Due o tre cose che Chandler Bing ha ancora da dirci

L’ultima volta che ho rivisto Friends, in tempi non sospetti, ho riscoperto Chandler Bing. È stato come se l’avessi notato per la prima volta. Il mio personaggio preferito è sempre stata Phoebe, perché era quella che trovavo più divertente (sì, anche più di Joey). La mia predilezione veniva accordata in un modo forse molto superficiale, ma Friends era innanzitutto una sit-com, e quindi l’ho presa da subito per quello che era. Almeno, all’inizio è stato così. La seconda visione, in età più adulta e consapevole, mi ha portato a una nuova rivalutazione – ed è stato lì che mi sono accorto di Chandler. Anche se Ross e Rachel catalizzavano tutta l’attenzione, con una storyline fatta di tira e molla che ti portava inevitabilmente a fare il tifo per loro e a lasciare in secondo piano un po’ tutto il resto (anche qui, la coppia Chandler e Monica sarebbe arrivata più tardi); però, intanto, Chandler cominciava a dirmi qualcos’altro.

Innanzitutto, sullo stile. Sembrerà una banalità anche questa – e un po’ lo è, commisurata al resto – ma esiste una legge innegabile e non scritta per cui anche l’occhio vuole la sua parte. Ebbene, Chandler vestiva in modo davvero interessante, se non addirittura ammirevole, e sicuramente diverso rispetto agli altri suoi friends. Un modo che era frutto di uno studio sul personaggio e del lavoro di un reparto costumi, non fingiamo di non saperlo ovviamente: fatto sta che a portare quegli abiti era lui, e l’individuo che li porta – ovvero Matthew Perry – contribuisce sempre a creare il successo o meno di una scelta stilistica. Vi ricordate quelle camicie abbondanti con le maniche arrotolate, con quei gilet morbidi completamente aperti sopra? Mi riferisco a quello. Mi consentirete, magari, di fare un passo indietro sulla storia della banalità, perché la moda è una questione importante nelle nostre vite collettive (e se ancora credete il contrario o siete convinti di esserne fuori, allora dovreste ripassare la tirata d’orecchi di Meryl Streep a Anne Hathaway ne Il diavolo veste Prada). Pensate che, tanto per rimanere in tema, i tagli di capelli sfoggiati da Jennifer Aniston nelle varie stagioni ne hanno fatto un’icona di stile per tutti gli anni Novanta.

Tre anni fa, dalle pagine del Financial Times, si indicava proprio Chandler Bing come il prototipo di abbigliamento dei nostri tempi. Avete presente questa moda casual, intesa quasi nel vero senso della parola, come se ci si fosse messi addosso le prime cose trovate nell’armadio? Con quegli abiti comodi, cascanti – baggiest direbbero oltreoceano – che oggi indossano praticamente tutti, dalle star dell’hip-hop agli sportivi più cool, passando per i sempiterni divi di Hollywood e le nuove star del web, in un revival del decennio in cui Friends andava in onda? Ecco, Chandler did it first (o comunque, a memoria nostra, sfiora il primato). «It’s unexpected, but Chandler Bing, a character who arrived on our screens in 1994 and was more known for his dad jokes than his dress sense, has become a wardrobe pin-up for our times», si legge infatti sul sito. E il Financial Times non è mica il solo: negli stessi anni, Vogue Spagna proponeva il look à-la-Chandler come ispirazione per l’autunno/inverno 2020/21. Il motivo: i pantaloni larghi, le camicie a quadri, il vestiario generalmente oversize e, naturalmente, gli immancabili gilet. Insomma, probabilmente non lo saprete, ma anche voi quando vi alzate al mattino vi vestite come Chandler Bing.

Il che sarebbe già un motivo sufficiente per celebrarne i meriti al di fuori dello schermo – oltre, cioè, quello che poteva essere l’appeal del suo personaggio sul pubblico di Friends. E invece ne vorrei aggiungere un altro, magari più interessante, o rilevante, giudicate voi. Sto parlando del modello di mascolinità proposto dal personaggio. Come certamente ricorderete, Chandler non è un donnaiolo, né tantomeno può dirsi esperto nell’arte del corteggiamento. Anzi, ogni tanto ha pure la iella di innamorarsi della donna sbagliata (come la fidanzata del suo migliore amico, per esempio). Ma non è tutto: perché a Chandler non interessa la conoscenza carnale fine a sé stessa. No, lui vuole innamorarsi. Chandler ha bisogno d’affetto, e lo grida pure: potrà sembrare, anche questa, una banalità, e invece è esattamente l’opposto, tanto che in queste ore sono molte le testate che stanno ricordano la celebre battuta.

Diciamocelo, gli uomini sono per tradizione quelli che conquistano, non quelli che capitolano. Perlomeno, una lunga tradizione narrativa ce li ha presentati così, ed è così che ancora oggi continuiamo a immaginarceli. Nella coppia, invece, Chandler è quello incapace di lasciare una ragazza ingombrante e fastidiosa per non rimanere da solo (Janice, of course) – ma non uno di quelli che a casa hanno moglie e figli e fuori vanno a letto con chiunque. No, al contrario, Chandler è leale, è gentile, più di quanto un maschio potesse essere allora; forse è anche per questo motivo che l’altro sesso ipotizza di frequente che sia gay, con una gag sulla sua presunta omosessualità diventata poi ricorrente. Se state pensando che una cosa del genere oggi sia abbastanza superata, allora devo dirvi che un uomo con una sensibilità come quella di Chandler Bing potrebbe ancora destare sospetti – lasciatemi passare l’espressione – sul suo orientamento sessuale.

Due anni fa, il giornalista Matt Baume disse, non a caso, che Chandler aveva una sensibilità gay, intendendo con questo una propensione all’esternazione della propria emotività che in un maschio eterosessuale è difficile (almeno fino a quel momento) riscontrare. Non è, infatti, questione di gender o affini: si tratta della rappresentazione di un individuo di sesso maschile che rivela, seppure involontariamente, la propria fragilità, i propri traumi sentimentali e un’insicurezza che appartengono anche ai maschietti, compresi quelli che non lo ammetterebbero mai. È così che alla fine sono giunto a pensare che Chandler fosse molto più avanti del tempo in cui viveva, e probabilmente il personaggio più interessante di tutta la serie. Sicuramente quello con qualcosa di molto attuale da dirci sull’idea di mascolinità e di virilità – unitamente a un senso dell’ironia che non dimenticheremo mai. Con buona pace di Phoebe e Joey.

Andrea Vitale

Andrea Vitale

Napoletano di nascita, correva l'anno 1990. Studia discipline umanistiche e poi inizia a lavorare nel cinema. Nel frattempo scrive, scrive, scrive sempre. Ama la musica e la nobile arte delle serie tv, ma il cinema è la sua prima passione. Qualunque cosa verrà in futuro, non abbandonerà la penna. Meglio se ci sia anche un film di mezzo.

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