«Sta seduta composta» dice la madre senza sollevare lo sguardo dalle unghie.
La risposta è uno strusciare di stoffa senza commento: allinea ginocchio a ginocchio, polpaccio a polpaccio e con il piede nudo cerca una ciabatta rovesciata a terra. Sono sedute ai due estremi della parete, su divani gemelli; tra i divani un tavolino e una lampada. Sul tavolino, un telecomando e una pipa. Poco lontano un bicchiere e una bottiglia di whisky. Di fronte, il televisore acceso è fermo sull’immagine di una giovane donna bruna con un paio di lunghe forbici strette nella mano destra. Il riflesso livido dello schermo illumina madre e figlia: se non fosse per l’attaccatura dei capelli, dettaglio che le rende simili, sembrerebbero due estranee. Una diritta, lo smalto chiaro sulle unghie, ai lobi due parentesi di perle; l’altra ripiegata, la maglia larga sulla tuta di cotone e i polsi affondati tra cosce e divano.
A muoversi per prima, la figlia. Uno spostamento impercettibile, un trascurabile movimento di mani. Da sotto le cosce la mano destra riemerge all’esterno; le dita esplorano il tessuto morbido dei pantaloni, si spostano verso la tasca. L’altra mano si spinge lungo il velluto del divano senza cambiare posizione, lo sfiora con i polpastrelli e lo attraversa tracciando lunghe linee parallele fino a incontrare la propria gamba. L’ombra copre quasi tutto di questi movimenti, persino la madre non fa nulla per osservarli meglio. Soltanto una volta solleva la testa in direzione della figlia e apre appena la bocca. Subito dopo la richiude. Distoglie lo sguardo e cambia posizione alle ginocchia accavallate. Raccoglie una ciocca di capelli che le è caduta sulla guancia e la riporta alla pettinatura originaria.
Dopo una decina di minuti il padre torna nella stanza. Attraversa il salotto e siede sul divano accanto all’unica che tra le due possa dirsi donna. Si gira verso il tavolino, prende la bottiglia di whisky, si versa da bere. A metà del bicchiere preme il tasto play del telecomando.
Per qualche tempo osserva concentrato lo schermo, poi allunga la mano verso la pipa. La carica lentamente con un tabacco chiaro che estrae da una busta sfilata dalla tasca posteriore dei pantaloni. I grumi del tabacco lo costringono a compiere un breve gesto di strofinio tra pollice e indice per separare i filamenti dalla massa indistinta, gesto che compie senza prestarvi attenzione. Dal divano la figlia lo osserva; quando lui si volta per versarsi altro whisky gli occhi si incrociano. Lei non distoglie lo sguardo. Si sfila la felpa. Un sottile rasta blu elettrico – nascosto alla base del collo – scivola sulla scritta in utero della maglietta dei Nirvana.
Una volta apparsi sullo schermo i titoli di coda, il padre aspetta che il televisore si faccia del tutto nero prima di spegnerlo. Accende la lampada e inizia a parlare: trova inammissibile che a scuola non abbiano fatto vedere La Battaglia di Algeri. Continua: l’iniziativa dell’Unità è encomiabile ma da sola non basta; bisogna diffondere la coscienza civile tra i giovani. I giovani non leggono i quotidiani, tantomeno sono disposti a spendere soldi per comprare le videocassette in allegato.
A questo punto la madre si inserisce nel monologo, precisando quanto sia difficile far appassionare dei sedicenni al neorealismo. Sul tavolo, la bottiglia è svuotata per almeno due terzi.
Senza aspettare la fine della discussione, la figlia si alza e sparisce nel corridoio buio oltre la coppia. Nell’attraversare la stanza passa accanto alla lampada. La luce la colpisce all’altezza della vita, ne illumina il busto. Sotto la maglietta si intuiscono i seni; le ossa appuntite del bacino sporgono oltre il bordo dei pantaloni nello spazio tra i tessuti che lascia scoperta la pelle. La madre distoglie lo sguardo quasi fosse stata abbagliata. Il padre mantiene gli occhi fissi sul punto anche dopo l’uscita della figlia. Si china verso la bottiglia, riempie di nuovo il bicchiere.
«Il ruolo della scuola» conclude «dovrebbe essere quello di educare i sedicenni, non di adattarsi ai loro gusti».
Livia Del Gaudio ha passato i suoi primi quarant’anni a cercare una casa dove fermarsi tra l’Italia e la Spagna, ma è felice di non averla mai trovata. Nel frattempo ha studiato, insegnato, fatto due figlie e letto così tanto da trasformarlo in un lavoro. Nel 2021 ha fondato, con Aurora Dell’Oro, la rivista digitale «In allarmata radura». Nel 2024 è uscita la novella Edwin Land. L’uomo della luce, Coppola Editore; sempre nel 2024 ha curato per «In allarmata radura» l’antologia L’ora senza ombre, Pidgin edizioni.
L’illustrazione è di Adele Bilotta.
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