Dallo scorso dicembre a Roma e fino al 3 aprile, presso la Fondazione Roma, Museo Palazzo Cipolla è possibile visitare la mostra CoBrA . Una grande avanguardia europea , una retrospettiva dedicata a questa corrente artistica che prese vita a Parigi sul finire della Seconda Guerra mondiale, nel 1948, per poi sciogliersi pochi anni dopo, nel 1951.
Perché CoBrA? CoBrA è l’acronimo delle tre città Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam, patrie degli artisti che partecipavano al movimento (tra i più celebri e notevoli ricordiamo il danese Asger Jorn), Cobra è un serpente pericoloso, pericoloso come la guerra appena conclusa. Cobra significò rifiuto di un astrattismo geometrico, rifiuto di tutte le filosofie, gli psicologismi estremi del surrealismo e di ogni forma e stile prestabilito ed un conseguente ritorno ad un’arte istintiva, corporea, elementare: un ritorno ed un avvicinamento alle forme espressive dei bambini, un sogno anche questo ma ben diverso dal macchinoso e ingegnoso sogno surrealista: un sogno primitivo. Poca ragione e molto sentimento in questa arte che cerca di essere un fenomeno estetico, che ha come solo fine il piacere dell’arte per l’arte che torna a dare importanza fondamentale alla materia, ma soprattutto al colore.
Anche il gruppo CoBrA, come quello dei Futuristi, o quello Dada sono parte di quel grande processo creativo che nel campo delle arti figurative a partire dalla fine dell’Ottocento, portò a un totale stravolgimento dei canoni vigenti. Tutto il Novecento artistico ha vissuto una veloce evoluzione soprattutto grazie a questa forte volontà proveniente dal mondo della pittura, così come quello della scultura e della letteratura di rompere con un ordine prestabilito: un’epoca di totale cambiamento, ferita dalla grande violenza delle guerre, porta l’uomo – e di conseguenza, e con più sensibilità, l’artista – a non trovare una precisa collocazione; a vivere come un fremito costante dettato da un’impossibilità di identificarsi con qualcosa di preciso, con uno spiazzamento verso la realtà da raccontare, oramai naufragata oltre ogni possibile immaginazione figurativa. Così nasceva genericamente un’avanguardia, dalla ricerca di una nuova forma di espressione, dettata da una realtà che cambiava velocemente, che nulla più aveva a che fare con le forme artistiche precedenti. Bisognava rompere e spezzare, ricreare nuove forme e nuovi modi di raccontare e raccontarsi.
Ciò che caratterizzava i gruppi delle avanguardie era spesso una precisa dichiarazione d’intenti, che si palesava sotto forma di manifesto, firmato e condiviso da tutti i membri, tra i quali non c’erano solo artisti figurativi. Molto spesso gli scrittori avevano, ad esempio, un grande peso: pensiamo a Marinetti nel movimento futurista, o all’importanza di Breton per i surrealisti.
Oggi una sorta di condivisione di sensibilità tra artisti di diversa natura, come pittori e scrittori, ci appare alquanto improbabile; una fratellanza non ci appare neppure possibile, tra mondi completamente divisi e che viaggiano su due binari completamenti diversi.
È passato un secolo e l’arte e le forme di espressione continuano a evolversi a ritmi frenetici, ma oramai gli artisti, nella maggior parte dei casi, non si parlano più. Cosa è successo nel frattempo? L’intimismo e il personalismo sembrano essere diventati l’unica strada possibile per l’arte, la possibilità di una condivisione, anche di un sentimento di ribellione e di rottura sembra oramai un’utopia; possiamo, certo, rintracciare temi comuni, ma l’esistenza di valori condivisi, è l’unico possibile manifesto per l’arte del nostro tempo.
Anna Giordano
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Bell'articolo, ma non voglio credere che sia così. Almeno, io non sono così ("intimista" e "personalista"), come in fondo non lo sono molti miei amici che pure praticano arti molto diverse. Secondo me si ha solo bisogno di una o più persone che 'sblocchino' negli altri quella consapevolezza che comunicando e collaborando diventa tutto più interessante, e quel desiderio di crescere a contatto con altre persone che percorrono la strada dell'espressione artistica. Che, secondo me, è una sola grande strada.