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“Vampiri conosciuti di persona”: quando i ricordi diventano vampiri:

È come se loro tornano fuori, capisci: fuori dalla tomba, ogni volta che lui li nomina nei suoi pensieri. Perché tutti i morti sono vampiri, tranne i non amati. (Vampiri conosciuti di persona, R. Barbolini, Milano, La nave di Teseo, 2017, p. 53)

Tutti hanno paura di qualcosa

Esistono timori tangibili che hanno la sembianza di un insetto o l’altezza di un balcone al decimo piano, ma esistono anche paure effimere, trasparenti e impalpabili, la cui inconsistenza stuzzica la nostra fantasia e le concede lo svago di abbozzare a suo piacimento i confini di una sensazione. È il tentativo di concretizzare un nemico invisibile; si sa, è più facile lottare contro qualcosa che si può vedere. In questo esorcismo è l’arte a soccorrerci, lei che impavida si ciba delle nostre paure e ne fa prodigiosamente olio per pennelli e inchiostro per penne. 

“Vampiri conosciuti di persona”

Dalla penna di Barbolini, resuscitati da un passato tutto personale, prendono vita i “Vampiri conosciuti di persona” (Roberto Barbolini, Milano, La nave di Teseo, 2017), incarnazioni di personaggi ora reali, ora fantastici, impreziositi da una carica narrativa in grado di renderli molto più che semplici ricordi sbiaditi. I racconti che compongono l’opera si susseguono scandendo una rievocazione biografica romanzata, quasi fosse una seduta spiritica in cui l’autore fa i conti con i propri vampiri.

I vampiri sono ciò che non c’è più, sono porzioni del passato che affondano prepotentemente i denti nel presente lasciandone i segni: è l’imbarazzo di un bambino che chiede l’autografo a un titano del pallone, è il misterioso segreto di un nazista che cela origini ebree, è la spasmodica ricerca di uno Stradivari nascosto da un avo; sono loro i vampiri che vivono tra le pagine di Barbolini, passati che irrompono nel presente sotto forma di ricordo o come conseguenza diretta.

Vampiro sui generis è Modena, città natale dell’autore e da lui eletta città vampiresca: 

Per noi la vera Modena è sotterranea e spettrale: un’autentica città di vampiri. (…) Sarebbe davvero troppo facile scoprire l’anima gotica della città andando per cimiteri. Basta invece aggirarsi d’inverno sotto certi portici malinconici del centro storico invasi dalla nebbia, o in qualche anonimo vialone periferico d’autentica desolazione postumana. (p. 43)

Il dottor Morte

Nell’ultima parte del libro, fa il suo cupo ingresso il dottor Morte, emblematica figura dalle tinte grottesche e vampiro per eccellenza. L’episodio si presenta come una resa per metà documentaristica e per metà affabulatoria di un evento reale: l’esperienza del coma. Il racconto si incentra sulla sfegatata lotta dell’autore e testimonia la tenace resistenza e il morboso attaccamento alla vita che Barbolini sperimentò in tale condizione.

La scrittura viene messa al servizio della memoria ed esorcizza una paura nel tentativo di fare luce, come può, su un mistero insondabile, il mistero del dottor Morte:

La scienza la combatte coraggiosamente con le sue armi, ma è ancora ben lontana dal decifrarne la trama. Sarei ridicolo a pretendere di poterlo fare io. Se c’è una cosa che questa esperienza mi ha insegnato, è l’umiltà. (…) Quello che vi ho raccontato è il mio viaggio, unico e (spero) irripetibile. (p. 237).

Claudia Corbetta

Claudia Corbetta

Claudia Corbetta nasce a Bergamo nel 1995. Frequenta il liceo scientifico su consiglio dei genitori nonostante l’animo e il cuore siano sempre votati al settore umanistico. Un infortunio arresta la sua carriera atletica da quattrocentista ma le permette di avere più tempo per leggere, scrivere e perdersi in pensieri cavillosi. La sua dichiarata passione per la letteratura la porta a iscriversi alla facoltà di Lettere Moderne di Milano. Legge romanzi e ama la poesia. Ha sempre ritenuto la scrittura una parte fondamentale della sua vita. Giustifica il suo piacere di notomizzare attraverso il linguaggio con una citazione rivisitata di Thomas Mann, per cui se l’autore dei Buddenbrook sostiene che “l’impulso a denominare” equivarrebbe a un “modo di vendicarsi della vita”, la sua giovane età la porta ingenuamente a sostenere che per lei esso sia in realtà un “modo di conoscere la vita”.

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