Un saggio che analizza il cannibalismo con un approccio transdisciplinare
Qualche mese fa il tema del cannibalismo è tornato alla ribalta grazie all’adattamento cinematografico di Bones and All, diretto da Luca Guadagnino, ma anche grazie alla serie tv su Jeffrey Dahmer (Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer). Quello del cannibalismo è, nella sua efferatezza, un fenomeno che accompagna la storia dell’umanità sin dalla notte dei tempi, eppure è a tutti gli effetti un vero e proprio tabù.
Fare così del cannibalismo l’oggetto di un saggio scientifico è una sfida, una provocazione, e per certi versi un tentativo di “guardare con lenti nuove” un fenomeno ancestrale. Così, l’idea che sta alla base di un saggio scientifico sottoposto a double blinde peer review, Cannibalismo. Questioni di genere e serialità, edito dalla casa editrice universitaria Tab Edizioni di Roma, è stata quella di indagare in profondità un evento così complesso, di difficile accettazione che però si intreccia con la storia dell’umanità; quella di cercare di leggere il cannibalismo con una lente transdisciplinare tra la sociologia, l’antropologia e la criminologia, che caratterizza l’autore stesso, Davide Costa, giovane studioso calabrese, il quale ha conseguito una prima laurea in professioni sanitarie, una seconda in sociologia e una laurea magistrale in Analisi e gestione dei conflitti, fino ad approdare a un percorso di dottorato di tipo giuridico, filosofico e sociologico.
Non è stato semplice reperire sufficienti riferimenti bibliografici dal momento che le scienze sociali hanno poco attenzionato i fatti alimentari, e ancora meno di cannibalismo. Un altro elemento di interesse di quest’opera riguarda le questioni di genere, e cioè le differenze tra generi maschili e femminili e orientamenti sessuali mediante la selezione e analisi di 5 casi studio di soggetti cannibali, quali: Leonarda Cianciulli, “la saponificatrice di Correggio”; Andrej Romanovič Čikatilo, il “mostro di Rostov”; i coniugi Baksheev, i “cannibali di Krasnodar”; Jeffrey Dahmer, il “cannibale di Milwaukee o il mostro di Milwaukee”; e Armin Meiwes, il “cannibale di Rotenburg”.
La scelta di questi soggetti ha comportato l’analisi e approfondimento delle loro biografie, del loro modus operandi e delle loro vittime. Ovviamente ciò ha avuto un grande peso sul piano psicologico dell’autore, chiamato a mantenere un approccio scientifico e distaccato o, ancora meglio, avalutativo. È pur vero che l’autore stesso ha già affrontato “sfide di ricerca” su tematiche spinose inerenti l’alimentazione, come nel caso del suo primo saggio, pubblicato lo scorso anno, Mangiare da matti, una storia socio-alimentare a Girifalco e non solo, in cui ha analizzato i regimi alimentari mediante una ricerca in archivio storico, nel manicomio di Girifalco in provincia di Catanzaro.
Ma ritornando al saggio Cannibalismo. Questioni di genere e serialità, gli elementi di novità sono molti: accanto le classiche classificazioni dei serial killer di Mastronardi e Palermo per gli uomini, di Kelleher per le donne, la classificazione poco conosciuta dei serial killer omosessuali proposta da Geberth, viene anche commentato il cannibalismo sotto il profilo statistico in termini di modalità omicidiarie, tipologie di vittime e parti del corpo scelte dagli offenders.
Nel volume, poi, sono state attenzionate alcune divinità dai tratti cannibali per poi focalizzarsi su una sola divinità e il culto a essa connessa, ovvero Śiva, poiché per via delle sue peculiarità, portate fino agli estremi da una setta indù, gli Aghori, sono stati individuati elementi che lasciano ipotizzare l’esistenza di un istinto di tipo primitivo, ma anche śivaista, nei serial killer. Si tratta, dunque, di un’opera che potrebbe far discutere o apparire problematica, ma come conclude Davide Costa nel suo saggio: «Non c’è sapere senza problemi ma neppure problema senza sapere. Il che dovrebbe spingere ad andare ben oltre il pregiudizio che si cela dietro l’antropofagia, anche perché la conoscenza comincia con la tensione tra sapere e ignoranza: non c’è problema senza sapere – non c’è problema senza ignoranza. Poiché ogni problema nasce […] dalla scoperta di un’apparente contraddizione fra quello che riteniamo nostro sapere e quelli che riteniamo fatti».
Davide Costa
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