Racconto: La roba – Matteo Candeliere

Racconto: Milleuno
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Prima che la puzza di fumo si stacchi dai muri e dagli schienali di vimini delle sedie ci vorrà un’eternità. Giorni trascorsi a riempire sacchi dell’immondizia e notti con le gambe a penzoloni giù dal balcone come quando la mamma era viva.

Mia sorella è da dieci anni che non la vedevo. Se sia rimasta la stessa non saprei dirlo, perché quando le parlo ho l’impressione che sia nascosta dietro una parete, che non faccia uscire nemmeno una sillaba prima di sottoporla alla censura.

Il giorno del funerale ha aspettato fuori dalla chiesa. Ha visto arrivare tutti quei vecchi, mi ha guardato mentre stringevo loro le mani, e non ha nemmeno fatto il gesto di alzarsi. E dato che  quando a cose fatte le ho chiesto di andare a casa ha inventato impegni inderogabili, ho fatto quello che ho sempre fatto con lei: l’ho lasciata lì e me ne sono andato.

Mentre camminavo, con il cimitero alle spalle, ho sentito i suoi passi tra i grilli, la litania di un’ombra che mi seguiva.

Forse è il suo modo di elaborare il lutto. Il mio è stato correre qui e mettere tutto negli scatoloni. Scocciare, accatastare, buttare via. E in tutto questo mia sorella ha continuato a venirmi dietro, a camminarmi alle spalle come quella sera nel campo dei grilli.

«Me lo potevi dire, che era malata».

Guido in silenzio. Appoggio la testa allo schienale e vorrei chiudere gli occhi, addormentarmi e scoprire che è già tutto finito. Ma continuo a guidare in silenzio. Non parlo quando guido.

Mia sorella.

Qualcosa si è spezzato dentro di lei, quando ha trovato tutta quella roba nell’armadio. È da lì che ha cominciato a diventare la persona che è oggi, e a nulla valsero le urla, i rimproveri e le scuse, perché quello che si ruppe quel giorno, chiamala fiducia se vuoi, o ingenuità, non poté più essere rimesso insieme. Lei si chiuse in camera e cominciò a piangere, io vagabondai per le vie del quartiere, indeciso se chiamare la polizia, un prete o un neuropsichiatra.

«È dentro una bara adesso», le dico. «Non ti fa mica nulla, se entri». Ma mia sorella resta sulla porta. Nell’ingresso ogni cosa è rimasta congelata nella posizione che occupava quando eravamo ragazzi. Il portaombrelli, le foto di mamma e papà, le pentole di rame di chissà quale vecchia parente.

Percorre il corridoio come una funambola – un passetto alla volta, il respiro veloce – e si ferma di fronte all’armadio. Fosse stata un’estranea, a fare quello che ha fatto, chissà, la mia sorellina non l’avrebbe presa così tanto male, ma quella donna non era un’estranea, quella donna…

«È mia madre, Gesù Cristo».

«Era», la correggo.

«Come?».

«Era tua madre. Adesso è una morta qualsiasi. Un pezzo di carne».

Vorrei consolarla ma peggioro soltanto le cose.

Per sgomberare l’appartamento telefoniamo a un traslocatore. È un omone dell’est che sembra taciturno, ma si porta sempre dietro almeno una storiella da raccontare. Una vecchia con un coniglio nella doccia, un frigo che puzza di carogna. Gli offro una birra, ma la rifiuta solennemente: quando lavora non beve.

Il contratto della luce è stato rescisso prima che nostra madre morisse. Gli ultimi anni li ha trascorsi in una casa di riposo e noi, oh noi abitiamo lontano adesso, il più lontano possibile da questo posto. Avremmo fatto qualsiasi cosa pur di non restare qui.

«Cominciamo alle cinque», mi dice.

«Non è un po’ tardi?».

«Le cinque del mattino».

Il traslocatore si infila l’anticipo in tasca e mi lascia lì come un fesso. È troppo presto. Dobbiamo passare la notte qui.

La polvere si è insinuata tra le assi del pavimento, negli infissi, nella stoffa delle poltrone. La nostra stanzetta è umida e sa di nicotina. All’idea della notte che verrà mia sorella comincia a gridare. Tu sei pazzo, tu sei pazzo. Per calmarla la prendo per un braccio. Le faccio male e me ne vergogno. È una donna di quarantatré anni, non una ragazzina a cui dare i pizzicotti.

«È solo una notte. E poi ci sono io».

Un ragazzo si è messo a guidare impasticcato.

Qualcuno ascolta il telegiornale. Casa nostra è silenziosa invece, orfana delle mille voci della tv e buia senza le lampadine che una volta ne illuminavano i confini.

Un ragazzo si è messo a guidare impasticcato e i titoli di stato sono crollati.

La sera l’aspettiamo sul balcone. Dentro, dal caldo non si respira.

«A che ora hai detto che viene?».

«Alle cinque».

Abbasso lo sguardo sull’orologio che ho al polso e in uno spicchio d’occhio la vedo fare lo stesso.

«Gesù Cristo. Ancora otto ore».

Per superare la notte abbiamo portato dei sacchi a pelo – mia sorella di dormire nel letto proprio non ne vuole sapere – e una bottiglia di rosso. Seduti sulle piastrelle del balcone, le gambe a penzoloni, beviamo in silenzio. Non parlo quando bevo.

«Vado a fare un piscio», le dico, e temo che abbia un’altra crisi. Ma non distoglie lo sguardo dalla città che si spegne.

Quando torno la trovo di fronte all’armadio. In mano ha la bottiglia vuota, lo sguardo lanciato nell’oscurità della stanza. Ne seguo la direzione già sapendo dove mi porterà: vetri macchiati di unto, maniglie sbeccate, vent’anni fa. Vorrei dire qualcosa, ma indugio un secondo di troppo, e così è lei a parlare per prima.

«L’armadio», mi dice. «L’hai già aperto?».

Non ci posso credere. Di nuovo. Me lo sta chiedendo di nuovo.

«L’armadio è vuoto dal 2001. Ha buttato tutto quando l’hai scoperta. E adesso è morta».

Ma non serve a niente, e per quante volte glielo si possa ripetere non servirà mai a niente. Continuerebbe a rivivere quella mattina anche se vedesse l’armadio bruciare.

«Nostra madre. È stata nostra madre».

Vorrei consolarla, ma mi fa male la testa. Non avremmo dovuto risparmiare sul vino. Se parlo rischio di peggiorare soltanto le cose. Allora mi accuccio in un angolo e non le rispondo, gli occhi di entrambi fissi sulle ante sgangherate, gli angoli sbeccati, e i fantasmi della roba.


Matteo Candeliere è nato e cresciuto a Torino. Ha scritto racconti pubblicati su diverse riviste letterarie indipendenti.

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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