L’oscillazione onirica tra reale e surreale nella scrittura di Arthur Schnitzler (1862 – 1931), unitamente al contesto storico in cui operò l’autore – la Vienna degli anni venti -, non lasciano molti dubbi sul fascino che lo scrittore austriaco subì per i primi studi freudiani sull’inconscio. Secondo l’analisi di Giuseppe Farese a Doppio Sogno – in appendice all’edizione Adelphi (2010) della novella – sarebbe indubbia un’influenza degli studi psicoanalitici sulla redazione dell’opera. Ma, sottolinea Farese, sarebbe erroneo pensare che tra i due intellettuali viennesi ci sia stato uno scambio di idee. I rapporti tra Schnitzler e Freud non furono mai approfonditi a causa della distanza critica che il letterato mantenne dagli studi puramente e prettamente scientifici del suo concittadino e per “il timore del sosia” che lo scienziato ammise, negli stessi anni in cui nasceva Doppio Sogno, di avere nei confronti dell’autore.
All’interesse per il mondo dell’inconscio e del sogno, presente in tutta la sua produzione, Schnitzler unì l’intenzione di delineare un quadro della società viennese dei suoi anni. Dando voce alle parole non dette, Schnitzler funse inconsapevolmente da ponte tra il primo romanzo realista ottocentesco su modello di Balzac e Flaubert e un nuovo tipo di letteratura che si svilupperà solo nel ventesimo secolo. Si pensi a James Joyce, a Virginia Woolf e a tutti quegli scrittori dei primi anni del novecento che hanno fatto del flusso di coscienza l’essenza della letteratura moderna. Schnitzler è stato tra i primi sperimentatori di una narrativa che mette la storia nelle mani dei propri personaggi e dà loro la possibilità di parlare al lettore senza uscire dall’intimità dei propri pensieri. Il carattere di “ponte”, tra due generi e tra due secoli, della letteratura di Schnitzler è particolarmente evidente negli ultimi romanzi dell’autore.
Il vero talento di Schnitzler è quello di riuscire a dar voce ai pensieri umani senza porsi alcun freno inibitorio. Chiunque potrebbe riconoscersi nei ragionamenti di uno dei suoi personaggi. Si tratta, spesso, di pensieri comuni, ma talmente contorti, osceni, malsani, che fingiamo di non averli mai prodotti, neanche nel mondo silenzioso della nostra mente.
Anna Fusari
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