La nozione è stata concepita in opposizione a quella di «luogo antropologico», ovvero quel luogo che è caratterizzato da tre tratti distintivi: identità, relazione e storia. Il luogo di nascita, ad esempio, è costitutivo dell’identità individuale e contemporaneamente situa chi lo abita in una configurazione di insieme nella quale gli elementi sono distribuiti in rapporti di coesistenza. Ed è necessariamente storico nella misura in cui colui che vi vive può riconoscervi dei riferimenti, delle tracce che non devono essere oggetto di conoscenza. In tutti questi casi, quindi, l’organizzazione sociale viene trascritta nell’organizzazione spaziale, fornendo a chi la osserva un’immagine chiara della struttura sociale.
Dopotutto la surmodernità impone alle coscienze individuali esperienze e prove del tutto nuove di solitudine, direttamente legate all’apparizione e alla proliferazione dei non luoghi. Infatti se i luoghi antropologici creano un sociale organico, i nonluoghi creano una «contrattualità solitaria». Perché con l’espressione nonluogo si indicano certamente quegli spazi costituiti in rapporto a certi fini (trasporto, transito, commercio, tempo libero), ma si fa anche riferimento al rapporto che gli individui intrattengono con quegli spazi. La mediazione, infatti, che stabilisce un legame tra l’individuo e i nonluoghi si estrinseca attraverso le parole o i testi che essi ci propongono: il divieto di fumare affisso su un cartello, le istruzioni dello sportello automatico di una banca, l’annuncio di un altoparlante che segnala l’orario di chiusura di un centro commerciale.
Certo, il nonluogo è questione di prospettive. Nella realtà nessuno spazio si può definire in maniera assoluta luogo o nonluogo. Un aeroporto, ad esempio, non rappresenta un nonluogo per coloro che vanno a lavorarci ogni giorno, cementificando rapporti e sviluppando abitudini. Così come un ipermercato può fungere da punto d’incontro e di aggregazione per giovani delle periferie urbane. La verità è in definitiva contestuale. A causa del cambiamento di scala della vita umana che è intervenuto con l’avvento della globalizzazione, ormai il nonluogo è il contesto di ogni possibile luogo. Così il “mondo-città”, la realtà globalizzata degli affari, dei media e del turismo, dove i mezzi di trasporto e di comunicazione propongono un’immagine idealizzata del pianeta in cui tutto circola e tutto è raggiungibile, è esso stesso il nonluogo e il contesto della “città-mondo”, la megalopoli che accoglie tutte le diversità del pianeta e le sue contraddizioni.
L’uomo avrà sempre bisogno di “fare luogo” per investire di senso ciò che lo circonda. In futuro allora i conflitti, lungi dall’essere terminati, riguarderanno il bisogno di opporsi ai nonluoghi e di creare relazione, identità, cultura all’interno di un territorio, in modo tale da favorire l’ingresso in un’era in cui poter cominciare a pensare al globo terrestre come unità. Probabilmente ha ragione Augé, siamo alla fine della «preistoria della società planetaria». La storia è appena cominciata.
Valerio Ferrara
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