Una maternità sottratta e una miracolosa. La possibilità di scegliere se essere complici o opporsi al male, se ridursi all’abnegazione di sé o emergere con le proprie forze. Sono questi i grandi temi che percorrono il romanzo di Liliana Blum, Il mostro pentapodo, pubblicato per la prima volta da Tusquets Editores nel 2017, tradotto da Sara Papini in Italia per Cencellada edizioni. Blum, nata a Durango in Messico, è autrice di romanzi e raccolte di racconti di successo, tra cui spicca La maldición de Eva, la prima ad essere stata tradotta in inglese.
La pedofilia di Raymundo, osservata da diversi punti di vista, offre in questo thriller che si trasforma gradualmente in un horror la possibilità di una riflessione sulle peggiori angosce che animano la mente umana. Se, da un lato, la storia d’amore tra Raymundo e Aimée sembra offrire inizialmente l’opportunità di una normalizzazione per le turbolente vite dei due protagonisti, dall’altro, ben presto la loro unione lascerà emergere il carattere patologico della visione sessuale di Raymundo, le sue perverse ossessioni che lo condurranno fino al rapimento di Cinthia. In un alternarsi di narrazione in terza persona e pagine di diario in prima, Blum sceglie di raccontare la disfunzionalità di un amore malato per analizzare e mostrare al lettore gli anfratti più bui della coscienza umana.
Ringrazio l’autrice per la disponibilità e Sara Cano per l’organizzazione dell’intervista, la traduzione e la gentilezza.
Come nasce l’idea di scrivere questo romanzo e di affrontare un tema così delicato come la pedofilia?
All’inizio non volevo scrivere un romanzo sulla pedofilia, bensì il mio intento era quello di analizzare i comportamenti umani nella loro complessità. Più che le azioni e i gesti di Raymundo, ero interessata ad osservare il modo di agire di Aimée, come prototipo di donna che vive un disagio esistenziale. Volevo cercare di mostrare l’illogicità dell’attrazione e del fascino che subisce da parte di un uomo così crudele e terribile.
Il suo romanzo è percorso da una serie di citazioni tra un capitolo e l’altro che compongono un sottotesto, un fil rouge che introduce temi e riflessioni presenti nel testo. Perché questa scelta?
Da un lato, la rete di citazioni che percorrono il testo è una scelta narrativa tipica della tradizione americana, dall’altro, credo sia stata dettata da un’esigenza personale: le citazioni mi permettevano di riflettere su alcuni temi delicati già affrontati da altri autori per amplificare il loro significato e consegnare al lettore una nuova chiave di interpretazione.
Uno dei grandi temi del romanzo è quello della maternità. La madre di Cinthia perde la propria bambina e sembra aver smarrito il proprio ruolo sociale. Aimée si ritrova incinta di Raymundo. Si tratta di una maternità contro natura: da un lato, perché Aimée in quanto affetta da nanismo può difficilmente restare incinta, ma soprattutto perché porta nel suo grembo il frutto del male, dell’uomo che ha rapito una bambina e ha condotto poi con le sue azioni Aimée in prigione. Qual è il punto di contatto tra le diverse forme di maternità rappresentate in questo romanzo?
Tutte le forme di maternità di questo romanzo sono caratterizzate da un senso di colpa innato, che è l’opposto di quanto dovrebbe accadere. La madre di Cinthia mostra in televisione il proprio senso di colpa per aver perso la figlia, anche Aimée prova una frustrazione simile perché non sa che futuro potrà assicurare alla sua bambina. La maternità dovrebbe essere un atto di creazione, un dono di vita, il problema è che le colpe delle madri si riproducono, agli occhi dei personaggi femminili del romanzo, nei figli.
Negli ultimi anni la televisione è stata veicolo di storie atroci come questa. A pagina 137, dopo l’intervento della madre di Cinthia, il presentatore manda la pubblicità e poco prima anticipa il servizio su un’attrice che assicurava di essere incinta di un famoso calciatore e altre storie trash a cui ci ha abituato la televisione. La televisione ci ha assuefatto al dolore o una storia del genere mantiene un suo impatto?
Per la madre di Cinthia la televisione rappresenta l’ultima speranza di trovare la figlia, non sceglie l’uso dei mass media per un fine egoistico, bensì per disperazione. Credo che una storia del genere, sebbene in Messico siano molto frequenti, mantenga un certo impatto e un orrore che rendono difficile raccontarla. La televisione non solo ha sfruttato queste storie per fare audience, ma le ha banalizzate. Non sono racconti inventati, sono successi realmente. Sono il frutto dell’azione umana.
Poco prima dell’inizio della trasmissione televisione a cui partecipa la madre di Cinthia, emerge una riflessione sul libero arbitrio cristiano. Per la religione cattolica Dio ha dotato le sue creature del libero arbitrio per scegliere tra il Bene e il Male. Da questa storia sembra che il male nasca autonomamente, cioè Raymundo mostra da sempre tendenze pedofile, e non sia una deviazione del bene, è così?
Raymundo non sceglie da chi viene attratto, ma sceglie di agire. Credo che sia quasi sempre possibile scegliere chi essere e come agire, determinare il bene per sé stessi e per la collettività. In questo modo, chiaramente non intendo giustificare le azioni di Raymundo, ma provo a fornire una risposta convincente al mio quesito iniziale: possiamo scegliere chi vogliamo essere? Non sempre.
È la prima volta che viene in Italia? Ha alcuni autori italiani di riferimento?
È la mia prima volta a Roma e sono molto emozionata. In passato ho letto alcuni libri di Italo Calvino, amo la letteratura italiana, ma soprattutto la musica: Eros Ramazzotti è tra i miei cantautori preferiti.
E adesso che progetti ha per il futuro?
Quest’anno pubblicherò un libro di racconti soprannaturali, abbastanza lunghi. Parallelamente, sto lavorando a un romanzo storico, ma è ancora presto per parlarne.
Nunzio Bellassai
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