Racconto: Porte Chiuse – Anita Pulvirenti

Racconto Milleuno
Call


Lui ha ancora le chiavi di casa di Nora. Per la fretta sbaglia più volte a inserirle dal lato giusto, il mazzo gli cade una, due volte per terra, il sudore gli annebbia la vista, trema tutto, è lui a tremare. Finalmente riesce ad aprire quella maledetta porta e si precipita in soggiorno. Inciampa sul gatto, lo solleva dalla pancia e lo lancia sul divano. Corre in camera da letto, sente l’acqua della doccia scorrere e accosta l’orecchio alla porta del bagno. La chiama, una volta, poi ancora, non gli giunge alcun rumore, un respiro, un passo. Non avverte la fronte di lei contro la porta dall’altro lato. Non sente alcuna mano poggiata sulla maniglia per assicurarsi che lui non entri. Prova ad aprire ed è chiusa dall’interno, inizia a pregare che sia soltanto svenuta, un malore, troppo stress, troppo lavoro, un cibo avariato, un’indigestione, sotto l’acqua, una congestione, come i bambini al mare. Sua madre lo avvertiva sempre quando provava a tuffarsi dopo pranzo… non sa se sia vero, a lui non è mai successo. Un aborto, ecco, questo risolverebbe tante cose, si dice.  Allenta la cravatta, sbottona il colletto, respira a fondo.

– Maledetta! Decide tutto lei! – impreca rivolto alla donna nel bagno che forse, in un remoto paradosso infinito, c’è ancora e non c’è più, che forse una volta aperta la porta comunque non sarà più sua.

Prova a inserire la chiave della camera da letto: le porte di quella casa sono tutte uguali. Ma dall’interno è girata in modo tale da impedirgli di spingerla via, non si apre, solo spallate come nei film. Spera che funzioni.

Invece non funziona. Non la prima, non la seconda. Gli viene in mente di spaccare tutto ma non ci sono oggetti in ferro sottomano. Si guarda intorno finché il suo sguardo incrocia il gatto che si stiracchia su una sedia. Non il gatto, ma la sedia forse. La Phantom ha la scocca in polipropilene, non è detto che regga, ma lui non ha tempo di decidere ora. Corre a prenderla, ritorna e sferra la prima sediata, in obliquo, sulla maniglia che, fatto inaspettato, si piega. Dopo la seconda, lancia via la sedia e spinge con tutta la forza, la porta cede e quando si spalanca l’orrore gli si mostra intero: Nora è seduta sul pavimento, nuda, le spalle poggiate alle mattonelle verde pallido, la testa inclinata con gli occhi socchiusi, i polsi esposti e insanguinati, poggiati mollemente per terra, le gambe dritte e i piedi flessi come una bambola. Lui si inginocchia, non riesce a toccarla ma nemmeno riesce a distogliere lo sguardo da quella pietà senza alcuna salda presa a sorreggerlo, senza marmo. Nora è la madre con il figlio in grembo, ed è al tempo stesso la figlia morente abbandonata. Lui ha il telefono in mano, eppure tentenna. Gli manca il coraggio di comporre il centodiciotto perché ogni pensiero che lo attraversa è filtrato dalla necessità di essere credibile con chi gli chiederà cosa fa lì e a che titolo. 

Dall’altro lato una voce registrata prima, una reale poi che lui non riconosce subito e che al suo silenzio gli chiede di cosa abbia bisogno. Un’ambulanza, naturalmente. La donna all’altro capo del telefono continua con le sue domande assurde: le ha detto che a terra è pieno di acqua e sangue, ma lei insiste di adagiarla a pancia in su, di controllare che non ci siano oggetti o cibo a ostruire le vie aeree. Si è tagliata i polsi, continua a ribadire lui, ma la voce di donna prosegue imperterrita. Domina la conversazione lasciandolo intontito. Se lui prova a interromperla lei alza il tono e lo costringe a tacere. Un po’ come sua moglie ultimamente. Ora che Nora è supina, lui spinge la fronte per reclinare un po’ indietro la testa e si accovaccia con l’orecchio vicino al suo naso per sentire se respira. No, dice alla voce di donna, non respira. Allora lei gli dice che gli spiegherà esattamente come fare per tentare di rianimarla. Mandate i soccorsi, per favore, piagnucola lui. Stanno arrivando, stia tranquillo, risponde lei. Tranquillo, non può restarlo. Ha fatto un corso di primo soccorso una volta, e anche quello per la disostruzione pediatrica, la teoria la conosce. Quello che non si aspettava era che il panico lo immobilizzasse. Uscirà da lì pieno di sangue e non riesce a pensare a una giustificazione valida per spiegarlo. Nell’appartamento ha qualche vestito, ma se i medici gli chiedessero di andare con loro avrebbe il tempo di fare una doccia e cambiarsi? Adesso ne ha il tempo? Non potrebbe farlo con lei accanto, moribonda.

Si pente di averla raggiunta. Lei morirà lo stesso, lui avrebbe potuto ignorare la chiamata, come tante altre volte ha fatto. All’inizio non le aveva creduto, poi lei aveva avviato una videochiamata e gli aveva mostrato tutta la scena in diretta, per salutarlo, perché le credesse, visto che non le credeva mai.

Anche ora vorrebbe sedersi sul cesso ad aspettare che qualcuno citofoni per venirsela a prendere. Ma la tizia al telefono non gli lascia scampo. Incalza e pretende che lui faccia ciò che dice e poi gli chiede se lo sta facendo e se c’è qualche risposta. Ma Nora non respira. Lui si domanda quanto si possa restare morti prima di essere morti per sempre, dopo quanto un cuore fermo può ancora ritornare in vita, a battere. La speranza sfugge a ogni secondo che passa, a ogni soffio di vita che le spinge dentro fra le labbra dischiuse.

Finalmente il citofono suona.

Ora lo scenario gli si fa chiaro: Nora potrebbe morire o rimanere un vegetale. Ma l’incubo peggiore è che le sopravviva il bambino. A quel punto dovrebbe occuparsene lui. Lui che non lo ha ancora detto a sua moglie, lui che se ne voleva sbarazzare appena lo ha saputo. Lui che, anche se Nora ha deciso di tenerlo, su questo punto non ha mai cambiato idea.

Gli dicono dove la stanno portando. Lui annuisce e va ad aprire l’acqua della doccia.


Anita Pulvirenti vive e insegna a Catania. Ha pubblicato il romanzo La trasparenza del Camaleonte (DeA Planeta, 2020) e diversi racconti su riviste e antologie. Ha fondato il blog Chili di Libri e il gruppo Beta Readers Italia.

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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