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I tormentoni che abbiamo dimenticato

I tormentoni estivi, qui in Italia, sono sempre esistiti. Pensate a Vamos a la playa dei Righeira o ad Abbronzatissima di Edoardo Vianello. Oppure, prima ancora, a Sapore di sale di Gino Paoli. Pensate a tutte quelle manifestazioni estive di cui conserviamo ricordi mitici come Un disco per l’estate, Cantagiro e Festivalbar. Ma è negli ultimi anni che i tormentoni sono diventati una faccenda incredibilmente seria. Praticamente, oggi come oggi i cantanti italiani hanno due occasioni per dimostrare quanto valgono: la prima è Sanremo, e la seconda è la stagione estiva. Se non sei entrato a far parte della kermesse musicale più antica del paese, puoi sempre rifarti con un tormentone.

I grandi nomi della musica dell’ultimo decennio passano tutti da qui, e quelli che se ne infischiano sia dell’Ariston che della hit da spiaggia sono sempre meno. La vera novità dei nostri anni, però, non è il fatto che a cimentarsi coi tormentoni siano praticamente tutti, quanto piuttosto che le canzoni che ci accompagnano da giugno a settembre poi restano. Le radio continuano a farcele ascoltare anche quando i lidi chiudono i battenti. I cantanti le ripropongono ai loro concerti. Le pubblicità se ne servono per mesi. Poi, l’anno seguente, ritornano in rotazione accanto ai nuovi successi. Forse anche perché, da qualche anno a questa parte, gli interpreti sono più o meno sempre gli stessi, da Fred De Palma a Rocco Hunt, da Baby K a Elodie, da Fedez a Giusy Ferreri, passando per Irama, J-Ax, Jovanotti e Fabio Rovazzi, con qualche irregolare incursione (vedi alla voce Orietta Berti). Ma davvero, sulla strada del tormentone ci sono passati proprio tutti, e alcuni, a volte, diventano leggenda: come nel caso di quei classici di Gino Paoli, dei Righeira e di Edoardo Vianello citati in apertura.

La cover del brano Sapore di sale di Gino Paoli

È più o meno a partire dagli anni Ottanta che ha iniziato a intensificarsi la produzione dei tormentoni, frivoli come piace a noi, danzerecci quel tanto che basta e soprattutto con un ritornello che bene o male ricordiamo tutti. La più grande capacità del tormentone è proprio questa: adattare due o tre frasi vincenti su una melodia facilmente intonabile – soprattutto, e incredibilmente, però, conta il testo. La musica da sola non basta, perché la gente ha bisogno di ripetere qualcosa mentre sculetta sulla spiaggia o sorseggia il proprio drink, fosse anche un’accozzaglia non-sense come il brano più famoso delle Las Ketchup. Bastano poche parole, come per esempio le fatidiche «sole, cuore, amore» che cantava Valeria Rossi. Provate a fingere di non ricordarvene, non vi crederà nessuno. Oppure, giurate di non aver mai inserito il trittico sole, cuore, amore in una conversazione, come una di quelle citazioni popolari che può cogliere chiunque.

C’è stata però una bella parentesi, che coincide grossomodo con gli anni Novanta e i primi del nuovo millennio, in cui la musica italiana ci ha regalato dei veri e propri tormentoni, non tutti pensati necessariamente per l’estate. In alcuni casi, si tratta di brani presentati proprio a Sanremo e che sono sopravvissuti poi in classifica fino alla chiusura degli ombrelloni. Comunque, l’importante è che rispondessero sempre alla caratteristica di memorabilità del testo, a volte costruito davvero con quattro versi in croce. In mezzo a quel periodo ci sta di tutto: la discodance di matrice europea, i rapper prestati alla musica pop, le canzoni in inglese che superano i confini nazionali, le cover dei successi del passato, i ritmi latineggianti, le incursioni dell’R&B, le prime avvisaglie di una dimensione pop più vicina alle sonorità internazionali che alla tradizione leggera italiana. E poi, gli idoli dei teenager, le boyband, le girlband, i dj e le meteore. Soprattutto le meteore: perché la storia musicale di quegli anni è piena zeppa di cantanti che sono durati quanto il loro brano di maggior successo in classifica. Capita che alcuni di loro si siano riciclati in conduttori televisivi o radiofonici (anche con notevole successo). Alcuni altri, invece, se ne sono andati troppo presto.

Comunque sia, i loro nomi restano legati a dei tormentoni che ci hanno accompagnato per un po’ e poi sono caduti nell’oblio. Le radio non li trasmettono quasi più. Spariti anche dai radar della televisione. Per molti di loro, nemmeno un’ospitata a I migliori anni di Carlo Conti. Eppure ci facevano impazzire, li abbiamo cantati tutti e siamo certi che molti di voi li ricordano ancora. In quest’epoca in cui l’orecchiabilità è d’obbligo e il tormentone è imprescindibile, forse sarebbe ora di ridare loro la dignità che meritano. Nelle prossime settimane, vi presenteremo una classifica dei tormentoni post-millenovecentonovanta, rigorosamente cantati da cantanti italiani (ma non per forza in lingua italiana) ingiustamente dimenticati, stilata combinando insieme il tasso di popolarità con il grado di trascuratezza odierna (in maniera del tutto arbitraria, ovviamente). Nella speranza di restituirgli ancora un po’ di visibilità. Perché la loro storia è la nostra storia.

Valeria Rossi nel videoclip di Tre parole

Andrea Vitale

Andrea Vitale

Andrea Vitale nasce a Napoli nel 1990. Frequenta il liceo classico A. Genovesi, e nel 2016 si laurea in Filologia moderna alla Federico II. Ama la musica e la nobile arte dei telefilm, ma il cinema è la sua vera passione. Qualunque cosa verrà in futuro, spera ci sia un film di mezzo. Magari, in giro per il mondo. Attualmente frequenta un Master in Cinema e Televisione.

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Andrea Vitale

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