
Guardare l’infinito: Antonio Moresco racconta Giacomo Leopardi
Tutti hanno sentito nominare Giacomo Leopardi almeno una volta nella vita: attraverso i libri di scuola, in televisione, sui giornali, sul web… Ma sentirlo raccontare da Antonio Moresco, fuoriclasse della letteratura nostrana, è decisamente un’esperienza controcorrente.
Lettera d’amore a Giacomo Leopardi è un libro diverso da qualunque monografia che si possa trovare sull’immortale poeta: un ibrido che fonde diario, analisi e racconto di fantasia.
La poesia di Leopardi, qui filtrata e raccontata da un altro grande maestro, va ad abbracciare il presente, il dolore di oggi, il suo caos e il mistero della natura.
Dalla sovrapposizione di queste due voci, prende vita un’opera tenera, meravigliosamente iconoclasta e incredibilmente devota allo stesso tempo, un ritratto scoppiettante che, oltre a elogiare uno dei più grandi autori di sempre, ne rivela anche la bruciante attualità.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Antonio Moresco, che ringraziamo infinitamente per la sua disponibilità.
Antonio, il tuo primo incontro con Giacomo Leopardi è avvenuto clandestinamente in seminario, quando eri giovanissimo, confuso e ingabbiato. Leggevi di nascosto per evadere dal grigiore e dalle rigide imposizioni dell’istituto. Oggi, nelle scuole ma non solo, Leopardi viene spesso imposto ai giovani, senza che questi riescano a comprendere la furia, la disperazione e la libertà che invece è parte fondate dei suoi scritti.
Oltre a scrivere una lettera d’amore a questo autore immortale, covavi il desiderio di raccontare, soprattutto ai giovani che ti leggono, un Leopardi diverso, più ribelle, incendiario e accessibile di quanto spesso venga descritto nelle aule scolastiche?
La poesia e il pensiero di Leopardi sono destabilizzanti, mettono in crisi tutto l’impianto concettuale e mentale della modernità: il mito del progresso, l’idea provvidenzialistica del cammino umano e della sua storia, che l’uomo è avulso dal resto della natura, che è la misura di tutte le cose, che il mondo è stato fatto per lui, che l’essenza viene prima dell’esistenza … E poi la sua lucidità radicale sul pensiero umano, sulla conoscenza e sulla filosofia, sul rimedio che è stato peggiore del male, la sua disperazione e la sua difesa della forza delle illusioni, perché la vita è una carneficina senza l’immaginazione… Anche la sua vita personale è stata quella di un ribelle. Cerca di fuggire da casa, vive ramingo qua e là, nonostante le sue disperate condizioni fisiche, e intanto scrive le più grandi e indimenticabili liriche della nostra modernità. Perché c’è anche questo di eccezionale e unico in Leopardi: che -cosa che succede raramente- è nello stesso tempo un lirico e un pensatore, in lui c’è questa compresenza esplosiva, che nelle scuole viene spesso disattivata.
Leopardi canta lo stupore nei confronti della natura e dell’amore… ma allo stesso tempo la sua straordinaria fame di vita si scontra con il suo dolore personale.
I tuoi saggi (uso questo termine anche se molto riduttivo, per identificarne la direzione) spesso mi hanno comunicato forza e curiosità nel ribaltare le prospettive, cercando di vedere le cose da altre angolazioni, ma non ti nascondo di averci trovato anche molta sofferenza e alienazione, così come l’ho trovata nei tuoi straordinari romanzi.
Qual è oggi, se posso chiedertelo, il tuo rapporto con il dolore e l’alienazione?
Domanda difficile. Certo, io, arrivato all’età di cento anni, mi sono fatto una qualche idea degli umani di cui faccio parte, della vita e del mondo. Però quello che penso veramente prende forma in me solo quando scrivo, solo allora si rende visibile a livello figurale e verbale, diventa narrazione del mondo, emblema. Sì, mi rendo conto, i miei libri possono essere a volte disperati e in qualche caso persino terribili nel loro andare infinitamente vicino al dolore e al male (Canti del caos, ma anche La lucina…), però mi sembra che ci sia al loro interno anche un’insubordinazione nei confronti del dolore e del male del mondo, che non permette che si chiuda mai il cerchio, impedisce che diventino una forma pacificata e chiusa, anche se al negativo invece che al positivo, come succede in tanta letteratura moderna, un teorema.
Sei uno scrittore che ha sempre sfidato le convenzioni letterarie, per trama, tematica, visionarietà, capacità di ibridare i generi… ma hai anche saputo dimostrare una grandissima maestria nella saggistica, un’attività che è iniziata con “Lettere a nessuno” e sfociata poi in una bibliografia a mio parere importante quanto la tua opera di narrativa.
Sono molti i libri di non fiction che hai scritto, libri intimisti come “Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno”, “Il grido” (ora rinominato “la specie folle”) “Lo sbrego” … e anche volumi in cui c’era una maggiore analisi letteraria dei tuoi autori di riferimento come “L’adorazione e la lotta”. Ora questo, in cui non solo analizzi il grande autore, ma riesci a infilarci anche una sorta di racconto fantastico che ovviamente non rivelo.
Forse è una domanda scomoda, ma tra la dimensione del romanziere e quella del saggista, ce n’è una che ti dà più emozione? La tensione e la smania che provi scrivendo un romanzo sono le stesse che emergono quando metti su carta le tue riflessioni o scrivi dei tuoi eroi letterari?
La vita di uno scrittore non è preordinata, le cose succedono via via, lungo il cammino della sua vita, per mille diverse ragioni e sollecitazioni. Così a me è successo di scrivere, accanto ai molti libri di invenzione narrativa, anche diversi libri dove narro la mia passione e il mio amore per gli scrittori e per la letteratura e anche il mio combattimento. Io non vedo questi libri come espressione di una vera e propria saggistica, ma come qualcosa che sta a metà strada, come una narrazione, invece che di figure narrative in atto che creano un mondo, di passioni e di sogni coltivati attraverso ciò che altri umani hanno messo al mondo nel corso del tempo attraverso la nuda parola e la voce. Non come vivisezione critica ma come un corpo a corpo attraverso il tempo e lo spazio. Così mi è capitato di scrivere anche molti libri che mettono in scena su carta alcuni di questi corpo a corpo: Lettere a nessuno, Lo sbrego, L’invasione, Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno, Il Fronteggiatore, L’adorazione e la lotta, il libro sulla Vita nuova di Dante, questo su Leopardi… ma anche vari scritti che non ho ancora raccolto in volume, su Kafka, Federigo Tozzi, Thoreau… Per me questi scritti e i miei strani romanzi sono tutti parte di una stessa onda.
Amo Leopardi, ma non ho mai pensato che la sua poesia e le sue riflessioni potessero influenzare anche altri generi. Attraverso le tue parole però, mi sono accorto di quanto la sua visione, oltre che estremamente moderna, riesca a irradiarsi anche su altre forme di narrazione in prosa.
Se dovessi scegliere quello che, secondo me, è il tuo libro più leopardiano, sicuramente sceglierei “Gli esordi” (dimmi pure se sei d’accordo o no) ma vorrei chiederti anche se la capacità visionaria di questo poeta abbia influito su alcuni dei tuoi libri che in apparenza potrebbero sembrare lontani dall’universo che descrive, penso a capolavori (lasciamelo dire) come “Gli incendiati” o il mio amatissimo “Canto di D’arco” in cui la componente d’azione è estremamente dominante.
Non saprei, perché quella di Leopardi è stata sì un’influenza forte, ma io sono vissuto in un’altra epoca e sono andato per la mia strada. Però, per stare al tuo gioco, direi i libri che meno ci si aspetterebbe, come Canti del caos, se vogliamo vederlo come una debordante ed estrema operetta immorale, oppure, sì, anche come Canto Di D’Arco, col suo eroe senza speranza ma che non si arrende, ma anche romanzi brevi e torridi, come La cipolla. Se poi vuoi metterci anche Gli incendiati… ma sì, crepi l’avarizia! Mettiamoci anche quella storia d’amore e morte!
Faccio una piccola confessione che ho fatto a te ma che ora rendo pubblica: i tuoi libri hanno su di me un effetto dirompente. Mentre li leggo mi sento come se avessi in mano una pistola che riesco a puntare ovunque, anche contro me stesso. Con questo non intendo dire che siano opere che mi fanno del male, anzi, tutto il contrario, ma il fatto è che dentro di me hanno l’effetto detonante di un’arma carica attraverso la quale provo ad affrontare i miei disagi.
Pensi che un effetto radicale ed esplosivo, sia l’unica via possibile per la letteratura affinché le coscienze e le menti si possano scuotere e quindi si possa cambiare, se non il mondo, almeno parte della società?
Non lo so, posso solo dirti che, se i miei libri fanno su di te quell’effetto, è perché lo hanno fatto prima su di me mentre li scrivevo. Per stare alla famosa affermazione di Kafka, che la letteratura deve essere come un’ascia che spacca il mare di ghiaccio che è dentro di noi, allora direi che anche a me pare che un libro non possa essere una cosa che ti lascia indifferente, non può essere come un analgesico che ti fa passare il male di testa o un lassativo che ti fa andare di corpo. Questo non vuol dire che non ci siano libri bellissimi ma che sono anche calmi e dolci, o almeno così sembrano, perché poi magari ti lavorano dentro non meno incisivamente, ma in tempi più lunghi. Se poi la letteratura possa o no cambiare il mondo, questo è un vecchio dibattito su cui ci sono state contrapposizioni nel corso dei secoli, tra quelli che dicono di sì e che anzi deve farlo e quelli che dicono di no, che non può e non deve farlo. A me pare di essere in disaccordo con entrambi o, meglio, con le ragioni addotte da entrambi.
Concluderei facendoti una domanda scontata ma che non posso trattenermi dal fare. Come in “Canto del buio e della luce”, anche in questo ultimo libro ho sentito una certa rabbia da parte tua nei confronti di un mondo sempre più allo sfascio… Stai pensando a un nuovo libro che possa rappresentare questa realtà impazzita?
Sto terminando due lavori su artisti amici e per i quali ho grande considerazione: un libro postumo di poesie di Ivano Ferrari e un lungo scritto sul pittore Nicola Samorì. Poi vorrei rimettere mano, ampliare e ripubblicare alcuni libri già pubblicati, partendo dal Finimondo, un libro purtroppo terribilmente attuale. Dopo, non so o, meglio, un’idea c’è, c’è un’immagine che mi sta ronzando da un po’ di tempo nella mente, un’invenzione anche per me inaspettata e spiazzante, ma proporzionale ai tempi oscuri che stiamo vivendo, dalla quale, forse, nascerà un romanzo nuovo.
Grazie mille Antonio.
Jacopo Zonca