sguardi attoniti e angosciati di chi ha visto la morte e la ha anche mangiata, lo sforzo titanico di un uomo contro la natura e la sua incosciente ossessione di raggiungere un obiettivo di sopravvivenza che mette in secondo piano tutto il resto, dalle balene sempiterne vittime alla rigida gerarchia marinara.
Il cast è lasciato molto in disparte e i personaggi secondari restano appena abbozzati nonostante degli interpreti di ottimo livello come Cillian Murphy, e il giovane Tom Holland, il prossimo Spider-Man cinematografico, la cui controparte anziana è interpretato dal fantastico Brendan Gleeson. Howard si concentra soprattutto sullo spettacolo visivo e la tangibile ricostruzione scenografica. Il regista prende lo spettatore e lo butta sul ponte di legno della Essex mentre la balena bianca attacca la nave in una maestosa sequenza catastrofica. Il film ha una struttura bipartita, e nella seconda parte – dall’attacco della balena in poi – riesce a cambiare marcia. La spettacolarità dell’azione si accompagna a una progressiva apertura verso un racconto più viscerale, “fisico” e concreto, come i corpi deperiti dei marinai. È in questo momento che Heart of Sea abbraccia le sue potenzialità di apologo universale, mettendo in scena l’antica lotta tra Uomo e Natura non come un requisito imprescindibile del progresso, ma come uno scontro disperato tra due forze opposte che devono imparare a convivere per la mutua sopravvivenza. Non ci sono buoni e cattivi, né giudizi morali: la Natura, semplicemente, interviene per ristabilire un equilibrio. Le inquadrature ravvicinatissime del regista – talvolta incollate a un volto o un’azione – valorizzano la fisicità carnale del film, il quale diventa una storia di corpi disfatti, martoriati, scavati e cannibalizzati, se non addirittura “esplorati” al loro interno, come accade al talentuoso Tom Holland quando viene calato nelle viscere di una balena per recuperarne l’olio. Oltre alle ossessioni, all’avventura, alla fame e alla sete in mare aperto, Heart of the Sea getta un rapido sguardo alla società della prima metà dell’800. La brutale pratica della caccia ai cetacei era l’unico modo per ottenerne la principale fonte di energia dell’epoca. Il grasso di balena, convertito in olio, era impiegato come combustibile per le lampade, prima che qualcuno scoprisse che quell’altro genere di olio del sottosuolo potesse servire allo stesso scopo. Il valore storico del film non è da sottovalutare ed è un peccato che la spettacolarità soffra per l’abitudine che il nostro occhio si è fatto di fronte ai film in cerca di epicità.
Anna Chiara Stellato
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L'ha ribloggato su innomedellanarchia97e ha commentato:
bek film