Categorie: CinemaCultura

Un pubblico senza frontiere: viaggio nell’horror italiano, pt. 3

Terza puntata della nostra inchiesta sul cinema di genere e horror italiano contemporaneo


Nelle settimane precedenti la pubblicazione di questo servizio abbiamo condiviso un sondaggio sulla pagina Facebook di una community dedicata a Netflix, la piattaforma di streaming on demand più nota e utilizzata a livello globale, compresa l’Italia. È venuto fuori che, su un campione di utenti che dedica assiduamente del tempo alla visione di film e serie tv, ben pochi sono coloro che hanno familiarità con produzioni italiane. Il 65% degli intervistati, infatti, ha dichiarato di guardare almeno due o tre film a settimana, e oltre la metà di questi ne guarda anche quattro o più; sul versante serie tv, invece, oltre il 77% dei partecipanti si concede almeno un episodio quasi tutti i giorni. Nonostante poi ben il 56% degli intervistati abbia ammesso di non gradire l’horror, quando abbiamo allargato il campo a tutti i generi che rientrano nell’ambito del fantastico – anche fantasy, fantascienza e cinecomic – il 67,5% ha accordato la propria preferenza ad almeno uno di essi. E anche quando abbiamo esteso l’indagine a tutti i generi esistenti, sia quanto a film che a serie tv, il fantastico se l’è cavata decisamente bene, mentre il thriller è quello che si è posizionato meglio di tutti.

I guai sono iniziati appena siamo entrati nel merito delle produzioni italiane: la maggior parte degli interpellati sostiene di non gradire il cinema italiano, con una quota consistente che afferma di guardare soltanto i classici del passato. Il discorso non cambia se parliamo di serialità, laddove più del 60% conferma di guardare poco o per niente le serie tv italiane. Sebbene il problema sembri essere decisamente generalizzato, e non ristretto a un unico ambito d’interesse, siamo scesi più addentro alla questione dell’horror, che è l’oggetto privilegiato di questa ricerca. E dunque, non solo gli intervistati hanno scarsa familiarità con l’horror di casa nostra, ma quasi nessuno ha visto un horror italiano prodotto negli ultimi due anni. Abbiamo sondato, infatti, il grado di conoscenza delle più recenti uscite di successo, scelte tra i nuovi cult e tra i titoli che hanno segnato una rinascita dell’horror italiano. In una selezione che va da Dark Waters di Mariano Baino fino ad A Classic Horror Story di De Feo e Strippoli, oltre l’80% non conosce neanche uno dei più importanti horror degli ultimi anni – mentre il restante ha visto quasi solo Suspiria di Luca Guadagnino.

Suspiria di Luca Guadagnino (2018)

Non a torto, anche Filippo Santaniello[1] constata che «uno dei problemi degli horror italiani è che in realtà non si va più a vederli». Il sondaggio, infatti, mette in evidenza come il pubblico italiano consumi abitualmente film e serie tv di genere, a patto però che non siano fatti in Italia. «È come se non riuscissimo più a tornare padroni di un’arte di cui siamo stati maestri». La spiegazione va rintracciata forse in quel periodo in cui abbiamo smesso di fare cinema di genere – o lo abbiamo fatto male – che ha creato disaffezione e disinteresse nel pubblico, generando la convinzione che l’horror e i suoi fratelli non siano roba nostra. E mentre noi italiani ci persuadevamo che non fossimo bravi coi generi, ci affezionavamo invece sempre più alle cinematografie di altri paesi, quella americana su tutte.

In pratica, più il cinema di genere italiano sprofondava in una fase di declino, e più volgevamo lo sguardo altrove. «Siamo diventati esterofili» commenta infatti Vincenzo Petrarolo[2] «abbiamo sviluppato una tendenza a premiare solo ciò che viene dall’estero». In tutto questo, però, sembra di scorgervi un paradosso, perché l’horror (ma anche il fantasy e la fantascienza) nasce già come «un genere internazionale, rivolto a una platea che supera i confini e si nutre di ispirazioni eterogenee. È un tipo di cinema che tiene sempre un occhio rivolto all’estero».

I Follow You di Vincenzo Petrarolo (2022)

Se ciò accade è perché, come già abbiamo avuto modo di ricordare, i generi – e alcuni ancor più di altri – adottano linguaggi, forme e, a volte, persino immaginari che sono codificati e universalmente riconosciuti; ma anche perché questo tipo di cinema di solito nasce già con lo sguardo rivolto al mercato estero.

Anche gli autori, infatti, sanno bene che la distribuzione all’estero può non solo giovare sull’incasso complessivo, ma addirittura rivelarsi più proficua di quella in patria. «Se credessimo di più nei generi, potremmo realizzare un cinema esportabile. Film come gli horror hanno un ciclo vitale che non si esaurisce nel paese di produzione» ricorda il regista e sceneggiatore Christian Bisceglia[3] «perciò abbiamo bisogno di affermarci anche all’estero». Ed ecco perché, per esempio, è in uso l’abitudine di ricorrere ad attori stranieri.

Quella di affidare i ruoli principali a interpreti che non siano di nazionalità italiana è una pratica che risale già all’horror dei grandi maestri, da Jessica Harper del Suspiria argentiano al Rupert Everett di Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, passando per il Boris Karloff de I tre volti della paura di Mario Bava. Ma sono davvero tante le produzioni, ancora ai giorni nostri, che annoverano un cast più o meno internazionale, che sarebbe difficile menzionarle tutte. A onor del vero, in passato erano ben più frequenti le coproduzioni – sovente con la Francia e la Germania – anche in casi piuttosto celebri (come certi film di Dario Argento), mentre oggi è più difficile leggere il nome di qualche produttore straniero nei titoli di un horror italiano. «Il cinema italiano di quegli anni riusciva a produrre anche grazie ai finanziamenti e alle prevendite degli americani, tedeschi, francesi, perciò i nomi internazionali nel cast erano funzionali ad aumentare l’appetibilità del prodotto anche all’estero», commenta Marcello Aguidara[4].

Eppure, quanto detto finora dimostra che un pubblico, per i generi, esiste anche in Italia, e che si tratta di tornare a coltivarlo, di riportarlo a frequentare il nostro cinema. Che possa essere dunque questa la chiave per ridare lustro ai generi italiani, tornare a collaborare con le case straniere, o magari provare a spostare direttamente la produzione all’estero? A questa domanda, proveremo a rispondere nel prossimo articolo.

Andrea Vitale


[1] Filippo Santaniello, sceneggiatore, tra le varie opere è autore di The Slider, arrivato secondo all’Amsterdam Film Festival e menzione d’onore ai California Film Awards, e Fade Out, attualmente disponibile su Prime Video.

[2] Vincenzo Petrarolo è regista e autore di Lilith’s Hell e I Follow You, film horror che hanno ottenuto notevoli riconoscimenti ai festival e distribuzione internazionale.

[3] Christian Bisceglia è regista e autore di due lungometraggi horror diretti insieme ad Ascanio Malgarini, Fairytale e Cruel Peter. Nella sua carriera, ha collezionato anche attività all’estero e in televisione.

[4] Marcello Aguidara è redattore di Nocturno, la principale rivista italiana dedicata al cinema di genere. Come si legge nella bio sul sito della rivista, è autore di sceneggiature per la tv e per il cinema e ha lavorato al montaggio di documentari, reportage e videoclip.

Andrea Vitale

Andrea Vitale nasce a Napoli nel 1990. Frequenta il liceo classico A. Genovesi, e nel 2016 si laurea in Filologia moderna alla Federico II. Ama la musica e la nobile arte dei telefilm, ma il cinema è la sua vera passione. Qualunque cosa verrà in futuro, spera ci sia un film di mezzo. Magari, in giro per il mondo. Attualmente frequenta un Master in Cinema e Televisione.

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Andrea Vitale

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