Racconto: Benzinaie di Giorgia Giuliano

Corsivo sembra un verbo al passato che esprime uno stato d’animo bloccato a metà tra corsa, tosse e accettazione. Tamoil s’illumina sopra la mia testa, lettere rosse per aver trattenuto il respiro. Ci leggo “benzina” e ho tre anni di nuovo. A tre anni non sapevo leggere, credevo che la furbizia mi facesse capace. Pensavo le lettere capitassero vicine come capitano gli amici, i regali, le fortune. Che le intuizioni fossero le uniche parole da poter pronunciare. L’aria adesso è illuminata e ferma, vorrei fosse mobile, un mobile, una cassettiera, la riempirei con la vita che ho in eccesso che di numero fa venti calzini. Chiuderei a chiave, ingoierei la chiave, senza ossigeno tutto muore. Prima muore e poi puzza, puzza proprio quando ormai non respira, morire è l’occasione di chi non è stato furbo in vita.
Ieri ho rivisto mia madre. Fa il giro del paese sino a che non sveglia la spia arancione tra lei e lo sterzo, viene qui e mi ordina venti euro Senza Piombo, così io posso servirla e lei umiliarmi. Aveva l’anello di mio padre, un cappio vecchio, una vecchia storia legata al dito. Alla vista degli anelli di fidanzamento, le donne fanno l’espressione più forzata del mondo. Lo guardano come un seno che finalmente è cresciuto, uno stipendio che è arrivato, l’anello è la cosa più fattibile da domandare, non capisco perché non lo chiedano. Io non l’ho voluto e ho scartato una possibilità, adesso me ne restano nove, altre nove dita: allo scadere non avrò più figli, ma io non ho voglia di farmi nemica la vecchiaia, di opporle resistenza, di restare giovane per crescere figli del denaro con vigore e forza. La domanda di mia madre arriva svelta, mentre spegne il motore mi chiede perché non ci ripensi? Infilzo la pompa nel serbatoio e sento la benzina deglutire nel tubo, vomitare nel secchio, nella sua macchina RM610TZ che, la targa, pare un tic nervoso. Allungo il braccio verso il finestrino e lei prova a rimboccarmi le maniche della tuta come fossi maldestra. Se lo crede, lo divento. Prendo i venti euro, li stringo forte che quasi li spremo, li aggrinzisco come quando mi addormento vestita, distrutta, sfamo automobili come se i figli li avessi davvero. Per lei ho cambiato nome, adesso sono ingrata: con tutti i vestiti che mio padre mi ha comprato, indosso sempre un sacco grigio. Le dico spazientita che non esistono benzinaie con la gonna a fiori, e lei mi risponde che «Non esistono proprio benzinaie». Poi accelera e va via sgommando, termina la frase con il fumo amaro e io lo respiro come solo si può inalare la frustrazione. Tossisco per oppormi, ma lei è già lontana, sa che mi ha colpito e che un colpo non mi ammazza. So bene cosa fa quando non la vedo, papà dorme e lei se ne approfitta. Di sera si cambia, si sdoppia, ho due madri di cui una è furtiva e nascosta. Non assomiglio né a una né all’altra, l’altra la vorrei bruciare, bagnare senza pietà e Senza Piombo, impregnarle il viso come una spugna lavavetri. Sfregando le mie parole bollenti al suo orecchio, riuscirò a trasformarla in cenere. Mia madre si nutre dei miei scarti, è una iena affamata che non ingrassa sui fianchi, divora ciò che ho rifiutato, ha tradito il branco, il suo silenzio è grasso. Ha un dito viola. Mia madre cambia anello e si fidanza con Aldo qualche ora al giorno. Spalma il sesso sul calendario come fosse marmellata di more. La disperazione la autorizza, la inganna, le dice che è una donna libera. Vorrei che in macchina si sedesse al rovescio, non voglio vederle la testa, vorrei saperle le guance tra freno e frizione e vederle ginocchia senza bulbi oculari. Di me, benzinaia, la femminilità è imbalsamata. Altre donne come lei vogliono soccorrermi, svestirmi, insaponarmi, levarmi l’unto e il grasso, chiedermi qui come ci sono finita. Finita, do quest’impressione. Sembro spacciata per quello che faccio. Metto tutte a disagio, le loro dita hanno i capogiri sullo sterzo, guardano lo specchietto retrovisore per capire il mio passato, che cosa mi è successo, perché qui ci sono io e non un maschio, perché un maschio non mi ruba il posto. Io guardo dentro ai finestrini, le loro auto sono mie pazienti, faccio psicanalisi dai vetri, analizzo il disordine interiore: i pupazzi sui sedili, gli ombrelli rotti, le borse rovesciate, i pupazzi che non fanno niente, che non le raccolgono. Io non guido, non ho la patente, ho la bici sul retro della stazione di servizio, una Bianchi su cui ci ho scritto Tamoil con il pennarello rosso, la pedalo con le gambe bianche, il suo motore è un muscolo. Non sembro una donna, ma un disservizio. Tutte cercano Enzo e non sanno che Enzo non lavora più, che mi ha affidato la pompa di benzina perché secondo lui ero un fiore. Non mi ha mai detto qui non ci puoi lavorare perché sei un fiore, no, qui mi ha voluto travasare. Adesso sono innesto di sangue, di linfa e benzina, un profumo di mandorla e gasolio, da una narice puzzo e dall’altra odoro. Enzo sentirebbe solo il profumo, il suo orgoglio s’illuminerebbe fino all’ultima tacca, mentre moriva ha detto a mia madre di arrangiarsi, l’ha liquidata come se per parlare di lei ci fosse ancora del tempo, si è preoccupato per me. Mio padre è morto la mattina del mio primo giorno di lavoro, voleva che facessi come il figlio del suo amico, il mio spasimante, che si è preso in carico l’azienda di suo padre. Alla stazione di servizio io continuo a dare qualcosa di lui agli altri, il suo sangue entra nei serbatoi delle macchine come un discorso veloce. Tutti amavano parlare con Enzo e io provo a fargli credere che non abbiano mai smesso. Anziché arrangiarsi, mia madre ha continuato a marciare sul suo essere donna: si è imbrattata di disperazione, mi ha rubato il pretendente, il gioiello, ha il timore di annullarsi senza un uomo.
Adesso alla Tamoil non sono più sola. Siamo madre e figlia, papà che continua a vivere nella scritta in corsivo che sa di passato. È solo adesso che, a entrambe, sembra di avere un tetto sulla testa. Collaboriamo come se lei cucinasse e io apparecchiassi la tavola, chi viene a trovarci dice ciao, benzinaie! E mamma arrossisce, sorride e crede che, all’imbrunire, la sfumatura rossa del cielo sia la fronte gelosa del mio caro padre, Enzo. Io continuo a mettere la tuta grigia. Mia madre è la prima benzinaia con la gonna a fiori.

Giorgia Giuliano

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Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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