La lingua del tempo presente

La lingua del tempo presente di Gustavo Zagrebelsky, noto giurista della Corte costituzionale e professore di diritto costituzionale all’università di Torino, è un “piccolo” libro, nel quale l’autore riflette sull’impoverimento della lingua nel tempo presente come segno degenerativo della vita pubblica.  La lingua è manifestazione di ciò che effettivamente è colui che parla. IMG_20150926_183002

[…]noi non solo pensiamo in una lingua ma la lingua pensa con noi o per essere ancora più espliciti per noi.

Zagrebelsky analizza il tempo in cui viviamo attraverso la lingua, o meglio attraverso il linguaggio di uno dei protagonisti, se non “padrone”, della vita politica italiana . Come il filologo ebreo-tedesco, Viktor Klemperer che dedicò nel 1947, a guerra da poco conclusa, un saggio sull’idioma del Terzo Reich, da lui definito alla latina Lingua Terzii Imperii ( LTI ), così Zagrebelsky  conia il termine  “Lingua Nostrae Aetatis “ ( LNAe) per indicare “ una lingua che si forma lungo i canali comunicativi dentro i quali ci è dato di  navigare, nel tempo presente.

L’analisi si sviluppa in undici paragrafi, Il linguaggio politico  preso in esame è quello di questi ultimi sedici anni. Zagrebelski ci indica alcune espressioni linguistiche, che abbiamo assimilate senza senso critico, perché diventate di uso quotidiano.

Scendere (in politica): Scendere da dove? Da una vita superiore. Scendere dove? In una vita inferiore. Per quale ragione? Per rispondere a un dovere al quale sacrificarsi.

Contratto: il Contratto, un concetto mediato dalla dimensione imprenditoriale diventa “Contratto” con gli elettori (devoti), “è la sanzione dell’avvenuto riconoscimento del salvatore da parte dei salvati, da parte del suo popolo”  trasportato nella dimensione pubblica  e sottomesso all’influenza del parlare politico.

Amore: concetto che se spostato dal campo da cui origina, cioè degli affetti, diventa espressione violenta che provoca divisioni tra “noi che amiamo “ e  “voi che odiate”.

Doni: doni del capo ai sottomessi “il dono ha come corrispettivo la ricerca del consenso, dell’applauso del pubblico e il beneficiario del dono viene ridotto a strumento di captatio benevolentiae a favore del donante”.

Mantenuti: tutti coloro che non hanno conseguito fortuna (la fortuna del capo).

Popolo: un branco di persone tutte uguali, e sottostante, una moltitudine omologata.

Le tasche degli Italiani: un luogo intoccabile, un tabù dal quale proteggersi “lo scudo fiscale”,  “la vecchia idea di politica come redistribuzione di risorse in nome di equità, uguaglianza e solidarietà sociale è messa fuori gioco come un ferro vecchio”.

Assolutamente: Ciò che è assoluto esclude “il relativo”, che è ciò che costringe al confronto e induce a pensare. Invece occorre schierarsi “assolutamente”, categoricamente. “Chi non è con me è contro di me”: i rapporti tra gli esseri umani e la concezione della vita sociale e politica appartengono dunque  ad un modo bellico di pensare.

Gustavo Zagrebelsky passa  in rassegna una serie di “luoghi comuni linguistici” evidenziando come orami si sta arrivando al punto in cui sia questa lingua a pensare per noi, e come noi viviamo in una rete di significati che danno forma alla vita politica, che regolano e limitano la possibilità di parlare, forme e significati entrati così fortemente nell’ uso che si utilizzano senza nemmeno accorgersene.

“L’uniformità della lingua, lo spostamento di parole da un contesto all’altro e la loro continua ripetizione sono il segno di una malattia degenerativa della vita pubblica che si esprime, come sempre in questi casi, in un linguaggio stereotipato e kitsch, proprio per questo largamente diffuso e bene accolto. Oggi è politicamente corretto il dileggio, l’aggressione verbale, la volgarità, la scurrilità. È politicamente corretta la semplificazione, fino alla banalizzazione, dei problemi comuni. Sono politicamente corretti la rassicurazione a ogni costo, l’occultamento delle difficoltà, le promesse dell’impossibile, la blandizia dei vizi pubblici e privati proposti come virtù. Tutti atteggiamenti che sembrano d’amicizia, essendo invece insulti e offensioni. I cittadini comuni, non esperti di cose politiche, sono trattati  non come persone, ma come sudditi, anzi come plebe. Cosicché le posizioni sono ormai rovesciate. Proprio il linguaggio plebeo è diventato quel “politicamente corretto” dal quale dobbiamo liberarci, ritrovando l’orgoglio di comunicare tra noi parlando diversamente, non conformisticamente, seriamente, dignitosamente, argomentatamente, razionalmente, adeguatamente ai fatti.”

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

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