Categorie: CulturaLetteratura

L’eterno moto del marenauta

La verità
è che a volte
dobbiamo andare
Senza sapere dove. 
(p. 15)

La ricerca della verità, nella vita quotidiana così come nella tensione inesausta al viaggio, è il fulcro attorno a cui ruota la raccolta d’esordio di Dionisio Mollica. Il titolo Marenauta (Algra editore, 2022), come spiegato nella prefazione di Antonio Di Silvestro, non esprime solo la volontà di agganciarsi a quel moto perenne sfuggevole eppure salvifico, ma specifica sin da subito la “liquidità” dell’oggetto-interlocutore. La raccolta, divisa in otto sezioni, si configura come un percorso esistenziale che include l’amore, i viaggi, l’attaccamento alla propria terra e, soprattutto, al mare.

Dionisio Mollica
Parlami, 
se non ho più nulla da dirti.
E dammi
la mano che profuma di cielo.
Ti amo
per sempre così,
in quest’ordine
di moto perpetuo
che non ha principio.
(p. 45)

Dionisio Mollica si confronta per la prima volta con l’universo sterminato e metafisico della poesia, dopo aver pubblicato romanzi e saggi. Avvocato e docente di Diritto, Mollica annovera tra le sue pubblicazioni Nel Regno dei Siculi – Pantalica, la Valle dell’Anapo e Sortino (Flaccavento, 1996), Il Loggiato dei Tamburai – Schizzi e figure in Sicilia (Prova d’Autore, 1999), Sortino, collana Città delle Valli, Gal Val D’Anapo (Morrone 2001), Andrea Gurciullo, Fatti e vicende di Sortino antica nelle cronache di un parroco storico (Morrone Editore 2004), Sortino 1846-1946, Storia e Produzione Urbana (Morrone Edizioni, 2021).

L’immaginario individuale, legato al territorio e alla propria infanzia, si rinnova in maniera particolarmente efficace, attraverso la forma poetica, nella rappresentazione del mare. Il mare, «verbo dell’infinito», assume le sembianze di un fedele testimone del viaggio ininterrotto. La sua potenza evocativa è sottolineata dalle frequenti anafore e dai versi ermetici che scandiscono un ritmo più frammentato e pungente, costituendo un andamento narrativo fondato sulla nostalgia e la volontà di adesione, anzi di riappropriazione del modello naturale. Il legame uomo-natura in questo caso si cuce e si rinsalda attraverso la corrispondenza tra l’imprevedibilità dell’azione umana (e del suo destino) e la capricciosità di quella del mare, che diventa suono, verbo, «a/mare».

Il cammino circolare, che da Mollare gli ormeggi arriva “naturalmente” all’Approdo, inteso come una rappresentazione della dialettica conflittuale che si innesca tra l’artificioso individualismo e il vitalismo naturale, si chiude con una riconciliazione finale. Il movimento scontroso e imprevedibile della realtà fenomenologica proietta il poeta e il mare verso uno stesso destino:

Adesso devo andare.
Non ho parole
da scrivere
su questo
schifosissimo foglio bianco
che mi sembra
una distesa di neve e pece,
ed io
un folle tutt’uno
di vuoto e pieno.
(p. 82)

In particolare, la parola proietta nello spazio dell’eterno presente il vivace dinamismo dei ricordi e delle sensazioni che si revitalizzano costantemente e sfuggono alla fredda caducità del tempo. La consapevolezza della sua forza logorante spinge l’individuo all’attraversamento, inteso come immagine metaforica per l’avanzamento sia temporale che spaziale. Il “marenauta”, moderno Odisseo, sfugge alla cristallizzazione della memoria in forme vuote e inafferrabili e, da infaticabile scopritore, si rivolge verso nuovi orizzonti, nuove possibilità di ricerca concrete e allegoriche che il poeta lascia presagire al lettore come una sincera promessa fraterna e affettuosa.

Nunzio Bellassai

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